Giandomenico Romagnosi (1761 - 1835)

La scienza delle Costituzioni: scienza dei principi

Necessità della cognizione dei principi sociali

Riflessioni sulle idee di Romagnosi.

di Claudio Simeoni

 

Cod. ISBN 9788891185785

Teoria della Filosofia Aperta - Volume due

 

Seconda parte

Necessità della conoscenza dei principi sociali

Romagnosi sa che nel proporre una Costituzione deve affrontare un nuovo modo di pensare la società e il mondo in cui vive.

Negli uomini non esiste l'esperienza di un regime diverso da quello della monarchia assoluta. Le ribellioni in atto, dalla rivoluzione americana alla rivoluzione francese, sono state delle esplosioni che hanno portato alla nascita di ideali emotivi nei quali tendono le tensioni sociali. Quelli ideali emotivi sono stati riassorbiti dagli interessi politici ed economici e tuttavia spingono nelle società verso un futuro non ben definito. Gli uomini sanno che vogliono qualche cosa, ma non sanno che cosa. Robespierre, colui che definì i principi della libertà sociale, viene definito, dai suoi nemici, siano essi i girondini, i napoleonici, i monarchici e i clericali, colui che ha istituito "l'epoca del terrore". Come se le difficoltà dei "principi" fosse su un piano diverso delle difficoltà di terrore dei contadini, dei poveri, dei diseredati a cui principi, clero e altro, ogni giorno per decine di secoli distribuiva terrore a piene mani. Come se ghigliottinare Maria Antonietta fosse più grave che bruciare la contadina sul rogo accusata di stregoneria dal parroco di turno a cui aveva negato le prestazioni sessuali.

Uscire dall'idea della gerarchia sociale e della dipendenza delle società da un padrone, comunque lo si chiami, che si identifica col dio padrone, è una difficoltà che Romagnosi individua fin dall'inizio di questo trattato sulla Teoria Speciale.

Scrive il Romagnosi (pag. 866 del testo citato):

Nel mondo delle nazioni l'uomo tanto può quanto sa. Dunque prima di tutto conviene conoscere le dottrine di ragione di un temperato regime adatto ad una grande ed incivilita nazione. Poco è conoscere gli esempi, molto è conoscere i principii: tutto è conoscere l'arte di fondare e ordinare i poteri eminenti dello stato. Ho detto che noi conosciamo sufficientemente la teoria dell'eguaglianza, ma non conosciamo egualmente quella della libertà, e di quella libertà che deve risultare da un governo rappresentativo. Gli uomini più illuminati comprendono che la teoria dei governi rappresentativi è una teoria del tutto nuova. Le leggi quindi ordinatrici dei rappresentativi governi non possono secondo il corso naturale delle cose essere ancora perfette. Da Platone in qua fu ripetuto che le leggi non vengono perfezionate che colla scuola del tempo. Le leggi fondamentali dunque dei governi rappresentativi debbono subire il loro tirocinio al pari delle leggi di qualunque ordine. Diciamo ancor di più.

Una lotta più terribile è riservata a queste leggi, perocchè si tratta della riforma dei poteri dominatori delle genti. L'impresa sarebbe disperata, se un potere che sfugge le baionette e le catene non venisse alle prese colla ragione armata dei re, e se questa ragione armata non avesse il suo principio nella stessa opinione.

"L'uomo tanto può quanto sa"!

Questa frase, dal punto di vista della società, intesa come insieme di individui, inizia a circolare solo con la rivoluzione americana e con la rivoluzione francese. A fondamento di questa frase c'è "l'uomo che può".

Fino alla rivoluzione americana e alla rivoluzione francese, non esiste il concetto sociale secondo cui "l'uomo può".

Questo "l'uomo può" è una vera e propria insurrezione armata, un'insurrezione emotiva dentro all'animo umano, che ne sconvolge i parametri psicologici del suo essere nel mondo.

Fino ad allora solo "dio può". L'uomo, sottomesso e timoroso nei confronti di dio, era sottomesso e timoroso nei confronti delle autorità. Fin dalla primissima infanzia, era stato imposto all'uomo che "l'autorità deriva da dio" e agire contro l'autorità era agire contro dio. Non si trattava solo di commettere un delitto, ma commettere un peccato che travolgeva la sua struttura emotiva riempiendolo di sensi di colpa e di angoscia.

L'autorità deriva da dio: il re è re per volontà di dio. L'istituzione è istituzione per volontà di dio. Nulla poteva l'uomo contro la volontà di dio. L'uomo poteva obbedire ed essere sottomesso perché questo era il volere del suo dio.

Il re o la regina d'Inghilterra non erano forse tali per volontà di dio? La rivoluzione americana non fu forse una guerra contro la volontà di dio?

Il re e la regina di Francia, non erano forse re e regina per volontà di dio? La rivoluzione francese non fu forse una guerra contro la volontà di dio?

Romagnosi premette che l'uomo tanto può agire quanto più sa di poter agire!

Questi sono i "parametri" dell'uomo Costituzionale contro i parametri dell'uomo sottomesso alla dittatura del dio padrone.

Per questo motivo Romagnosi afferma che si conosce abbastanza la teoria dell'uguaglianza ma non abbastanza quella della libertà. Mentre il principio di uguaglianza sorge dal gregge del dio padrone dove tutte le persone sono uguali nel gregge agli occhi del dio padrone, il principio di libertà implica l'uguaglianza delle pecore al dio padrone: o le pecore si fanno dio padrone o il dio padrone diventa pecora del gregge. Solo che, se le pecore si considerano uguali al dio padrone uguaglianza e libertà coincidono, se il dio padrone scende fra le pecore (come col Gesù che si fa uomo) non esiste la possibilità da parte delle pecore di raggiungere la libertà nell'uguaglianza facendosi dio padrone. Il dio padrone, col giochino del Gesù che si fa uomo, ha truffato le pecore elevando a dignità il loro essere pecore in ginocchio davanti a lui.

Nella mitologia presocratica, sono gli uomini che, attraverso i loro percorsi, diventano Dèi.

Il farsi dio dell'uomo Costituzionale di Romagnosi è colui che tanto più può agire quanto più sa di poter agire in funzione del proprio intento sociale.

Romagnosi esce dal gregge cristiano per tornare ai principi del mito prima di Platone. Non a caso cita Platone, il carnefice della democrazia ateniese, che per far digerire leggi che imponevano il dominio dell'aristocrazia ai democratici affermava, secondo Romagnosi "che le leggi vengono perfezionate con la scuola del tempo".

Addestrare gli uomini ad accettare il dominio.

Ho presente un mio amico che decise di allevare a terra, nel suo terreno, delle galline. Un venditore gli consegnò delle galline cresciute nelle gabbie in batteria. Quando arrivarono le galline egli aprì le gabbie per farle uscire. Queste rimasero per ore davanti alla porta aperta della gabbia come paralizzate. Il mio amico telefonò al venditore per chiedergli spiegazioni e il venditore disse che: "era la razza". Le galline impiegarono molte ore per uscire da quella gabbia e dopo qualche giorno iniziarono a correre e a razzolare: non era più possibile rimetterle in gabbia, si erano conquistate lo spazio.

Gli uomini sono come quelle galline. Vengono educati alla sottomissione al dio padrone e temono la libertà perché paralizzati dalla violenza di chi "fa la volontà del dio padrone".

Chi fa la volontà del dio padrone non è né educato alla libertà né all'uguaglianza, ma solo a spargere il terrore che gli garantisce la sopravvivenza. Poi arrivano personaggi come Robespierre e i seminatori di terrore accusano Robespierre di seminare il terrore. Loro, il cui dio macella per divertimento le persone che non fanno sesso come lui vuole. Loro, le cui orecchie sono piene degli urli delle donne bruciate vive sui roghi, accusano altri di terrorizzarli!

Quando si inizia ad imporre una legge costituzionale, rileva Romagnosi, le leggi non sono perfette. Non si tratta di leggi che non sono perfette, ma di leggi che vengono immaginate da persone che hanno la necessità di costruire una libertà in una situazione sociale specifica. Non è la legge che ha necessità di rodaggio, ma la legge, le persone e la società tutta si deve modificare in funzione della libertà dei cittadini. Quando si impongono leggi di libertà che comportano una responsabilità soggettiva dei cittadini in una situazione sociale in cui i cittadini vengono educati ad essere paurosi e dipendenti da un padrone, questi cittadini non saranno in grado di assumersi la responsabilità che la legge richiede. Questo creerà difficoltà e disagio nella società e i detrattori ne approfitteranno per chiedere un ritorno all'assolutismo come fecero Fanfani, Moro, Andreotti e loro complici, con la Costituzione Italiana.

Infatti, Romagnosi dichiara che una lotta terribile coinvolge quelle leggi che cercano di limitare il potere dominante o peggio, attribuire al potere dominante dei doveri nei confronti dei cittadini a cui non vuole attenersi. In Italia ci furono tutta una serie di tentativi di colpo di Stato contro la Costituzione della Repubblica che si manifestarono dall'attentato a Portelle delle Ginestre alla Stazione di Bologna.

Scrive il Romagnosi (pag.867-868 del testo citato):

Questa opinione può dirsi veramente trionfante sol quando sa ben distruggere e ben edificare. Io non esigo perciò da tutto il mondo una completa cognizione della meccanica politica dei rappresentativi governi. Basta che questa scienza si trovi presso coloro ai quali fu commesso di ordinare la repubblica, e che nei più arda il desiderio della riforma. Per buona nostra sorte le grandi verità politiche quando sono compiutamente esposte sono sentite senza abbisognare di penose dimostrazioni. La cautela con la quale una prudente famiglia commette i suoi interessi ad un terzo, è sostanzialmente la stessa colla quale un popolo commette i suoi al suo governo. L'analogia dunque serve mirabilmente a far comprendere ed approvare le cautele costituzionali dettate dalla necessità ed esposte senza riguardi. Facile è dunque l'accoglimento delle buone teorie costituzionali presso i popoli, ma non è egualmente facile la loro scoperta e la loro esposizione.

Improvvisare una legge costituzionale è opera d'una intelligenza infinitamente superiore alla comune comprensione umana. Ma colla scuola di trent'anni, colle dispute di uomini pensatori, col meditare le leggi vitali degli stati, non si può forse sperare di far progredire la scienza? Capisco che si è agito molto e pensato poco; capisco che dall'essersi più imitato che pensato, si è fabbricato male, e coll'essersi mal fabbricato si è lasciato un gran vantaggio alla causa del dispotismo: ma nello stesso tempo intendo, che studiando gli errori commessi e indagandone le cagioni si giunge finalmente a scoprire il sentiero della verità. Lunga e penosa maniera è questa di giungere al vero e al bene, ma per mala nostra sorte è quella che ci pare riservata su questa terra. So che a movere le popolazioni non basta ancora il mostrar loro il vero; ma che fa d'uopo di farlo loro praticare quasi per forza; ma so del pari che almeno i pochi lo abbracciano quando loro sia svelato. Debole è per se stessa la voce del saggio, ma divien trionfante per l'opera stessa de' suoi nemici. Essi vessano, percuotono ed opprimono in tante maniere che fanno nascere il bisogno delle politiche riforme. Quale un malato tormentato dai dolori, le afflitte popolazioni cercano allora un rimedio, e venendo loro proposto dall'autorità e dall'esempio stendono la mano per approfittarne.

Ma a colui che scrive delle cose di uno stato, bastar forse può il solo esempio? Non mai. E' d'uopo a lui conoscere la meccanica politica, non per autorità ma per principii. E' necessario inoltre comunicarli agli ordinatori degli stati con tanta pienezza, ch'essi possano far senza degli esempi e camminare per sé stessi nella nuova carriera delle politiche riforme. Ardito sembrerà il pensiero di camminar per sé stessi a quelle anime alle quali mancando la dimostrazione o la confidenza nella teoria, non trovano appoggio che nell'autorità: ma a dir vero se mi conviene lodare il sentimento che gli anima di non arrischiare la cosa pubblica, io non posso approvare il partito che abbracciano. Uno è lo spirito, una la forza delle cose, e talmente unica, che se non viene colta tutta e praticata sola, noi siamo defraudati del proposto intento. Colla imitazione siete forse sicuro di aver colto il meglio? Colla imitazione siete forse preparato ai casi inopinati? Colla imitazione sapete forse se dovete progredire od arrestarvi? Colla imitazione finalmente potete voi discernere le eque dalle inique, le legittime dalle spurie leggi fondamentali?

Romagnosi è consapevole che i popoli sono educati all'obbedienza ad un padrone e non conoscono i meccanismi dei loro stessi governi. I popoli vengono educati a pensare che i loro governi siano naturali, li trovano "ovvi", voluti da dio, non pensano che sono delle architetture artificiali. Come architetture artificiali si possono modificare con architetture diverse, più funzionali alle proprie esigenze.

Il meccanismo che usa il Romagnosi come esempio, una famiglia umana che delega ad un terzo l'amministrazione, sottintende una volontà di delega che nessuno ha mai messo in atto. Non esiste un popolo che deleghi il governo ad un re. Esiste un re, un dio padrone, che impone sottomissione a sé stesso. Questa sottomissione, generazione dopo generazione, appare ai nuovi nati come una condizione naturale nella quale sviluppare le proprie strategie d'esistenza. Ma nessuno ha delegato il dominio al re o al dio padrone.

Una volta che un regime è diventato "naturale" nella percezione di un popolo non esiste nessuna verità che quel popolo può accettare al di fuori di quanto ritiene "naturale". E' un po' come l'ideologia del "salvatore" imposta agli uomini mediante la violenza dalla chiesa cattolica. I popoli sono tesi ad attendere un salvatore. L'attesa del salvatore è la loro predisposizione d'animo. Attendono un salvatore nella forma di Gesù che viene con grande potenza sulle nubi in un'ipotetica fine del mondo in cui cesseranno di essere costretti ad affrontare i problemi della loro esistenza. Questa predisposizione psichica, imposta dalla chiesa cattolica e dal cristianesimo in generale, si riproduce in ogni aspetto dell'esistenza. In politica arriva il salvatore. Deve arrivare "baffone". L'attesa dell'evento risolutore che ferma nell'attesa l'agire delle persone che, nell'attesa, si dimettono da soggetti che agiscono nella società. Chi è abituato ad attendere non può che vivere nell'attesa e muore nell'attesa dell'accadimento che non accadrà.

Chi attende non sa che farsene di una Costituzione in atto: non è in grado di agire e non coglie nella Costituzione un'opportunità d'azione. Sta ancora attendendo. Attende qualcuno che rimuova quella fastidiosa Costituzione che lo induce ad agire anziché continuare ad attendere.

Non basta "mostrare il vero", serve cambiare la predisposizione psichica della gallina nata e rinchiusa nella gabbia dell'attesa. Allora, e solo allora, la Costituzione assumerà un valore. Un valore che non è un valore di verità, ma è la garanzia di una libertà possibile.

Conoscere i principi della meccanica politica permette a chi intende modificare l'ordinamento Costituzionale di farlo senza mettere in discussione l'intera sopravvivenza dello Stato. Una Costituzione non sovverte un ordine nazionale, ma introduce una serie di modificazioni che vanno nella direzione della libertà sociale. E' necessario saper vendere quei principi per farli accettare anche da chi sta dominando in quel momento. Ad esempio, nella Costituzione della Repubblica Italiana vige il principio dell'uguaglianza di ogni religione davanti alla legge. Tale principio fu accolto dai rappresentanti costituzionali cattolici perché avevano paura dell'ateismo comunista. Garantire l'uguaglianza di ogni religione era una garanzia per loro stessi. Un principio di uguaglianza e di libertà fu assunto alla dignità Costituzionale perché fu "venduto" ai dominatori al momento giusto e nelle condizioni più opportune.

Romagnosi, nella Scienza dei principi che presento, introduce un altro aspetto di pratica Costituzionale che dovrebbe essere il faro guida per ogni Costituzione e ogni modifica Costituzionale.

"Ardito" dice Romagnosi "sembrerà il pensiero di cambiar per sé stessi a quelle anime alle quali mancano la dimostrazione o la confidenza nella teoria, non trovano appoggio che nell'autorità...".

Non si imita. Dice Romagnosi. E non ha torto. Ogni paese, ogni nazione, ogni popolo ha una cultura propria. In tale cultura ci sono tecniche specifiche di sottomissione e di controllo. Specifiche devono essere le strategie di quel popolo, quella nazione, di quel paese per costruire la propria libertà Costituzionale. Per dirla con le parole di oggi: "Non si può esportare democrazia; si può solo imporre schiavitù chiamata democrazia!". Anche se l'intento che ci spinge a costruire una Costituzione che garantisca libertà a tutti, non può essere uguale a tutti i popoli nella forma, nello spazio culturale o nel tempo. L'Intento di libertà è uguale, ma le norme che spingono alla libertà devono essere necessariamente diverse e proprie di quel popolo, paese o nazione.

Il trarre da sé e non imitare un'autoritas è un principio fondamentale della vita che Romagnosi ripropone come metodo per costruire una Costituzione contro chi afferma: lo ha detto dio; lo ha detto il papa; lo ha detto questa o quell'autorità.

L'intento è la costruzione di una Costituzione che sancisca delle libertà sociali, ma la forza della sua formulazione deve essere tratta da sé perché le modifiche che vengono introdotte nella società sono quelle che noi percepiamo come importanti. Il dio padrone dei cristiani determina una morale, ma lui non si sottopone a quella morale. Dunque, non è un'autorità credibile, è solo un despota criminale. Quando un popolo o degli uomini scrivono la Costituzione si assumono doveri e diritti che vengono estesi a tutti i cittadini: sé stessi compresi.

Fine della seconda parte

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Nota: Le citazioni di Giandomenico Romagnosi sono tratte da "Della Costituzione di una monarchia nazionale rappresentativa" (La scienza delle costituzioni) edito dalla Reale Accademia d'Italia tomo II 1937. Il brano commentato è l'appendice chiamata "Teoria Speciale", da pag. 859 a pagina 974.

 

Teoria della Filosofia Aperta - Volume due

 

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Quando un percorso sociale fallisce o esaurisce la sua spinta propulsiva, è bene tornare alle origini. Là dove il pensiero sociale è iniziato, analizzare le incongruenze del passato alla luce dell'esperienza e abbattere i piedistalli che furono posti a fondamento del percorso sociale esaurito.

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Marghera, 13 febbraio 2013

Claudio Simeoni

Meccanico

Apprendista Stregone

Guardiano dell'Anticristo

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e-mail: claudiosimeoni@libero.it

La Teoria della Filosofia Aperta

Le idee si presentano alla ragione come dei lampi intuitivi. Illuminano per un attimo la ragione e poi tendono a sparire annullate da una ragione che tende a riprendere il controllo sull'individuo. Le idee sono un'emozione che insorge con violenza dentro di noi e modifica la nostra descrizione del mondo, una descrizione che la ragione tende a ripristinare ma che l'emozione ha definitivamente compromesso. Una nuova descrizione, una nuova filosofia emerge dentro di noi e noi, qualunque sia il nostro grado di cultura, dobbiamo comunque confrontarla con la cultura del mondo in cui viviamo.