Commento all'Apologia di Socrate

Arroganza e disprezzo per gli Ateniesi

Platone (427 a.c. - 347 a.c.)

di Claudio Simeoni

 

Cod. ISBN 9788891185808

Teoria della Filosofia Aperta - Volume tre

 

Platone - Apologia di Socrate

Indice argomenti

Arte della comunicazione e premessa dell'inganno
Io Socrate, sono figlio del dio
Il concetto di demone in Socrate
Socrate e i fanciulli
I progetti sociali dell'ideologia di Socrate
Dio e Dèi in Socrate

L'Apologia di Socrate rispecchia un modello dell'uomo padrone che stava nella testa di Platone. Il modello del filosofo-padrone che costituirà il vertice della tripartizione sociale alla base della Repubblica di Platone.

Che l'Apologia di Socrate sia il discorso fatto da Socrate al suo processo, nutro parecchi dubbi. Sono più propenso a credere che l'Apologia di Socrate sia il discorso che Platone avrebbe voluto che Socrate facesse.

Da tempo i sofisti stavano facendo guerra al mito. Non era tanto la negazione degli Dèi, ma la negazione della Coscienza di Sé e della Volontà espressa dagli oggetti del mondo che attraverso le loro azioni modificavano continuamente il presente in cui vivevano.

Tutto diventava muto. Tutto diventava forma e il "pensatore" diventava l'intelletto che forma il mondo e l'universo.

Dell'idea del sofista Anassagora di Clazomene, scrive Teofrasto (cito da I Presocratici – Testimonianze e Frammenti di Diels e Kranz da edizione Laterza 1990 pag. 569):

Prendendo in tal modo le cose, parrebbe che Anassagora ponga i principi materiali infiniti e la causa del movimento e del divenire una sola, l'intelletto. Ma se si suppone che la mistione di tutte le cose sia una sola natura indefinita e per forma e per grandezza, ne discende che lui ammette due principi, la natura dell'infinito e l'intelletto: onde si vede che egli concepisce gli elementi corporei in modo simile ad Anassimandro.

Da questa idea sofista di Anassagora di Clazomene procede il delirio sapienzale di Socrate descritto da Platone nell'Apologia a Socrate.

Troppo spesso nella storia si sono considerate le ragioni di Socrate, che pretende di essere il padrone degli uomini, ma non si sono considerate le ragioni degli uomini che vogliono vivere senza un padrone. La società democratica definita dalle leggi di Pericle è in pericolo. Troppi padroni tentano di assumerne il controllo e spesso costoro sono addestrati dai sofisti nell'arte della retorica con cui ingannare le persone e rubare il loro futuro.

In una democrazia gli scandali possono essere innumerevoli. Una democrazia matura colpisce gli autori dei reati e salvaguarda le norme di libertà definite dalle leggi. Una democrazia immatura ritiene che debbano cambiare le leggi così, alla fine, si legittimano gli scandali e i delitti consentendo ad alcuni di diventare dittatori o di avere impunità per i delitti commessi.

Questo, a mio avviso, è il progetto di Platone che con il modello Socrate definito nell'Apologia di Socrate ha il solo scopo di distruggere la democrazia e imporre l'aristocrazia.

Arte della comunicazione e premessa dell'inganno

Quando l'oratore anticipa le conclusioni emotive prima di esporre fatti e le azioni, manifesta l'intenzione di ingannare.

L'oratore anticipa il giudizio emotivo su ciò che egli esporrà. L'anticipazione del giudizio emotivo ha lo scopo di condizionare il giudizio del suo interlocutore, o dei suoi interlocutori, in ciò che dirà nella direzione della valutazione in cui egli vuole.

L'oratore diventa l'attore. Lo spettatore, l'ascoltatore, è il soggetto passivo sul quale l'attore deve agire al fine di costruire dentro di lui una predisposizione d'animo favorevole alla sua azione.

La differenza fondamentale fra l'attore che recita una parte e la persona che vive le condizioni e le contraddizioni della vita è che l'attore manipola lo spettatore, a cui è imposta passività, mentre la persona che vive le condizioni della vita coinvolge nelle condizioni e nell'azione le persone con cui sta parlando.

Una tecnica è questa. "In verità, in verità io vi dico...." oppure: " A – B – C – D – ecc. ... non corrisponde forse alla verità?"

Nel primo caso abbiamo l'attore che impone come verità la sua affermazione, qualunque questa sia, nel secondo caso la persona afferma l'oggetto e chiede la verifica del vero dell'oggetto affermato che lei ritiene, proprio per averlo affermato, come vero.

Nel primo caso la visione del vero di uno viene massificata, nel secondo caso si forma una coscienza collettiva nell'individuazione del vero. Nel primo caso c'è un processo monarchico in cui il vero che definisce la realtà discende dal re (dal dio padrone), nel secondo caso sono gli adattamenti alla vita della comunità che determinano il vero e la realtà percepita della comunità.

Questa premessa diventa essenziale per comprendere il tipo di contrapposizione che Platone costruisce con l'Apologia di Socrate e il disprezzo che Platone aveva dei cittadini di Atene.

L'Apologia di Socrate non è la difesa fatta da Socrate al suo processo, l'Apologia di Socrate è il modello di uomo in relazione al sistema sociale che Platone intende mettere a fondamento del proprio pensiero. Il pensiero di Platone non è altro che uno sviluppo dell'Apologia di Socrate in cui Socrate, l'uomo dio, l'unto del signore, il sapiente dei sapienti come dice l'oracolo, disprezza ogni persona della società perché ogni persona della società ha pretese di essere sé stessa e, in questa pretesa, riconosce il proprio divenuto di saggezza e non si mette in ginocchio davanti alla saggezza millantata da Socrate. Platone impone questo modello all'infanzia. Il suo modello di saggezza è il modello da imporre all'infanzia dove, l'infanzia sottomessa è la paga, lo stipendio, del saggio. Il saggio Socrate riceve la ricompensa attraverso la sottomissione dell'infanzia alla sua saggezza. Infatti, non "insegna" qualche cosa a pagamento, ma come pagamento riceve la sottomissione dell'infanzia. Riceve individui inadeguati dipendenti dalla sua saggezza.

Platone scrive che Socrate ha detto:

Soprattutto una delle molte menzogne che hanno detto mi ha meravigliato, ossia quando hanno affermato che voi dovevate essere circospetti in modo da non lasciarvi ingannare da me, in quanto sono straordinario nel parlare. E che non provassero vergogna dal momento che io li avrei subito confutati nei fatti, non appena vi sarei apparso essere tutt'altro che straordinario nel parlare, questa mi è sembrata la cosa più vergognosa da parte loro. A meno che non chiamino straordinario nel parlare colui che dice la verità. Infatti, se è questo che intendono, allora potrei ammettere io pure di essere un oratore, ma non come intendono loro. Costoro, dunque, come vi ripeto, hanno detto di vero poco o niente. Invece da me voi udrete tutta quanta la verità. Però, per Zeus, o cittadini ateniesi, voi non ascolterete da me discorsi ornati con belle frasi e con belle parole, come quelli di costoro e neanche ben ordinati. Udrete, invece, cose dette un po' a caso con le parole che mi capitano. Infatti, sono convinto che sia giusto quanto affermo. E nessuno di voi si attenda altro da me. D'altra parte, o cittadini, non sarebbe davvero conveniente che, a questa età, io mi presentassi davanti a voi a foggiare discorsi come un giovinetto. E anzi, o cittadini ateniesi, io vi prego molto di questo e vi chiedo di esser scusato: se mi ascolterete fare la mia difesa con quegli stessi discorsi che sono solito pronunciare anche sulle piazze davanti ai banchi dei cambiavalute, dove molti di voi mi hanno ascoltato, e in altri luoghi, non dovete meravigliarvi e non dovete far chiasso per questo. La cosa sta in questi termini. E' la prima volta che vengo in tribunale e ho l'età di settant'anni. Perciò io sono veramente straniero al linguaggio che si usa in questo luogo. Come, dunque, se fossi veramente uno straniero, voi avreste certamente indulgenza se parlassi in quella lingua e in quelle maniere secondo le quali sarei stato educato, così anche ora vi chiedo questo, che a mio giudizio è giusto, ossia che siate tolleranti del linguaggio che userò - linguaggio che potrebbe essere forse peggiore, ma che potrebbe essere forse migliore di quello che usano loro -, e che questo consideriate e a questo facciate attenzione, ossia se io dico cose giuste o no.

La premessa di Socrate è una premessa sofista. Si basa sul nulla ed è alimentata da intenzioni che non hanno alla loro base nessuna azione che non sia la manifestazione di un'intenzione affermata ma non dimostrata.

La premessa di Socrate è immorale. Egli si fa straniero nella propria città e rende straniero il linguaggio che ogni giorno ha usato nell'Agorà. Separa il suo essere in tribunale dal suo essere un cittadino che quel tribunale ha istituito. E' come se il tribunale in cui parla appartenesse ad un altro mondo, ad un'altra cultura, a condizioni a cui a lui, non-cittadino, è estraneo.

Platone ci vuole dare ad intendere che è bastata una denuncia perché la città di Atene si organizzasse massicciamente per mettere in piedi un processo accusatorio capace di portare alla condanna a morte di un cittadino conosciuto ad Atene e che ha fatto il militare difendendo la città.

Le accuse, che Platone ci dice che sono rivolte a Socrate, sono risibili ma più probabilmente Platone nasconde le reali accuse che venivano mosse a Socrate e che si rivelano nell'analisi dell'Apologia di Socrate.

Io Socrate, sono figlio del dio

L'Apologia di Socrate si fonda su alcuni punti cardine. Uno di questi è: io sono figlio del dio padrone.

Se questa affermazione appare modernizzata dopo l'arrivo del cristianesimo, nell'Apologia di Socrate troviamo la sua premessa in "il dio ha detto che sono l'uomo più sapiente del mondo". Stando alle affermazioni di Socrate, tutta Atene avrebbe dovuto mettersi in ginocchio davanti a Socrate in quanto egli era l'uomo più sapiente del mondo. Il trucco retorico di Platone consiste nel descrivere Socrate come un poveraccio che tenta di smentire il dio che gli aveva fatto sapere, tramite un amico, che lui era l'uomo più sapiente del mondo. Il dio ha detto, ad un amico che ora è morto, ma lo può confermare il fratello, che Socrate era l'uomo più saggio del mondo. Fra tutte le cose riportate secondo quanto detto da tutti gli Dèi dell'Olimpo, questa è l'unica cosa che Socrate ritiene autentica. E, guarda caso, non rientra nello stile degli Dèi dell'Olimpo. E' una vera e propria novità nella storia. Molti uomini hanno detto di essere ispirati dagli Dèi, ma che un dio dicesse "questo è mio figlio" o "questo è l'uomo più sapiente del mondo" o "questo è il vostro padrone", prima di Socrate, a quanto mi risulta, non era mai avvenuto. C'erano dei figli di Dèi, ma questi erano riconosciuti dalle loro imprese, dalle loro azioni, non dalla loro persona e tale riconoscimento non implicava essere il padrone delle persone anche quando figli di Dèi diventavano re di una qualche città.

Se da un lato Socrate afferma di non condividere il giudizio del dio, dall'altro lato cerca in tutti i modi di imporre il giudizio del dio a tutti i cittadini aggredendoli.

Con la convinzione di essere l'uomo più saggio e più sapiente del mondo, Socrate va ad aggredire e a sputtanare ogni divenuto di ogni persona per imporre a tali persone il proprio divenuto in quanto uomo più sapiente e più saggio.

Scrive Platone nell'Apologia di Socrate:

Certamente, io non conosco questa sapienza. E chi dice, invece, che io la conosco, mente; e lo dice per calunniarmi. Ora non fate chiasso, o cittadini ateniesi, neppure se vi potrà sembrare che io dica cose grandi. Infatti, quello che vi riferirò non è un discorso mio ma lo attribuirò a colui che lo ha detto, ben degno di fiducia da parte vostra. Della mia sapienza, se pure è sapienza e quale sia, io vi porterò come testimone il dio di Delfi. Certamente voi conoscete Cherefonte. Costui fu mio amico dalla giovinezza e fu amico del vostro partito popolare e in quest'ultimo esilio venne in esilio con voi e con voi ritornò. E sapete anche che tipo era Cherefonte e come era risoluto in ogni cosa che intraprendeva. Ebbene, un giorno, recatosi a Delfi ebbe l'ardire di interrogare l'oracolo su questo. Come ho detto, o cittadini ateniesi, non fate chiasso. Cherefonte domandò, infatti, se c'era qualcuno più sapiente di me. La Pizia rispose che più sapiente di me non c'era nessuno. Di queste cose vi farà da testimone suo fratello che è qui, dal momento che Cherefonte è morto. Fate ora attenzione al motivo per cui io vi dico queste cose. Infatti, io mi accingo a spiegare da dove è sorta la calunnia. Dopo che ebbi udito il vaticinio feci le seguenti considerazioni: Che cosa dice il dio e a che cosa allude per enigma? Infatti, io ho chiara coscienza, per quanto mi riguarda, di non essere sapiente, né molto né poco. Allora che cosa intende dire il dio affermando che io sono sapientissimo? Certamente non dice menzogna, perché questo, per lui, non è lecito. E per molto tempo rimasi in imbarazzo su quello che il dio intendesse dire. In seguito, con fatica intrapresi a fare una ricerca di questo nel modo seguente. Andai da uno di coloro che sono ritenuti sapienti, nella convinzione che solamente in questa cerchia, se mai da qualche parte, avrei confutato il vaticinio e avrei mostrato all'oracolo quanto segue: Questo qui è più sapiente di me; e tu, invece, hai affermato che sono io. Ora, mentre io sottoponevo ad esame quest'uomo - non c'è bisogno che io vi dica il suo nome; era uno degli uomini politici, nei confronti del quale, svolgendo il mio esame e discutendo insieme con lui, ho tratto le seguenti impressioni -, mi sembrò che godesse fama di sapiente presso molti altri uomini e soprattutto che egli stesso si considerasse tale, anche se, in realtà, non lo era affatto. E quindi cercai di dimostrargli che credeva di essere sapiente, ma che invece non lo era. Di conseguenza, mi feci nemici sia lui sia molti di coloro che erano presenti. E mentre me ne andavo, trassi allora le conclusioni che, rispetto a quest'uomo, io ero più sapiente. Si dava il caso, infatti, che né l'uno né l'altro di noi due sapesse niente di buono né di bello; ma costui era convinto di sapere mentre non sapeva, e invece io, come non sapevo, così neppure credevo di sapere. In ogni modo, mi parve di essere più sapiente di quest'uomo, almeno in questa piccola cosa, ossia per il fatto che ciò che io non so, neppure ritengo di saperlo. Subito dopo, andai da un altro di coloro che erano ritenuti essere più sapienti di quello, e ne ricavai queste stesse impressioni. E anche in questo caso mi inimicai sia lui sia molti altri. Dopo di questo, proseguii con ordine le mie indagini, rendendomi conto però, addolorato e intimorito, che diventavo odioso. Eppure mi pareva che fosse necessario tenere in grandissima considerazione l'oracolo del dio. Per cercare di capire che cosa dicesse l'oracolo, dovevo andare da tutti coloro che pensano di sapere qualcosa. Ebbene, corpo di un cane - o cittadini ateniesi bisogna che vi dica la verità -, quello che mi è capitato è stato quanto segue. Quelli che avevano la maggior fama, proseguendo la mia indagine in base all'oracolo del dio, mi sono sembrati essere quasi tutti privi di sapienza in grado supremo; e, invece, altri che erano giudicati di minor valore, erano uomini che si trovavano più vicini alla saggezza. Ma devo mostrarvi il mio vagabondaggio e quali fatiche ho sopportato, perché il detto dell'oracolo diventasse inconfutabile. Dopo aver esaminato gli uomini politici io andai dai poeti, da quelli che compongono tragedie e da quelli che scrivono ditirambi e anche dagli altri, nella convinzione che in questa cerchia avrei potuto verificare al di là di ogni dubbio il fatto che io sono più ignorante di loro. Prendevo i loro poemi, quelli che mi sembravano composti nel modo migliore e domandavo ad essi che cosa intendessero dire, ai fine di potere anch'io imparare da loro qualcosa. Io mi vergogno a dirvi, o cittadini la verità. Eppure bisogna che ve la dica! Tutti gli altri che erano presenti, per così dire, parlavano quasi meglio di loro intorno a quelle cose sulle quali essi avevano composto poesie. Dunque, anche dei poeti venni in breve tempo a conoscere questo, e cioè che essi non per sapienza componevano le cose che componevano, ma per una certa dote di natura e perché erano ispirati da un dio, come i vati e gli indovini. Anche costoro, infatti, dicono molte e belle cose, però non sanno nulla di ciò che dicono. Un fenomeno di questo tipo mi è risultato essere anche quello che riguarda i poeti. E, ad un tempo, mi accorsi che i poeti, a causa della loro poesia, ritenevano di essere i più sapienti degli uomini anche in quelle altre cose in cui non lo erano. Pertanto, mi sono allontanato anche da questi, con la persuasione di valer di più per lo stesso motivo per cui valevo più degli uomini politici. A conclusione andai presso gli artigiani. Infatti, io ero perfettamente consapevole di non sapere nulla di questo, per dirla in breve, mentre ero convinto che avrei trovato costoro con conoscenze di molte e belle cose. E di ciò non mi ingannai. Infatti, avevano conoscenze che non avevo e, rispetto a me, in questo essi erano più sapienti. Tuttavia, o cittadini ateniesi, mi sembrò che i poeti e i vari artefici avessero il medesimo difetto. Infatti, per il motivo che sapevano esercitare bene la loro arte, ciascuno di essi era convinto di essere sapientissimo anche in altre cose grandissime, e proprio questo difetto metteva in secondo piano quella sapienza che pur avevano. Perciò, stando al responso dell'oracolo, posi a me stesso la domanda se avrei accettato di rimanere in quello stato in cui mi trovavo, ossia di essere né sapiente nella loro sapienza, né ignorante nella loro ignoranza, oppure di avere tutt'e due quelle cose che essi avevano. La risposta che io diedi a me e all'oracolo fu che, per me, era meglio rimanere in quello stato in cui mi trovavo.

Non sono io che lo dico, dice Socrate. Non sono io che sono andato a Delfi, ma è stato un mio amico, tale Cherofonte, che ora è morto. Lui ha detto che il dio gli ha detto che io sono l'uomo più sapiente del mondo. Ma io, poveraccio, sono modesto e ho voluto verificare e, nel farlo, ho aggredito il sapere di ogni persona affinché nessuna sapienza e nessuna conoscenza fosse superiore alla mia.

E' da chiedersi per quale motivo i cittadini di Atene non si sono prostrati davanti a Socrate. Forse che la retorica vuota di un sofista sia in grado di ingannare e indurre confusione nelle persone non abituate a tele retorica, ma che con la retorica non si costruisce il futuro delle persone. Pertanto, diventa aggressione verbale finalizzata ad umiliare i tentativi di vita delle persone in funzione di un dominio che non ha sostanza ma che ha ragione di essere solo nel discorso.

L'umiliazione che Socrate imponeva alle persone era un'umiliazione da "lavare col sangue". Quando parla dei poeti e degli artigiani ha un solo scopo: umiliarli!

Davanti all'azione, Socrate si fa vigliacco. Il ciabattino fa le scarpe e Socrate ritiene che egli abbia sapienza. Davanti alle scarpe, fatte dal ciabattino che Socrate non sa fare, Socrate si arrende. Come il ciabattino tenta di discutere del mondo e della vita, Socrate gli dimostra, attraverso la retorica sofista, di poterlo umiliare. Davanti al poeta che esprimendo emozione descrive gli Dèi, Socrate è timoroso, ma quando il poeta tenta di argomentare sulla realtà che percepisce, ecco Socrate aggredirlo per dimostrare che non è sapiente.

La "sapienza" di Socrate è la sapienza di chi costruisce prigioni, galere o classi sociali separate nelle quali ogni persona viene imprigionata e costretta: solo Socrate si eleva al di sopra di esse.

Io, dice Socrate, nell'aggredire le persone compresi che diventavo odioso. Eppure, dice Socrate, penso che si dovesse tenere in alta considerazione il parere del dio che aveva detto che Socrate era il più sapiente del mondo.

Socrate non ha timore reverenziale nei confronti dell'autorità socio-politica, ma non ha nemmeno rispetto delle persone, delle trasformazioni e delle fatiche che hanno fatto per costruire e presentare sé stesse. Questo disprezzo di Socrate per le persone ci introduce in un secondo argomento secondo cui, indicato da Socrate e Platone, le persone sono solo "merde" perché in esse agiscono i "demoni".

Il concetto di demone in Socrate

Scrive Platone facendolo dire a Socrate:

Non c'è, o carissimo; e se tu non vuoi dirlo, lo dico io, a te e agli altri che sono qui presenti! Ma tu rispondi almeno a ciò che segue a questo. Ci può essere qualcuno che creda esistano forze demoniache, ma che non creda esistano dèmoni? Non c'è. Mi hai fatto cosa gradita nel darmi risposta, anche se a mala pena e per costrizione di quelli che sono qui presenti. Dunque, tu sostieni che io credo e che insegno che esistano cose demoniache; orbene, che tali cose siano nuove o che non lo siano, stando al tuo discorso, in ogni caso, io crederei che esistano realtà demoniache e ne hai fatto anche giuramento nel tuo atto di accusa. Ma se io credo nell'esistenza di cose demoniache, allora è veramente necessario che io creda che esistano anche dèmoni. Non è così? è proprio così. Suppongo che tu sia consenziente, dal momento che non fornisci una risposta. E i dèmoni non diciamo che siano dèi o figli di dei? Dici sì, o no? Certamente. Dunque, se io credo, come tu sostieni, che esistano dèmoni, e se i demoni sono certi dèi, proprio questo risulta essere quello che io dico che tu presenti come enigma e che fai per gioco; intendo il tuo affermare che io non credendo che esistano gli dèi credo all'opposto che ci siano dèi perché credo che esistano dèmoni. Se, poi, i dèmoni sono certi figli spuri di dei, che sono nati da ninfe o da altre madri di cui si racconta, allora quale uomo potrà ritenere che esistano figli di dèi, ma che non esistano dèi? Sarebbe una cosa assurda, proprio come se uno credesse che esistano figli di cavalle e di asini, ossia i muli, ma non credesse che esistano cavalle e asini.

E ancora:

Forse potrebbe sembrare che sia assurdo il fatto che io, in privato, consigli queste cose, andandomene attorno, e che mi dia tanto da fare, e che, invece, in pubblico non osi, salendo sulla tribuna per parlare alla folla, dare consigli alla Città per quello che è il vostro interesse. La causa di questo fatto è quello che mi avete sentito dire molte volte e in vario modo, ossia che in me si manifesta qualcosa di divino e di demoniaco, quello che anche Meleto, facendo beffe, ha scritto nell'atto di accusa. Questo che si manifesta in me fin da fanciullo è come una voce che, allorché si manifesta, mi dissuade sempre dal fare quello che sono sul punto di fare, e invece non mi incita mai a fare qualcosa. E' appunto questo che mi distoglie dall'occuparmi di affari politici.

Platone, attraverso Socrate, introduce la possessione diabolica. Mentre, prima di Platone, il daimon è l'azione del corpo che agisce, in Socrate viene trasformato in un soggetto che agisce in un corpo non proprio. Come c'è un demone che agisce dentro Socrate, così i demoni sono soggetti, figli di Dèi e Ninfe, che agiscono o si impossessano di altri corpi.

Mentre prima di Platone il daimon era l'azione degli Dèi e degli uomini, gli Dèi e gli uomini che agiscono, con Platone diventa un soggetto diverso dall'uomo di cui si impossessa del corpo.

Socrate non è distolto dalle proprie scelte da sé stesso che si manifesta attraverso il suo dialogo interno, ma è distolto da un demone che si è impossessato di Socrate e che agisce sconsigliandolo di compiere questa o quella azione. Non è il corpo di Socrate che agisce nel mondo o che si impedisce di agire nel mondo, ma è un demonio che si è impossessato di Socrate e che lo sconsiglia di agire nel mondo.

Credo nei demoni, dice Socrate; non crede negli uomini che hanno il coraggio di agire nelle avversità.

Che ne è del corpo dell'uomo se il corpo è privato del daimon? Quello non lo chiamiamo più corpo, lo chiamiamo cadavere.

L'idea di Platone è quella secondo cui gli uomini sono dei cadaveri abitati da demoni e da anime.

Per la prima volta nella storia dell'umanità i corpi degli uomini vengono divisi in cadaveri e anime e demoni che agiscono in essi. Il cadavere si può uccidere perché l'anima sopravvive e i demoni sono scacciati. Il corpo, per la prima volta nella storia umana, viene separato dal proprio daimon; dal proprio essere vivente che agisce nel mondo in cui è venuto in essere.

Socrate attribuisce a sé stesso un demone che lo frena. Ma quali demoni attribuisce agli uomini suoi nemici?

Scrive Platone attribuendo a Socrate:

Infatti, o giudici, e chiamando voi giudici io vi chiamo con il giusto nome, mi è accaduto un fatto meraviglioso. La voce profetica che mi è abituale, quella del demone, per tutto il tempo precedente era sempre assai frequente, e si opponeva molto anche in cose piccole, quando mi accingevo a fare cose in modo non giusto. Ora mi sono accadute cose, come vedete anche voi, che si possono ritenere, e che vengono considerate, mali supremi. Invece, il segno del dio non si è opposto a me, né mentre uscivo di casa né mentre salivo qui in tribunale, e neppure durante il discorso, in nessuna occasione mentre io mi accingevo a dire qualcosa. Eppure, in altri discorsi mi ha fermato a metà, mentre parlavo. Ora, invece, in nessun punto, nel corso di tutto questo processo, si è opposto a me in nulla, né in alcun atto né in alcuna parola.

Il demone, figlio del dio, non mi ha fermato né quando sono venuto qui, né quando ho parlato.

Trovo curiosi quegli interpreti dell'Apologia di Socrate che vogliono interpretare il demone che pervade Socrate equiparandolo al daimon presocratico e trasformandolo in una forza psichica di Socrate.

Socrate lo dice chiaramente che cosa sono i demoni. "I demoni sono certi spuri figli di Dèi che sono nati da Ninfe e da altre madri di cui si racconta...". Per questo motivo non si può separare la concezione che ne ha Platone del demone di Socrate da ciò che Platone ritiene, attraverso le parole di Socrate, che cosa siano i demoni. Anche se ogni interpretazione è legittima, non è possibile assolvere Platone dai danni che ha fatto il concetto di "possessione diabolica" come egli l'ha descritta e i cristiani praticata. La responsabilità rientra nell'ambito dell'arroganza che nessuna divinità può tollerare.

La possessione diabolica inventata da Platone entrerà nel cristianesimo attraverso i vangeli e giustificherà stragi e devastazioni di uomini nel corso della storia.

Socrate e i fanciulli

Un padre che voglia fornire ai propri figli dei mezzi adeguati affinché i suoi figli siano attrezzati per affrontare il mondo, paga l'attrezzatura che provvede per i propri figli col denaro, non con i propri figli.

Un uomo paga, per i propri figli, ciò che lui non può dare ai figli. Paga il tempo che un altro uomo impiega per insegnare quanto sa ai figli di un altro. Col pagamento del lavoro, il padre chiude il debito e non deve altro all'insegnante dei suoi figli.

Cosa insegna l'insegnante ai figli di quell'uomo? L'arte della sofistica, l'arte dello scrivere, l'arte della retorica, l'arte della poesia, l'arte del calcolo. Qualunque cosa insegni, viene pagato per gli insegnamenti ricevuti.

C'è un voluto fraintendimento sofista dietro al ragionamento di Socrate. Il termine educare in Socrate assume questo significato:

O Callia, se questi tuoi figli fossero due puledri o due vitelli, dovremmo prendere e pagare uno che si curasse di loro e che si impegnasse a farli diventare belli e buoni in quella virtù specifica che conviene loro e costui sarebbe un competente di cavalli o un agricoltore. Ora, dal momento che i tuoi figli sono uomini, chi hai in mente di prendere che si curi di loro due? Chi è che ha conoscenza della virtù di questo tipo, ossia della virtù dell'uomo e del cittadino?

La risposta di Callia avrebbe potuto essere "Io mi occupo della virtù dei miei figli, io ho l'esperienza di essere uomo e cittadino!" Callia non si è reso conto che con la sua domanda Socrate offendeva e ingiuriava il suo vissuto. La sua vita di uomo e la sua esperienza di cittadino. Il resto della risposta di Callia è del tutto coerente: lui afferma che quell'uomo sa insegnare ai suoi figli qualche cosa che Callia non è in grado di insegnare loro. Quell'insegnante va oltre le possibilità di insegnare di Callia. Callia vede le cose in maniera diversa da Socrate. Tu, Socrate, che sei cittadino di questa città, non puoi dare ai miei figli nulla di diverso da quanto ho dato io.

In realtà mi sembra che anche ciò sia bello, se uno sia in grado di educare uomini, come sono in grado di farlo Gorgia di Leontini, Prodico di Ceo e Ippia di Elide. Infatti, ciascuno di costoro, o cittadini, è in grado, andando in ciascuna delle città, di persuadere i giovani - ai quali sarebbe pur possibile frequentare gratuitamente chi vogliono dei concittadini -, ad abbandonare la compagnia di quelli e a stare invece con loro, dando loro denari, e per giunta ad avere gratitudine nei loro confronti. Anzi, c'è un altro sapiente di Paro di cui ho saputo che è venuto a abitare qui. Infatti, mi è capitato di incontrarmi con un uomo che ha profuso denaro ai sofisti più di tutti gli altri messi insieme, Callia figlio di Ipponico. E a quest'uomo che è padre di due figli, ho domandato: O Callia, se questi tuoi figli fossero due puledri o due vitelli, dovremmo prendere e pagare uno che si curasse di loro e che si impegnasse a farli diventare belli e buoni in quella virtù specifica che conviene loro e costui sarebbe un competente di cavalli o un agricoltore. Ora, dal momento che i tuoi figli sono uomini, chi hai in mente di prendere che si curi di loro due? Chi è che ha conoscenza della virtù di questo tipo, ossia della virtù dell'uomo e del cittadino? Io ritengo che tu abbia ben riflettuto su questo, per il motivo che hai figli. C'è qualcuno - dissi - che ha tale conoscenza, oppure non c'è? Certamente, mi rispose. E chi è - gli chiesi io - e di dov'è e a che prezzo insegna? è Eveno - mi rispose -, o Socrate, è di Paro e vuole cinque mine. Ed io considerai come fortunato Eveno, se possiede veramente tale arte e se la insegna ad un prezzo così modico. Anch'io, ad ogni modo, me ne farei vanto e ne sarei orgoglioso se avessi conoscenza di queste cose. Ma io di tali cose non ho proprio conoscenza, o cittadini di Atene!

Il prezzo appare equo e congruo rispetto alle aspettative che Callia metteva nelle possibilità di apprendimento dei suoi figli. E' evidente che Socrate disprezza chi offre la propria conoscenza dando a quanto offre un prezzo finito mentre egli paventa un potere infinito di saggezza, perché tale è stato definito dal dio, un'istruzione senza prezzo, elargita come una "carità cristiana" a qualcuno che intende rendere dipendente dal suo insegnamento per tutta la vita. Agli uomini di Atene l'attività di Socrate appare superflua, inutile. E' un'attività di provocazione e insulti.

Cavalli, vitelli e figli sono soggetti da allevare, educandoli nelle virtù che più conviene. Ma Callia non voleva allevare i suoi figli nella virtù che conviene a lui, ma nell'arte che conveniva ai suoi figli: per questo pagava.

Dal dialogo appare chiaro che Callia, e con lui i cittadini ateniesi che hanno condannato Socrate, non ritenevano che i ragazzi fossero "roba loro", bestiame posseduto per sostenere la vecchiaia dei "padri", ma dei soggetti di diritto la cui preparazione di cittadino attivo e consapevole andava favorita.

Al contrario, l'idea di Socrate è quella dell'allevamento dei ragazzi per costringerli alla virtù. Una virtù la cui qualità viene lasciata all'immaginazione del lettore e non viene definita nella sua specificità se non nel testimone che Socrate chiama a propria difesa: la povertà come ideale sociale.

Una prova di questo è il disprezzo che Socrate prova per la crescita e il divenire dei suoi figli. Non abbiamo notizia che qualcuno di loro abbia seguito la "strada filosofica" di Socrate, ma sappiamo che per loro Socrate invocava violenza e umiliazioni.

Scrive Platone nell'Apologia di Socrate:

Però io vi prego proprio di questo. Quando i miei figli saranno diventati adulti, puniteli, o cittadini, procurando a loro quegli stessi dolori che io ho procurato a voi, se vi sembreranno prendersi cura delle ricchezze o di qualche altra cosa prima che della virtù. E se si daranno arie di valere qualche cosa, mentre non valgono nulla, rimproverateli così come io ho rimproverato voi, perché non si danno cura di ciò di cui dovrebbero darsi cura, e perché credono di valere qualche cosa, mentre in realtà non valgono niente. Se farete questo, avrò ricevuto da voi quello che è giusto: io e i miei figli.

Come Socrate umiliava le persone che tentavano di costruire il benessere della società imponendo il suo modello di povertà e indigenza sociale chiamata virtù, così ha come unica soluzione educazionale quella di umiliare i suoi stessi figli. Socrate, che non vale nulla, sparge disprezzo sugli uomini che cercano di intraprendere qualche cosa. Siano essi poeti, artigiani, contadini, bovari, politici o filosofi di vario tipo.

Socrate chiede che il suo modello di umiliazione sia fatto proprio dalla città di Atene e che la città lo applichi contro il divenire dei propri figli per poter essere legittimato contro tutti i giovani della città.

Socrate non ha nessuna visione di vita positiva per i suoi figli, impone loro solo il rancore del suo fallimento esistenziale usato da Platone per devastare le società civili in funzione di una nobiltà, di un'aristocrazia, che vive solo di schiavitù sociale.

I progetti sociali dell'ideologia di Socrate

Fa dire Platone a Socrate nell'Apologia:

Ma ora lo vedete pure voi stessi che i miei accusatori, i quali mi hanno accusato delle altre cose in modo così spudorato, per questo non sono stati a tal punto spudorati da portare un solo testimone per provare che io anche una sola volta mi sia fatto pagare o che abbia preteso un qualche compenso. Il testimone atto a provare che io dico il vero, ve lo porto invece io: la mia povertà!

La povertà è l'ideale socratico che viene imposto alle persone.

Socrate dice: "Io non mi sono fatto pagare e per questo sono povero!". Affermazione sofista che significa: "Io non mi sono fatto dare denaro e dunque sono povero". Che nel linguaggio reale significa: "Io non ho fatto nulla che non avesse un valore per la società!". Che si conclude con gli effetti: "E chi se ne frega della società in cui vivo? Provveda a me e ai miei figli!"

Un conto è essere poveri e indigenti perché qualcuno ha costruito delle condizioni sociali per creare poveri, indigenti, emarginati e torme di sconfitti nella vita, e un altro conto è trasformare l'indigenza e la povertà in un ideale che, chiamato virtù, viene imposto alla società per renderla povera e miserevole.

La trasformazione dell'indigenza e della povertà in un ideale sociale o in un'aspirazione è un modello proposto alla società dal padrone, dal nobile, dall'aristocratico che riserva per sé i privilegi e li toglie ai cittadini ricattandoli con i loro bisogni insoddisfatti e angosciati dallo stato di indigenza.

Dio e Dèi in Socrate

Nell'Apologia di Socrate, Socrate ha tre modi diversi per approcciarsi agli Dèi.

Da un lato c'è "il dio" che può essere interpretato come "quel dio" riferendosi ad Apollo di Delfi, dall'altro lato ci sono Zeus ed Era e infine c'è la concezione dell'altro.

Scrive Platone nell'Apologia di Socrate:

In ogni caso, vada come è caro al dio; bisogna ubbidire alla legge e difendersi!

E ancora:

Della mia sapienza, se pure è sapienza e quale sia, io vi porterò come testimone il dio di Delfi.

E ancora:

Dopo che ebbi udito il vaticinio feci le seguenti considerazioni: Che cosa dice il dio e a che cosa allude per enigma? Infatti, io ho chiara coscienza, per quanto mi riguarda, di non essere sapiente, né molto né poco. Allora che cosa intende dire il dio affermando che io sono sapientissimo? Certamente non dice menzogna, perché questo, per lui, non è lecito.

E ancora:

Invece, o cittadini, si dà il caso che, in realtà, sapiente sia il dio e che il suo oracolo voglia dire appunto questo, ossia che la sapienza umana ha poco o nessun valore.

E ancora:

Io, dunque, o cittadini ateniesi, avrei fatto una terribile azione, se mentre, da una parte, quando i capi che voi avete eletto per comandarmi, mi assegnarono un posto a Potidea, ad Anfipoli e a Delio, rimasi in quei posti che mi assegnarono e corsi pericolo di morire, dall'altra parte, invece, quando il dio mi ha assegnato il posto, almeno come ho ritenuto e creduto, di vivere filosofando e sottoponendo ad esame me stesso e gli altri, per paura della morte o di qualcos'altro, avessi abbandonato questo posto. Sarebbe cosa davvero terribile! E allora veramente a giusta ragione mi si porterebbe in tribunale, per il motivo che non credo che esistano gli dèi, in quanto io disubbidisco all'oracolo, ho paura della morte e sono convinto di essere sapiente, mentre non lo sono.

E ancora:

Io, o cittadini, appunto per questo e in questo sono forse diverso da molti degli uomini. E se potessi dire di essere più sapiente di qualcuno in qualche cosa, sarebbe proprio in questo, ossia che, non sapendo a sufficienza per quanto concerne le cose dell'Ade, sono anche convinto di non saperle. Invece, il fare ingiustizia e il non ubbidire a chi è migliore, a dio o ad un uomo, so che è una cosa cattiva e turpe.

In questo primo approccio al "dio" noi assistiamo a Socrate che riconosce "il dio" solo nella misura in cui il "dio" ha riconosciuto la saggezza di Socrate. Dal momento che "il dio" ha detto ad un amico di Socrate, che ha riportato a Socrate, che Socrate è l'uomo più sapiente del mondo, Socrate si è montato la testa e, partendo dall'essere l'uomo più saggio del mondo, aggredisce ogni cittadino di Atene per misurare e imporre la propria saggezza. Quando qualcuno glielo contesta afferma che "al dio bisogna obbedire!".

Il "dio di Delfi" diventa una proiezione che certifica la saggezza di Socrate e che Socrate sventola come una prova della propria saggezza.

"Della mia sapienza vi porto la testimonianza del dio di Delfi". La mia sapienza, dice Socrate, non si rivela nelle affermazioni o nelle azioni che da tale sapienza scaturiscono, ma si rivela dal certificato di autenticità rilasciatomi dal dio di Delfi.

"Io" dice Socrate "Non credevo al dio che mi dice che sono sapiente e allora ho voluto verificare la mia sapienza". Socrate sventolando il certificato di sapienza che il suo amico morto gli ha dato, va in giro per Atene a sputtanare tutte le persone che non si adeguano al certificato che egli mostra sfidando, di fatto, ogni persona a dire che il dio di Delfi ha mentito. "Sei tu capace di dire che il dio di Delfi è bugiardo?" "Voi insultare, bestemmiare, mettere in discussione la parola del dio di Delfi?".

Quello che fa Socrate, come onnipotente indicato dal dio, è aberrante (vedremo poi come altri faranno la stessa operazione, applicheranno lo stesso modello con Gesù che diventa il "figlio di dio"). Socrate afferma che quando il Comando Sociale gli ha assegnato un posto in battaglia, egli ha obbedito e ha combattuto tenendo la postazione. Per aver obbedito al Comando Sociale ritiene altrettanto doveroso obbedire al dio che afferma che lui è l'uomo più sapiente. Si tratta di una logica sofistica che suona come: "Dal momento che io ho obbedito al Comando Sociale, il Comando Sociale deve obbedire al dio, che ha detto che io sono l'uomo più sapiente del mondo e deve riconoscere la mia autorità in campo di saggezza e di sapienza." Dal momento che io ho obbedito, voi dovete obbedirmi.

In tutto ciò che Socrate afferma, il dio di Delfi non è il dio di Delfi, l'Arciere Apollo, che si presenta all'Olimpo con l'arco teso e le frecce puntate contro gli Dèi, pronto a combattere se non lo riconoscono come uno di loro. In tutto ciò che Socrate afferma, il dio di Delfi è un "assoluto" alla cui voce si deve obbedienza che come una freccia è puntata alla gola dei cittadini di Atene. Quella freccia si sostanzia nella derisione messa in atto da Socrate nei confronti dei cittadini di Atene.

Si tratta della rivoluzione introdotta da Platone. Alla "gerarchia" creativa degli Dèi che portano in essere la realtà, Platone sostituisce "il dio", il demiurgo, come padrone della realtà esattamente allo stesso modo in cui Socrate è il padrone della sapienza certificata dal dio di Delfi che appare più una proiezione della mente desiderante di Socrate.

E gli altri Dèi?

Scrive Platone nell'Apologia di Socrate:

Però, per Zeus, o cittadini ateniesi, voi non ascolterete da me discorsi ornati con belle frasi e con belle parole, come quelli di costoro e neanche ben ordinati.

E ancora:

Dici bene, per Era! C'è una gran quantità di uomini che giovano! E poi? Questi che sono qui presenti al processo li rendono migliori, o no?

E ancora:

Per Zeus, o giudici, non crede perché afferma che il Sole è pietra e che la Luna è terra.

E ancora:

E i giovani apprendono proprio da me queste cose, mentre possono, al prezzo di una dracma a dir tanto, comprarsele talvolta dall'orchestra e ridersi di Socrate, che fa credere sue siffatte dottrine, per altro così stravaganti? Ma, per Zeus, hai proprio questa opinione di me? Non credo che esista alcun dio?

E ancora:

No, per Zeus, proprio nessuno!

E ancora:

Allora, cittadini ateniesi, non dovete pretendere che io debba fare, di fronte a voi tutti, certe cose che non considero essere né belle né giuste né sante; tanto più, per Zeus, per il fatto che sono accusato di empietà da questo nostro Meleto.

Gli intercalari usati da Socrate dimostrano come egli abbia a disprezzo gli Dèi come soggetti e volontà della vita in contrapposizione al "dio" che certifica che lui è l'uomo più sapiente del mondo. Per Socrate, Zeus è un intercalare rafforzativo delle sue affermazioni non è la Coscienza di sé dell'Atmosfera che creando le condizioni ha permesso la nascita della Natura: Era, facendola uscire dall'oblio in cui il tempo (cronos) l'ha relegata.

Per Socrate gli Dèi sono mera affermazione a meno che non certifichino che lui è l'uomo più sapiente del mondo.

Diventano ancora più violente e gravi le affermazioni di Socrate contro Meleto quando intende contestare a Meleto la realtà degli Dèi attraverso le osservazioni dei filosofi sofisti.

Scrive Platone nell'Apologia di Socrate:

Dico questo: che tu assolutamente non credi negli dèi. O meraviglioso Meleto, a quale scopo tu dici questo? Io non credo, dunque, che il Sole e la Luna siano dèi, come credono, invece, gli altri? Per Zeus, o giudici, non crede perché afferma che il Sole è pietra e che la Luna è terra. Ritieni, caro Meleto, di accusare Anassagora? E hai tanto disprezzo di costoro, e li ritieni così privi di istruzione, da non sapere che i libri di Anassagora di Clazomene sono pieni di tali affermazioni? E i giovani apprendono proprio da me queste cose, mentre possono, al prezzo di una dracma a dir tanto, comprarsele talvolta dall'orchestra e ridersi di Socrate, che fa credere sue siffatte dottrine, per altro così stravaganti? Ma, per Zeus, hai proprio questa opinione di me? Non credo che esista alcun dio? No, per Zeus, proprio nessuno! Non sei attendibile, o Meleto. E, almeno in questo, io penso, neanche a te stesso. In verità costui, o cittadini ateniesi, mi sembra che sia assai tracotante e intemperante e che abbia presentato questa accusa appunto per tracotanza, intemperanza e avventatezza. Sembra uno che escogita un enigma per sottoporre me alla prova: Riconoscerà Socrate, il sapiente, che io sto facendo un gioco e che mi contraddico? O trarrò in inganno e lui e tutti gli altri che stanno ascoltando? Infatti, mi pare proprio che nell'accusa egli si metta in contraddizione con se medesimo, come se dicesse: Socrate ha la colpa di non credere negli dèi, ma anche di credere negli dèi. E questo vuol proprio dire scherzare!

Si tratta di un gioco sofista in cui la materia è privata della propria volontà per essere affermata solo come materia muta e priva di diritti. Non è forse la stessa cosa che Socrate ha fatto con i cittadini di Atene? Lui era sapiente, gli altri erano "merdacce" prive di sapienza e pieni di "boria" perché, a differenza di Socrate che era sapiente, loro si credevano sapienti ma non avevano il certificato del dio. Allo stesso modo Socrate priva la Terra, la Luna e il Sole della loro Coscienza di Sé e della loro volontà nonostante egli benefici della loro Coscienza di Sé e della loro volontà che ha permesso a Socrate, e all'intera Natura, di nascere e svilupparsi.

Il "dio", di cui Socrate parla e che avrebbe detto che Socrate è l'uomo più sapiente del mondo è l'Apollo di Delfi. Apollo nella mitologia è spesso identificato col Sole. Nulla toglie che il Sole sia una roccia incandescente, ma non per questo non si possono riconoscere i benefici alla vita di quella roccia incandescente anche se Socrate non è in grado di comprendere che proprio la presenza di quella roccia incandescente ha permesso l'origine della vita.

Sotto certi aspetti la situazione rasenta il comico. Da un lato la Coscienza di Sé Sole viene riconosciuta da Socrate perché ha detto che Socrate è l'uomo più saggio del mondo, per contro Socrate nega che il Sole ha una Coscienza di Sé nonostante riconosca che il Sole è un corpo. Si tratta dell'operazione Platonica di distruzione del mito in funzione dell'aristocrazia politica che si identifica col "dio" la cui definizione ancora non è chiara, ma sarà articolata nel Timeo.

Anche il tuo corpo è un insieme di cellule, questo non significa che tu non abbia una coscienza e una volontà che agisce nelle condizioni del tuo esistere.

Anassagora di Clazomene pensò il mondo e il suo pensiero, il suo intelletto, divenne il dio che formava il mondo. Per Anassagora il mondo si formava per aggregazione, ma come avveniva che l'aggregazione diventasse Cosciente di Sé? Affermare che il Sole è una palla di fuoco e non un Dio, non cambia la realtà oggettiva del Sole, cambia la prospettiva dell'uomo davanti alla vita. Perché se l'uomo non coglie gli effetti dell'azione del fuoco del Sole, non coglie nemmeno il venir in essere della sua stessa vita. Non coglie l'intelligenza dell'animale. L'animale acquista una funzione utilitaristica per l'uomo che lo usa negando la sua intelligenza e la sua Coscienza di Sé. La fine di questo percorso è che dal momento che neghiamo la Coscienza di Sé all'altro possiamo tranquillamente ucciderlo o metterlo nelle camere a gas perché l'altro non ha una Coscienza come noi.

Il sofista nega che l'oggetto, l'uomo, che ha di fronte ha una Coscienza di Sé. Nega il divenuto dell'uomo anche se riconosce che i corpi celesti si costruiscono per aggregazione: non riesce a spostare l'aggregazione che Anassagora ammette nei corpi celesti alla possibilità che lo stesso corpo umano sia divenuto per aggregazione: eppure, ha visto i suoi figli crescere.

Socrate è pieno di "boria". E' talmente convinto di essere l'uomo più sapiente del mondo da convincersi che il "dio" lo abbia dichiarato: in questo afferma di credere negli Dèi. Ma Socrate disprezza gli Dèi e gli uomini al punto tale da privarli della sapienza e della Coscienza di Sé.

A parte tutta la storia; domani verranno costruiti i campi di sterminio perché, tanto, gli zingari non hanno Coscienza di Sé, gli ebrei non hanno Coscienza di Sé, gli omosessuali non hanno Coscienza di Sé. Domani il pianeta verrà inquinato ed avvelenato perché tanto non ha Coscienza di Sé. Per fortuna che il Sole, per ora, è ancora un po' lontano.

Si!

Ci sono ragioni valide e fondate per decretare la morte di Socrate: Socrate era un parassita della società in cui viveva e uno dei suoi aguzzini che pretendeva di esserne il padrone.

L'arroganza è l'offesa alla vita che gli dèi non tollerano.

 

NOTA sono stati usati:

Le citazioni dell'Apologia di Socrate sono prese dal sito:

http://www.miti3000.it/mito/biblio/platone/apologia.htm

Controlli sono stati eseguiti con:

L'Apologia di Socrate Fabbri editore Rizzoli ristampa 1996

L'Apologia di Socrate Einaudi editore edizione CDE 1990

 

Teoria della Filosofia Aperta - Volume tre

 

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Quando un percorso sociale fallisce o esaurisce la sua spinta propulsiva, è bene tornare alle origini. Là dove il pensiero sociale è iniziato, analizzare le incongruenze del passato alla luce dell'esperienza e abbattere i piedistalli che furono posti a fondamento del percorso sociale esaurito.

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Marghera, 01 marzo 2014

Claudio Simeoni

Meccanico

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La Teoria della Filosofia Aperta

Le idee si presentano alla ragione come dei lampi intuitivi. Illuminano per un attimo la ragione e poi tendono a sparire annullate da una ragione che tende a riprendere il controllo sull'individuo. Le idee sono un'emozione che insorge con violenza dentro di noi e modifica la nostra descrizione del mondo, una descrizione che la ragione tende a ripristinare ma che l'emozione ha definitivamente compromesso. Una nuova descrizione, una nuova filosofia emerge dentro di noi e noi, qualunque sia il nostro grado di cultura, dobbiamo comunque confrontarla con la cultura del mondo in cui viviamo.