STREGONERIA PAGANA

 

 

Il cammino nella vita è come il cammino nella foresta. Per procedere ci si deve aprire un varco fra ciò che esiste.

Capitoli del settimo volume della Teoria della filosofia aperta

Pitagora: ricerca di conoscenza
o tecnica del dominio dell'uomo sull'uomo?

di Claudio Simeoni

Affrontando la vita di Pitagora ci chiediamo come e perché è morto Pitagora. Ci chiediamo se Pitagora fosse un filosofo o un politico che usava la filosofia per raggiungere i suoi obbiettivi politici. Se fosse così, quali erano gli obbiettivi politici che si proponeva Pitagora?

Non è una domanda da poco. Noi sappiamo che chiunque si interessi di filosofia sviluppa delle affermazioni, dei concetti, che di solito sono abbastanza limitati. Rari sono i filosofi che sviluppano un sistema filosofico capace di coinvolgere la vita complessiva delle persone e, quando questo avviene, gli intenti di quella filosofia, al di là della maggiore o minore intelligenza con cui viene presentata, viene qualificata dal come il filosofo vive (i suoi interessi) e muore.

In particolare, che cosa suscita, nella generalità degli uomini, quella filosofia?

Scrive Diogene Laerzio:

39. Pitagora morì in questo modo. Mentre lui e i suoi tenevano una riunione nell'abitazione dell' atleta Milone, capitò che uno di quelli che non erano stati ritenuti degni di essere ammessi al sodalizio, per invidia, appiccò il fuoco all'abitazione - peraltro alcuni affermano che siano stati i Crotoniati stessi, nel timore di un tentativo di stabilire una tirannide -. Pitagora dunque fu preso mentre fuggiva: giunto a un campo pieno di fave, pur di non attraversarlo si arrestò, proclamando che era meglio essere catturato piuttosto che calpestarle e preferiva farsi uccidere, piuttosto che parlare; così, fu sgozzato dai suoi inseguitori. Non diversamente, anche la maggior parte dei suoi sodali, all'incirca quaranta, vennero uccisi; pochissimi riuscirono a sfuggire, tra i quali Archita di Taranto e il già menzionato Liside.

Diogene Laerzio, Vita dei filosofi, Pitagora, in Pitagora le opere e le testimonianze, Editore Mondadori, 2006, p. 227

Da quanto si dice, al di là di come sono avvenuti i fatti, ci fu una vera e propria rivolta contro Pitagora.

I motivi della rivolta non sono chiari. Gli autori parlano di invidia di alcuni, altri della partecipazione di Pitagora alla guerra che vede contrapporsi Agrigento contro Siracusa.

Ci fu, chiaramente, una rivolta di massa contro Pitagora.

Si presenta una domanda: che cosa rappresentava Pitagora nel contesto dell'Italia Meridionale?

Che effetto avevano le leggi e le norme che Pitagora impose alle popolazioni che erano accorse speranzose?

Diogene Laerzio racconta anche un'altra versione sulla morte di Pitagora.

Dice ancora Diogene Laerzio:

40. A quanto dice Dicearco, Pitagora morì nel tempio delle Muse di Metaponto, dove si era rifugiato, dopo aver digiunato per quaranta giorni. Eraclide, per parte sua, nell'Epitome delle Vite di Satiro afferma che Pitagora dopo aver seppellito Ferecide a Delo fece ritorno in Italia e trovò che Cilone aveva offerto un gran banchetto pubblico; allora si ritirò a Metaponto e lì pose fine alla sua vita lasciandosi morire d'inedia, giacché non desiderava vivere più a lungo. Invece Ermippo sostiene che durante la guerra tra Agrigentini e Siracusani Pitagora si fosse messo in marcia con i suoi sodali per porsi alla testa degli Agrigentini; ma quando questi vennero messi in fuga, fu ucciso dai Siracusani mentre cercava di girare intorno a un campo di fave per non attraversarlo. I rimanenti, che erano circa trentacinque, furono bruciati a Taranto perché volevano opporsi alla politica delle cerchie dirigenti.

Diogene Laerzio, Vita dei filosofi, Pitagora, in Pitagora le opere e le testimonianze, Editore Mondadori, 2006, p. 227-229

Qualcosa ci dice che Pitagora avesse degli interessi politici ed era coinvolto nella politica che si contendeva il dominio degli uomini nelle varie città dell'Italia meridionale.

Un discorso simile viene fatto da Porfirio anche se, a differenza di Diogene Laerzio, si preoccupa di definire le cause della morte di Pitagora come effetto dell'invidia di qualcuno non ammesso al sodalizio di Pitagora.

Porfirio sembra quasi riprendere i testi cristiani evangelici dove i farisei mettono a morte Gesù perché invidiosi del fatto che le masse seguissero Gesù anziché loro.

Porfirio, parlando della morte di Pitagora, dice:

54. In Italia Pitagora destava tale ammirazione, anche a grande distanza, e con lui i suoi sodali, che le città affidarono ai suoi discepoli anche i loro governi. Ma in seguito divennero oggetto d'invidia e contro di loro si formò una cospirazione, nel modo seguente. li Crotoniate Cilone, un uomo che sopravanzava tutti gli altri cittadini per nascita, fama dei suoi avi e disponibilità di mezzi, ma era difficile, violento e dispotico di carattere e si serviva della cerchia dei suoi amici, oltre che del potere del denaro per imporsi con la forza ingiustamente, si riteneva degno di tutto quanto era considerato nobile e in particolare riteneva di essere assolutamente degno di far parte della scuola filosofica di Pitagora. Costui si reca dunque da Pitagora, vanta le sue qualità e si mostra desideroso di accompagnarglisi, Ma Pitagora, fattone subito un esame fisiognomico e riconosciutane la natura sulla base dei segni che rintracciava nel corpo, gli ingiunse di allontanarsi e di occuparsi dei suoi affari personali. Cilone ne fu non poco contrariato, perché si riteneva oltraggiato e tra l'altro aveva un carattere difficile e non sapeva dominare la collera.
55. Allora, riuniti gli amici calunniava Pitagora, preparandosi a ordire un complotto contro di lui e i suoi discepoli. In seguito, mentre - come dicono alcuni - gli adepti si trovavano riuniti nella casa dell'atleta MiIone durante l'assenza di Pitagora (questi si era recato a Delo dal suo vecchio maestro Ferecide per curarlo, poiché era ammalato del cosiddetto morbo pediculare) li fecero morire tutti incendiando da ogni parte l'abitazione e lapidandoli. Due soltanto - dice Neante - sfuggirono al rogo, Archippo e Liside, dei quali quest'ultimo andò a risiedere in Grecia, si stabili a Tebe e prese a frequentare Epaminonda, il quale ne divenne un discepolo.
56. Ma Dicearco e gli autori più scrupolosi sostengono che quando fu messa in atto la congiura era presente anche Pitagora, perché Ferecide era morto prima della sua partenza da Samo. Degli adepti, quaranta che si trovavano riuniti in una casa privata furono presi tutti insieme, mentre molti altri trovarono la morte uno a uno in città, così come si trovavano. Pitagora allora, visti sopraffatti i sodali, si mise in salvo nella vicina città portuale di Caulonia e poi, muovendo da lì, a Locri. Ma i Locresi, quando ne furono informati, inviarono ai confini del paese una delegazione di anziani, i quali si fecero incontro a Pitagora e gli rivolsero queste parole: "Noi ti sappiamo, Pitagora, sapiente e dotato di eccezionali capacità, ma quanto alle nostre leggi noi non abbiamo alcun motivo di criticarle e perciò cercheremo di attenerci ad esse; tu, per parte tua, vattene altrove, ma prendi pure da noi il necessario di cui possa aver bisogno". Dopo esser stato allontanato da Locri nel modo che si è appena detto, fece vela alla volta di Taranto, ma ancora una volta incontrò difficoltà analoghe a quelle in cui era incorso a Crotone e perciò raggiunse Metaponto. Dappertutto in effetti si erano avute vaste sollevazioni, che gli abitanti dei luoghi ancor oggi ricordano e raccontano chiamandole "le rivolte dell'epoca dei Pitagorici".
57. Si racconta che nel Metapontino Pitagora abbia anche trovato la morte: rifugiatosi nel santuario delle Muse, vi sarebbe rimasto per quaranta giorni privo di quanto era necessario a vivere. Altri invece affermano che i discepoli di Pitagora, quando l'abitazione nella quale si trovavano riuniti era in preda alle fiamme, si gettarono nel fuoco per creare un ponte con i loro corpi e far passare il Maestro. Tuttavia Pitagora, scampato che fu alle fiamme, in preda alla disperazione per aver perduto i suoi sodali, si tolse la vita. Dopo che il disastro ebbe colpito la setta nel modo che si è appena detto, vennero meno, insieme ai suoi membri, anche le loro conoscenze scientifiche, che fino ad allora avevano custodito nei loro cuori come un segreto ineffabile, mentre solo i particolari incomprensibili venivano tramandati da coloro che alla setta erano estranei. In effetti non esisteva uno scritto di Pitagora in persona, e solo poche deboli e inafferrabili scintille di questa filosofia furono messe in salvo dagli scampati Liside e Archippo e da quanti altri si trovavano in esilio.
58. Rimasti soli e disperati per la sciagura capitata si dispersero per ogni dove, rifuggendo la compagnia degli altri uomini. Ma curarono che il nome della filosofia non scomparisse completamente tra gli uomini e loro non incorressero nell'ostilità dei numi: perciò composero delle opere a carattere sintetico e raccolsero gli scritti dei più antichi, nonché quanto essi ricordavano, e ciascuno li lasciava nel luogo dove moriva, disponendo che i figli, le figlie e le mogli non li cedessero ad alcun estraneo. E queste ultime osservarono il mandato per molto tempo, tramandando quella stessa disposizione ai propri discendenti.
59. Che poi i Pitagorici - a quanto riferisce Nicomaco - non certo alla leggera rifuggissero dalle amicizie con gli estranei, ma anzi le scansassero e se ne guardassero in tutta consapevolezza, e che d'altra parte mantenessero vivi per molte generazioni i loro reciproci rapporti di amicizia potremmo desumerlo da quanto Aristosseno nella Vita pitagorica afferma di aver udito personalmente da Dionisio, il tiranno di Sicilia, quando ormai spodestato faceva il maestro di scuola a Corinto. Questo dunque narra Aristosseno. I Pitagorici si astenevano da lamenti e pianti e così pure dalle preghiere, dalle suppliche e anche da ogni atteggiamento consimile.
60. Un giorno dunque Dionisio volle metterli alla prova, perché alcuni assicuravano che se li si fosse arrestati e terrorizzati non sarebbero restati fedeli gli uni agli altri. Egli allora agì come segue. Finzia venne arrestato e condotto al cospetto del tiranno, il quale lo accusò di cospirazione ai suoi danni, aggiungendo che la cosa era dimostrata e che era stato condannato alla pena capitale. Finzia allora disse: "Dal momento che hai deciso così, mi sia almeno concesso il resto della giornata per regolare i miei affari e quelli di Damone" (del quale era sodale e socio e, in quanto più anziano si era fatto carico di molti dei suoi interessi). Finzia dunque chiedeva di essere lasciato andare e offriva Damone come garante. Dionisio acconsentì. Allora fu fatto venire Damone, il quale, venuto a conoscenza di quanto accadeva, accettò di fare da garante e rimase ad aspettare che Finzia tornasse.
61. Dionisio, per parte sua, era rimasto impressionato dagli eventi, mentre coloro che all'inizio avevano proposto la prova schernivano Damone, dicendo che sarebbe stato abbandonato. Ma quando il sole fu al tramonto, Finzia arrivò, pronto a morire, e tutti ne furono stupefatti; Dionisio, quanto a lui, abbracciò affettuosamente i due e chiese di essere accolto come terzo nel loro sodalizio amicale. Ma Damone e Finzia non acconsentirono in alcun modo, malgrado le molte insistenze del tiranno.

Porfirio, Vita di Pitagora, in Pitagora, le opere e le testimonianze, Editore Mondadori, 2006, p. 289-295

Da quanto dice Porfirio, i pitagorici apparivano come una setta chiusa e separata dal resto della popolazione. E' indubbio che in questa condizione si attiva un meccanismo per il quale il gruppo viene accettato dalla popolazione fintanto che quel gruppo si fa promotore di speranza di miglioramento delle condizioni di vita della società, ma viene respinto quando, cadute quelle prospettive, inizia a nascere il sospetto che quel gruppo possa, in qualche modo, costituire un pericolo per le comunità.

La "filosofia" di Pitagora non era un patrimonio della popolazione, era una dottrina segreta il cui scopo era quello di amalgamare il gruppo in opposizione alla società in cui il gruppo operava.

I sospetti erano tanto più fondati quanto più quel gruppo partecipa alle questioni politiche di dominio, confabulava con tiranni e oppositori ai tiranni partecipando al dominio e al governo delle città.

In quelle condizioni, la questione della filosofia trattata da quel gruppo passa in secondo piano. Il gruppo può dire che la terra è una sfera nel cielo e imporre delle regole morali che condizionano il comportamento degli uomini. Posso accettare, nell'indifferenza, che la terra sia una sfera nel cielo, ma imporre delle regole morali che cozzano contro i miei desideri, posso sopportarlo per un certo periodo, ma poi mi diventa insopportabile se il seguire quelle norme non mi porta un qualche vantaggio.

E a quel punto scatta il rifiuto della setta come reazione di anticorpi che difendono la società e il suo futuro.

E' facile pensare che la morte di Pitagora fosse provocata da una reazione di massa alle leggi imposte da Pitagora. Leggi che possono essere considerate "buone" o "sagge" da un dittatore o da gruppi di oligarchi, magari più funzionali delle leggi che vigevano prima dell'arrivo di Pitagora, ma dopo un po' diventano insopportabili perché sono leggi che legittimano i dittatori e il diritto a sottomettere.

Non è un caso che uno dei sodali di Pitagora sopravvissuto alla strage fu Archita di Taranto, dittatore e stratega della città. Non si tratta di dire se fu un buono o cattivo dittatore, si tratta di constatare come la filosofia di Pitagora fosse una filosofia del dominio sociale. Come tale fu accettata all'inizio perché portava una promessa di futuro e, per lo stesso motivo, quando quella promessa venne meno e la setta pitagorica si chiuse in sé stessa, fu aggredita e perseguitata dagli abitanti come un pericolo per le città.

Questi sono i presupposti dai quali partire per analizzare la filosofia pitagorica.

Quando il gruppo filosofico sparisce, sparisce anche l'ideologia del dominio sociale, che si riduce ad affermazioni il cui significato si è perso, scompare dall'orizzonte della storia lasciando i posteri a fantasticare su alcune credenze che sono seminate quà e là.

Quando i pitagorici scompaiono, rimane la leggenda del "salvatore", come ciò che scrive Porfirio:

21. Le città che arrivato in Italia e in Sicilia aveva trovato soggette le une alle altre, alcune da molti anni e altre da pochi, Pitagora le liberò facendo sì, per il tramite dei suoi discepoli presenti in ognuna di esse, che fossero pervase di ardore per la libertà: si trattava di Crotone, Sibari, Catania, Reggio, Imera, Agrigento, Taormina e altre. Ad esse diede le leggi per tramite di Caronda di Catania e Zaleuco di Locri, leggi grazie alle quali queste città hanno a lungo tempo suscitato l'invidia dei vicini. Fu dopo aver udito Pitagora che Simico, il tiranno di Centuripe, depose il potere e donò parte delle sue ricchezze alla sorella e parte ai suoi concittadini.
22. Da lui si recarono, come dice Aristosseno, Lucani, Messapi, Peuceti e Romani. A Pitagora riuscì di eliminare completamente la sedizione, non solo tra i suoi discepoli, ma anche tra i loro discendenti, per molte generazioni e in definitiva dalle relazioni reciproche di tutte le città d'Italia e Sicilia, oltre che al loro interno.

Porfirio, Vita di Pitagora, in Pitagora, le opere e le testimonianze, Editore Mondadori, 2006, p. 269

Pitagora si occupava del potere. Come sarà Gesù nel senso che "ci sia pace fra di voi", ma guerra all'esterno e "se una città non vi accoglie, sbattete la sua polvere dai vostri sandali" in segno di disprezzo e di condanna.

Quali leggi ha imposto Pitagora? Quelle leggi erano coerenti con le necessità delle persone a cui imponeva quelle leggi? Se Pitagora non vuole mangiare fave, è un suo problema; se Pitagora vuole essere sincero col tiranno, è un suo problema. Il fatto che Pitagora conoscesse la relazione fra quadrati costruiti su un triangolo, faceva parte dei segreti di Pitagora, non del patrimonio culturale dei cittadini. A noi è arrivato il teorema, ma cosa arrivava ai cittadini comuni da Pitagora?

La filosofia metafisica ha due filoni d'uso: definire il sistema di potere e di dominio sull'uomo; definire la conoscenza che la vita dell'uomo ha della realtà in cui l'uomo vive.

Io tendo a separare nettamente i due interessi della filosofia metafisica, al di là della direzione in cui tali interessi possono prendere nelle predilezioni del singolo individuo, ma spesso l'uno e l'altro si sovrappongono, in particolare nella filosofia platonica, dove l'affermazione "scientifica" di una realtà, reale o immaginata che sia, fa da supporto alle preposizioni che definiscono un diritto del potere e del dominio dell'uomo sull'uomo.

Marghera, 14 aprile 2023

 

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Marghera, 01 giugno 2015

Claudio Simeoni

Meccanico

Apprendista Stregone

Guardiano dell'Anticristo

Tel. 3277862784

e-mail: claudiosimeoni@libero.it

 

 

Ultima modifica 12 febbraio 2021

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