La reincarnazione come idea di Platone
Undicesima parte

di Claudio Simeoni

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Orfici e Platonici

La reincarnazione è il fondamento del platonismo. Con l'idea di reincarnazione Platone fonda l'Accademia di Atene. Questa idea viene portato in Asia e in India dai filosofi al seguito di Alessandro Magno. Alessandro Magno è imbevuto di tali credenze per averle studiate con Aristotele. Lo stesso Pirrone e Anassarco con altri filosofi di varie scuole, legate all'accademia, le hanno diffuse fra i jainisti nelle discussioni e nei confronti che hanno avuto.

Senza il discorso di Er e il concetto di reincarnazione di Platone, l'idea buddhista del karma non avrebbe potuto essere. Per riuscire a distruggere l'idea del karma dei Jainisti, era necessario passare per la reincarnazione di Platone. Solo allora e solo dopo che i filosofi greci si sono confrontati con i Jainisti, è nato il buddhismo con la sua idea di un karma trascendentale all'uomo, alla sua vita e al suo divenire.

Il discorso di Er è il discorso di Platone sulla sua concezione della morte e della reincarnazione. Di questo discorso riporto solo la situazione della reincarnazione dalla quale Er si risveglia sulla pira, prima che lo bruciassero credendolo morto. Inizio a riportare il discorso di Er dal momento in cui ad Er viene ordinato di presentarsi alle Moire:

Vedi:

Appena essi furon giunti, disse che dovettero andare dritti a presentarsi a Lachesi. E che un araldo anzitutto li dispose in fila, e poi, prese dalle ginocchia di Lachesi delle sorti e dei modelli di vite, e salito su un'alta tribuna, disse: "Parole della vergine Lachesi figlia di Ananke: anime effimere, ecco l'inizio di un altro periodo di vita del genere mortale, vita apportatrice di morte. Non voi un demone sorteggerà, ma voi stessi sceglierete un demone. E chi prima capita in sorte scelga per primo una vita, a cui per necessità sarà congiunto. la virtù è libera a tutti, e ognuno ne avrà più o meno a seconda che la pregia o la spregia. Responsabile è chi ha fatto la scelta, non la divinità".

Ciò detto egli gettò su tutti le sorti, ognuno tirò su quella cadutagli vicino, fuorché lui Er, cui non lo permisero; e chi aveva tratto su vedeva chiaro che numero d'ordine aveva tirato. Quindi colui pose in terra davanti a loro i modelli delle vite, assai più numerose dei presenti, e svariatissimi: vite di tutti gli animali e ogni sorta di vite umane. C'erano fra esse tirannidi, alcune compiute sino alla fine, altre rovinatesi a mezzo e finite in miseria, esilio e povertà; c'erano vite di uomini insigni, alcuni per l'aspetto, la bellezza e la gagliardia spiegata negli agoni, altri per nascita e virtù dei maggiori; e così di uomini per le stesse ragioni oscuri, e del pari di donne. Ma una gerarchia d'anime non c'era essendo necessario che ognuna divenisse diversa a seconda che avesse preso l'una o l'altra vita; del resto eran miste fra loro di ricchezze e povertà, alcune di malattie altre di insanità, alcune a mezzo fra questi estremi. Quivi dunque a quanto pare caro Glaucone, è per l'uomo il sommo rischio e perciò bisogna sommamente curare a che ognun di noi, tralasciati gli altri studi, questo studio ricerchi ed apprenda, se mai sia in grado di apprendere e trovare chi lo renderà capace ed esperto, distinguendo la vita buona dalla cattiva, a scegliere sempre e ovunque la migliore tra le varie possibili. Considerando egli tutte le cose or dette, messe insieme e distinte, su cosa valgano ai fini di una vita virtuosa, sapere qual bene o quale male produce la bellezza unita a povertà e ricchezza, e con quale disposizione d'anima; e nobiltà e ignobiltà di nascita, vita privata e pubblica, forza e debolezza, facilità e difficoltà ad apprendere, e ogni cosa del genere che per natura è insita nell'anima o vi è poi acquisita, quale effetto esse producono fra lor mescolate, in modo da esser in grado, tutto ciò ponderato, di scegliere, guardando alla natura dell'anima, tra la vita peggiore e la migliore, chiamando peggiore quella che la conduce a diventare più ingiusta e migliore quella che la porti ad esser più giusta.

E tutto il resto lo lascerà perdere; giacché abbiam visto che in vita e in morte questa è la scelta migliore. Bisogna quindi con tale opinione, salda d'adamantina saldezza, scender nell'Ade, affinché l'uomo sia anche li refrattario a lasciarsi colpire da ricchezza e simili malanni, e caduto in tirannie e altre simili azioni non abbia a commettere molti e insanabili mali, e a soffrirne di ancor maggiori lui stesso, ma sappia sempre scegliere la vita che è al mezzo di quanto è possibile di questa vita sia in tutta quella a venire. Così infatti l'uomo diventa quanto mai felice.

E anche allora il nunzio venuto di là riferì che quell'araldo così disse: "Anche per chi arrivi per ultimo, ma scelga con senno, e viva con stretta regola, c'è una vita desiderabile e non cattiva. Né il primo a scegliere sia negligente, né l'ultimo si scoraggi!".

Avendo egli così detto, disse Er che il primo che aveva tratto in sorte subito appena giunto scelse la maggior tirannide, e per dissennatezza e ingordigia scelse senza aver bene esaminato ogni cosa, ma non si accorse che vi era racchiuso il destino di divorare i suoi propri figli e altre sciagure. Quando poi con comodo la esaminò, si batté il viso e si mise a piangere la scelta fatta, non rispettando le norme che l'araldo in precedenza aveva bandite; che non sé stesso accusava di quei mali, ma la sorte gli Dèi e ogni cosa anziché sé stesso. Era costui uno di quelli venuti dal cielo, ed era vissuto in una prima vita in uno Stato bene ordinato, praticando la virtù per semplice abitudine, senza filosofia. E si può dire che tra quelli che si lasciavan cogliere in tale situazione non erano i men numerosi venuti dal cielo, inesperti com'erano di travagli, mentre la più parte di quelli che venivano dalla terra, per essersi essi stessi travagliati e aver visto ancor altri, facevan la scelta non così precipitosamente.

Ragion per cui la più parte delle anime venivano ad avere una permuta di mali e di beni, oltre che per il caso del sortegio: giacché, se uno sempre, al giungere in questa vita, filosofa rettamente, e la sorte della scelta non gli va a cadere fra gli uomini, è probabile, stando a quel che vien riferito di lì, che egli non solo qui sia felice, ma anche il viaggio da qui a lì, e di ritorno ancor qui, egli lo compia non sotterraneo ed aspro, ma piano e celeste.

Disse infatti Er che quello spettacolo era degno di essere visto, come le singole anime si sceglievano le vite, che era uno spettacolo pietoso a vedersi, ridicolo e meraviglioso. Per lo più, infatti, sceglievano secondo l'abitudine della vita anteriore: così disse d'aver visto l'anima che fu di Orfeo scegliersi una vita di cigno, non volendo, in odio del genere femminile per la morte di quelle sofferta, nascere generato nel grembo di una donna, e l'anima di Tamiri scegliersi la vita di un usignolo. Vide per contro un cigno che si sceglieva la vita di un uomo, e così altri animali musici. L'anima venuta in sorte ventesima si scelse la vita di un leone, ed era quella di Aiace Telemonio, che rifuggiva dal nascere uomo, pel ricordo del giudizio delle armi. A questa seguì quella di Agamennone, e anche questa, per avversione al genere umano per i dolori sofferti, prese in cambio la vita di un'aquila. L'anima di Atlanta, invece, capitata in sorte sul mezzo, e visti i grandi onori di un atleta, non seppe passar oltre e si prese quella vita. Dopo quella vide quella di Epeo figlio di Panopeo, che andava a scegliere la natura di una donna operaia , mentre lontano fra gli ultimi vide quella del buffone Tersite che assumeva la natura di una scimmia. L'anima di Ulisse capitata nel sorteggio ultima fra tutte, venne a fare la sua scelta, ma, guarita d'ogni ambizione per il ricordo degli antichi travagli, andò a lungo in giro cercando una vita d'uomo privato e sfaccendato, e la trovò a stento gettata lì in un canto e negletta dagli altri, ma disse a vederla che lo stesso avrebbe fatto anche se fosse sortita per prima, e se la prese tutta contenta. E le altre fiere così passavano a uomini e mutavan tra loro, le ingiuste cambiandosi in selvagge, le giuste in mansuete, e mescolandosi in ogni possibile combinazione. Quando tutte le anime si furono scelte le vite nell'ordine del sorteggio si avviarono a Lachesi; e questa a ciascuno dava a compagno il demone che si era scelto, qual custode della vita e adempitore della sorte prescelta.

Il quale, innanzi tutto conduceva l'anima da Cloto a far confermare, sotto la mano di lei e il volgersi del filo del fuso il destino che nel sorteggio si era prescelto; e toccata questa lo conduceva poi al filo di Atropo per fare immutabile il destino una volta filato, di qui senza voltarsi andava ai piedi del trono di Ananke, e passato attraverso quello e passati anche gli altri, tutti insieme si erano avviati alla pianura del Lete, attraverso una terribile calura e arsura, ché quel piano era privo di alberi e di vegetazioni della terra. fatta già sera, essi si erano attendati presso il fiume Amelete, la cui acqua nessun recipiente è buono a contenere, Tutti dovevano per forza bere una certa misura di quell'acqua, ma quelli non preservati da prudenza ne bevevano più della misura, e chi man mano vi beveva si scordava di tutto. Messisi a dormire e fatta mezzanotte, scoppiò un tuono e un terremoto e di là d'un tratto furono chi qua, chi là, trascinati su alla nascita filando veloci come stelle cadenti," Repubblica pag.382

Questo discorso di Er sarà riprodotto, in una forma adattata, anche nell'Apocalisse di Paolo trovata a Nag Hammadi che vengono datate attorno dal 150-200 d.c. Scritte in greco e tradotto in copto.

La soluzione che Platone ha escogitato altro non è che la legittimazione della struttura sociale che Platone ha imposto. Platone impone sia la Repubblica che il modello sociale dell'Atene che sconfigge Atlantide in un modello castale in cui gli schiavi e i servi sono tali perché hanno, nell'Ade, scelto una vita da servi e da schiavi. Chi certifica l'appartenenza alla casta è la nascita in quanto, quella casta, è stata scelta da chi è nato. Ma proprio perché è nato e appartiene a quella casta, significa che ha scelto di appartenervi.

In questi termini le idee di Platone saranno la base per la formulazione delle idee del buddhismo come aggressione ai concetti di libertà dell'uomo del jainismo.

Claudio Simeoni

Marghera, 29 gennaio 2012

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Oltre ai testi citati in indice, sono stati citati ed usati:

Storia delle Religioni - India a cura di Giovanni Filoramo Edizione La biblioteca di Repubblica

Le gesta del Buddha - di Asvaghosa edizione Bompiani 1987

Breve storia del buddhismo - di Edward Conze Edizione BUR 1985

Aforismi e discorsi del Buddha - a cura di Mario Piantelli edizioni TEA 1988

Il vangelo dei cani. Aforismi dei primi cinici - a cura di Luciano Parinetto ed. Stampa Alternativa 2001

La filosofia indiana - di S. Radhakrishnan - Edizioni Asram Vidya 1998

 

La nascita di Fanes, Protogono, Eros Primordiale

Sculture di Wolfgang Joop 54esima Biennale Venezia

 

Immagini della scuola di Atene di Raffaello

Tratte dalla riproduzione di un artista di strada

 

Particolare scuola di Atene

 

Platone e Aristotele

 

Scuola di Atene

 

Scuola di Atene

 

Vigili manganellatori propri dell'ideologia religiosa di Platone e cristiana

 

Fortificazione di Mestre: cristianesimo e Platonismo

 

Toro uno dei simboli dell'Orfismo

 

Cerimonia dionisiaca Palazzo musica Bologna

 

Orfeo e Platone

Si tratta di due modi diversi ed inconciliabili mediante i quali pensare e vivere il mondo in cui si nasce. Mentre Platone si fa artefice e demiurgo del mondo, Orfeo si fa cantore e viaggiatore del mondo in cui è nato. Mentre Platone, attraverso Socrate, pretende di imporre le leggi e le regole della società e dell'universo, Orfeo costruisce le relazioni con la vita e con la Natura. Platone, con Socrate, pretende di essere il padrone degli uomini, Orfeo un uomo che vive.

 

 

 

 

 

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