Jean-Paul Sartre 1905 – 1980

Il corpo, le sensazioni e le percezioni in l'Essere e il nulla

di Claudio Simeoni

Cod. ISBN 9788827811764

La Teoria della Filosofia Aperta: sesto volume

 

Filosofia Aperta - seconda parte (del volume)

Il corpo, la percezione e la sensazione

 

Continuare il discorso sul rapporto fra corpo e coscienza come espresso da Sartre, significa demolire tutta la filosofia esistenzialista il cui scopo è una folle ricerca della conferma platonica di separazione corpo-anima.

Non sono io che penso il mio corpo, è il mio corpo che pensa me.

Il mio corpo, pensando sé stesso, manifesta anche il pensiero che diventa Io. Il pensiero che diventa Io si ricava uno spazio nel pensiero del corpo e pensa il corpo separandosi dal pensiero del corpo.

Il corpo pensa nel senso che vive, si espande e progetta sé stesso e io, che penso me prodotto dal corpo che pensa, altro non sono che una definizione parziale di ciò che il mio corpo pensa.

Come è possibile che io possa affermare che il corpo pensa me e che quanto penso è un prodotto limitativo del pensiero del mio corpo?

Io non penso la sensazione. La sensazione sorge in me senza che io sia in grado di averla prima pensata. La sensazione stessa è un pensare la realtà da parte del mio corpo.

Nell'Essere e il nulla Sartre scrive:

Ma bisogna ancora capire bene. Infatti questa necessità appare tra due contingenze: da un lato, è necessario che io sia sotto forma di essere-là, quindi è del tutto contingente che io sia, perché non sono il fondamento del mio essere; dall'altra, se è necessario che io sia implicato in questo o quel punto di vista, è contingente che io lo sia precisamente in questo, escludendone ogni altro. Questa duplice contingenza, che comporta una necessità, l'abbiamo chiamata la fatticità del per-sé. E l'abbiamo descritta nella seconda parte di quest' opera. Abbiamo dimostrato allora che l'in-sé, annullato e inghiottito nell'avvenimento assoluto che è l'apparizione del fondamento o nascimento del per-sé, rimane in seno al per-sé come la sua contingenza originale. Così il per-sé è sostenuto da una continua contingenza che riprende a sua volta e alla quale si assimila senza poterla mai sopprimere. Il per-sé non la trova in sé in nessuna parte, non può percepirla né conoscerla, neanche mediante il cogito riflessivo, perché la supera sempre verso le sue possibilità e non incontra in se stesso nient' altro che il nulla che deve essere. Tuttavia essa continua a essere in lui, e ci costringe a percepirei insieme come totalmente responsabili del nostro essere e come totalmente ingiustificabili. Ma di questa ingiustificabilità, il mondo ci rimanda l'immagine sotto forma dell'unità sintetica dei suoi rapporti univoci con me. E' assolutamente necessario che il mondo mi appaia in ordine. In questo senso, l'ordine sono io, in quell'immagine di me che ho descritto nell'ultimo capitolo della seconda parte. Ma è del tutto contingente che io sia questo ordine. Così esso appare come la disposizione necessaria e ingiustificabile della totalità degli esseri. L'ordine assolutamente necessario e ingiustificabile delle cose del mondo. L'ordine che sono io in quanto il mio nascere lo fa necessariamente esistere, e che mi sfugge in quanto io non sono il fondamento né del mio essere né di un tale essere, è il corpo quale è sul piano del per-sé. In questo senso si potrebbe definire il corpo come la forma contingente che assume la necessità della mia contingenza. Non è qualcosa di diverso dal per-sé; non è un in-sé nel per-sé, perché allora coagulerebbe tutto. Ma è il fatto che il per-sé non è il proprio fondamento, in quanto questo fatto si traduce nella necessità di esistere come essere contingente fra gli esseri contingenti. In quanto tale, il corpo non si distingue dalla situazione del per-sé, perché, per il per-sé, esistere o porsi sono una sola cosa; e d'altra parte esso si identifica con il mondo intero, in quanto il mondo è la situazione totale del per-sé e la misura della sua esistenza. Ma una situazione non è un puro dato contingente: anzi, non si manifesta se non in quanto il per-sé la supera verso se stesso. Di conseguenza il corpo-per-sé non è mai un dato che io possa conoscere: è là, ovunque, come superato, ed esiste solo in quanto lo fuggo nullificandomi; è ciò che io nullifico. [365 – 366]

Il mio corpo agisce in-sé e per-sé, ma l'ordine che io decreto per il mondo non è l'ordine del mondo e ciò che agisce per decretare quell'ordine non è l'oggetto in sé che sono, ma un'espressione del mio corpo che mi induce a pensarmi di essere in quell'ordine.

Nel rumore di fondo del mio agire si muove tempestoso e caotico un mondo che esiste in-sé e per-sé e nel quale il corpo che sono esiste in un caos esistenziale che solo marginalmente e saltuariamente interferisce con la coscienza razionale. Il più delle volte, il caos del mondo in cui il corpo che sono agisce, producendo e direzionando i suoi mutamenti, afferra riflessi di relazioni che l'ordine della ragione nega.

Il mio corpo è in perenne disgregazione e in una costante riaggregazione che conduce da una situazione di esistenza soggettiva ad una situazione seguente di esistenza soggettiva dove la riaggregazione manifesta un diverso corpo capace di usare una o più diverse coscienze che costruiscono relazioni con un mondo impossibile da definire nella sua interezza.

Il corpo è la realtà del mio esistere nel mondo. E' la realtà di una consapevolezza che agisce per modificarsi in un mondo che agisce per modificarsi costantemente.

Quel "Io sono" è solo una parte che il corpo esprime nella coscienza razionale. Una parte sia di ciò che sono, in quanto il mio corpo comprende "Io sono", sia di tutte le potenzialità del "mio essere" che vengono relegate nel rumore di fondo di esistenze possibili alle quali il mio "Io sono", che governa la coscienza razionale, può accedere per modificare il "Io sono" qualora le condizioni del mondo lo richiedano. Io e corpo non possono essere distinti perché io non esisto a prescindere dal corpo e il corpo agisce al di là della coscienza che "io" manifesto e che risulta essere un sottoprodotto del corpo. Un sottoprodotto perché il corpo esisteva prima che la mia coscienza razionale si formasse come necessità di risposta al mondo. Il corpo esisteva nella pancia della madre, ciò che non esisteva nella pancia della madre era l'ordine del mondo che, come sottoprodotto della coscienza del corpo, si è formata una volta che si è nati.

Scrive Sartre:

Il problema della conoscenza sensibile si era posto per noi con l'apparizione nel mondo di certi oggetti che chiamiamo i sensi. Per prima cosa abbiamo constatato che altri aveva degli occhi, e, in seguito, dei tecnici, sezionando i cadaveri, ci hanno insegnato la struttura di questi oggetti; hanno distinto la cornea dal cristallino e il cristallino dalla retina. Hanno stabilito che l'oggetto cristallino veniva a classificarsi in una famiglia di oggetti particolari, le lenti, e che si poteva applicare all' oggetto del loro studio le leggi dell'ottica geometrica che riguardano le lenti. Delle dissezioni anatomiche più precise, compiute man mano che gli strumenti chirurgici si perfezionavano, ci hanno insegnato che un fascio di nervi partiva dalla retina per giungere al cervello. Abbiamo esaminato al microscopio i nervi dei cadaveri e abbiamo dimostrato esattamente la loro traiettoria, il loro punto di partenza e il loro punto di arrivo. L'insieme di queste conoscenze riguardava dunque un certo oggetto spaziale chiamato l'occhio; e implicava l'esistenza dello spazio e del mondo; implicava, inoltre, il fatto che noi possiamo vedere questo occhio, toccando, cioè che noi saremmo provvisti di un punto di vista sensibile sulle cose. Infine, tra la nostra conoscenza dell'occhio e l'occhio stesso, si frappongono tutte le conoscenze tecniche (l'arte di usare gli scalpelli e i bisturi) e scientifiche (per esempio, l'ottica geometrica, che permette di costruire e di utilizzare i microscopi). Insomma, tra me e l'occhio che disseziono, sta tutto il mondo, quale lo faccio apparire con il mio stesso sorgere. [366 – 367]

L'occhio è un oggetto in sé ed è manifestazione del corpo. L'occhio percepisce e qualcos'altro, di quel corpo, interpreta. L'occhio, come insieme detto occhio, vive per sé stesso composto da un insieme che vive per sé stesso, che agisce per sé stesso e che, nell'agire per sé stesso, agisce alimentando l'agire del corpo nel suo abitare il mondo. Il corpo è l'occhio e l'occhio è il corpo come le infinite parti che vivono per sé e che nel vivere per sé compongono quello che chiamiamo occhio. Così alle infinite parti del corpo, vivendo per sé, permettono il funzionamento del corpo.

L'idea chiave non è, dunque, io vivo con un corpo, ma è un corpo che vive come espressione di un insieme che vive e che compone insiemi di insiemi viventi che alla fine chiamiamo corpo.

L'occhio non è l'occhio quando è separato dal corpo. L'occhio è l'occhio solo fintanto che è il corpo, senza il corpo l'occhio non è. E' un cadavere di occhio.

Viste in questo modo, io non posso dire di "avere una coscienza", ma devo prendere atto che ogni parte del mio corpo è un insieme di coscienze di soggetti che vivono e che le parti, come l'insieme del corpo, sono mediazioni di coscienze che agiscono e che si separano nei vari modi in cui avviene la comprensione del mondo. La coscienza risultante che chiamiamo "Io", è una coscienza specifica quale sottoprodotto di ciò che il mio corpo è nell'abitare il mondo.

Io, che penso, metto ordine nel mondo. Io sono solo un sottoprodotto dell'Io che abita il mondo. Per pensare e mettere ordine nel mondo e poter, allo stesso tempo, padroneggiare la descrizione del mondo io, come Io che pensa il mondo, sono stato costretto a selezionare una "fetta di mondo" estraendo il mondo da un rumore di fondo dell'esistenza che ha la capacità di manifestare i viventi.

Io, che penso, sono stato costretto a selezionare la capacità di percezione dei miei sensi per limitare la quantità e la qualità dei fenomeni che possono giungere alla mia coscienza. La decisione che la mia coscienza prende per ampliare la quantità di fenomeni che giungono alla coscienza è una decisione soggettiva che amplia leggermente ciò che è già stato circoscritto. Posso usare il cannocchiale e vedere la rotazione dei pianeti. Usare il cannocchiale implica un atto di volontà di modificare la quantità e la qualità dei fenomeni percepiti e un atto di volontà con cui far arrivare quei fenomeni alla coscienza. Un atto di volontà con cui modificare la coscienza affinché quei nuovi fenomeni concorrano a formare il suo giudizio. Nel processo Galilei, nessun cardinale cattolico ebbe la volontà di accedere a quella modificazione verificando. Il mio corpo può percepire, ma la mia coscienza limita la percezione.

Se io affermo e accetto l'affermazione che la mia coscienza è "Io, che penso, metto ordine nel mondo. Io sono solo un sottoprodotto dell'Io che abita il mondo". Significa aver relegato tutto ciò che non appartiene alla coscienza a rumore di fondo della mia esistenza, la domanda sorge spontanea: quante coscienze, che io posso definire Io, sono possibili se da quel rumore di fondo prelevo delle variabili da sostituire a quella che è in questo momento la mia coscienza? Cosa succede se vario ogni elemento costitutivo della mia coscienza producendo una nuova e diversa coscienza che metta la coscienza precedente nel rumore di fondo della nuova coscienza? Che cosa io chiamo l'"Io"?

Qual è dunque la potenza del mio corpo se in una realtà vissuta posso esprimere un numero superiore ad uno di coscienze rimando sempre lo stesso corpo che abita quel mondo? Cosa sono Io? Quali sono le possibilità di un Io che può, o capace di, esprimere più di una coscienza come propria rappresentazione nel mondo?

Prendendo atto di questo: che cos'è un corpo? Che relazione ha il corpo con quanto definisco come "Io" e come quell'Io si adatta e si plasma per rappresentarsi nel mondo?

In questo consiste il fallimento dell'esistenzialismo: io non sono solo ciò che mi rappresento. Il mio corpo si può rappresentare in molti modi che sono l'Io, ma non quell'Io, o altri Io che sono sempre quel corpo dal quale io dico "Io".

In un laboratorio si studiano parti di un corpo, ma parti morte di un corpo. L'occhio fuori dal corpo è un oggetto che si può studiare, ma è al di fuori del vedere, di quella funzione che avviene solo in relazione al corpo di cui l'occhio ne è parte. Il vedere non è l'occhio, ma il vedere, il guardare del corpo, non può prescindere dall'occhio. Quando l'occhio viene distinto dal corpo non c'è più il vedere e non c'è più l'occhio.

L'esistenzialismo sartriano può vivisezionare un corpo, ma il corpo vivisezionato è un cadavere che, al momento, la scienza non è in grado di riprodurre. Come non è in grado di riprodurre il "vedere" a cui l'occhio partecipa e che è capace di coinvolgere l'intero corpo predisponendolo ad agire. L'azione del vedere, tutta la predisposizione del corpo che viene suscitata dall'insieme di cui il vedere è parte, viene uccisa e sparisce nel momento in cui l'occhio viene separato dal corpo. Una volta uccisa questa, rimane l'anatomia. Ricostruendo la forma anatomica e riparando i danni di un qualche incidente, si può ripristinare la funzione dell'occhio Tuttavia è necessario che l'occhio sia nel corpo perché è il corpo che si esprime nell'occhio.

Tenendo presente che il mio corpo può manifestare un numero incontrollabile di "Io" mediante i quali qualificare la mia coscienza e che, tutti i possibili "Io" circondano l'Io che agisce e che impone la propria descrizione del mondo alla coscienza; che cosa può essere la sensazione?

Cosa dice Sartre delle sensazioni?

Scrive Sartre in Essere e il nulla:

1 ° Per stabilire la sensazione, si deve partire da un certo realismo: si prende come valevole la nostra percezione di altri, dei sensi di altri e degli strumenti conduttori.
2° Ma al livello della sensazione tutto questo realismo scompare: la sensazione, pura modificazione subita, ci dà informazioni solo su noi stessi, è del «vissuto».
3° E perciò, è questa che io do come base della mia conoscenza del mondo esteriore. Questa base non può essere il fondamento di un contatto reale con le cose: non ci permette di concepire una struttura intenzionale dello spirito. Dovremo chiamare oggettività non un legame immediato con l'essere, ma certi raggruppamenti di sensazioni che presenteranno più permanenza, più regolarità, o che si accorderanno meglio con l'insieme delle nostre rappresentazioni. In particolare, è così che dovremmo definire la nostra percezione di altri, degli organi sensibili di altri e degli strumenti conduttori: si tratta di formazioni soggettive di una coerenza particolare, ecco tutto. [371 – 372]

Se tutte le possibilità sono relegate nel rumore di fondo dell'esistenza, va da sé che anche l'Io che controlla la coscienza, un tempo fu rumore di fondo delle possibilità.

Da questo punto di vista si può contestare il concetto di sensazione come viene trattato da Sartre in l'Essere e il Nulla. Perché tutta la realtà che io percepisco è una realtà che un tempo non percepivo o la sua percezione non entrava a compartecipare alla mia coscienza.

Io percepisco il mondo, ma percepisco me stesso che si modifica modificando la percezione del mondo. Non posso dire se l'altro percepisce il mondo come lo percepisco io perché la mia percezione si è formata, mutamento dopo mutamento, nel momento stesso che ha abbandonato la percezione del mondo nell'età fetale.

La formazione del mio modo di percepire il mondo si è formata nella sollecitazione degli oggetti del mondo, percepiti ed elaborati soggettivamente, riproposti nel mondo attraverso la mia volontà che ha sperimentato, variando, la percezione degli oggetti e la loro collocazione nella mia descrizione del mondo e del modo con cui penso la qualità del mondo.

La mia non è "ricerca della verità del mondo", ma la mia migliore "interpretazione del mondo" al fine di vivere al meglio nel mondo. Pertanto, la mia percezione e la mia riproduzione di quanto percepisco non afferma una verità, ma una funzionalità del mio essere nel mondo.

Scrive Sartre in Essere e il nulla:

Qui non significa l'appartenenza al soggetto, cioè a un'ipseità che si motiva spontaneamente. La soggettività dello psicologo è di tutt'altra specie: manifesta, invece, l'inerzia e l'assenza di qualsiasi trascendenza. è soggettivo ciò che non può uscire da se stesso. E, in quanto la sensazione, essendo pura esteriorità, non può essere che un'impressione dello spirito, in quanto non è che se stessa, che quella figura che un risucchio ha formato nello spazio psichico, non è trascendenza, è il puro e semplice subito, la semplice determinazione della nostra recettività: è soggettività perché non è in nessun modo pre-sentatiua né rappresentativa, il soggettivo di altri-oggetto è puramente e semplicemente una cassetta chiusa. La sensazione è nella cassetta. Tale è la nozione di sensazione. è evidente l'assurdità. Prima di tutto, è puramente inventata. Non corrisponde a niente di ciò che io provo in me stesso o su altri. Noi non abbiamo mai percepito altro che l'universo oggettivo; tutte le nostre determinazioni personali presuppongono il mondo e sorgono come delle relazioni con il mondo. La sensazione, invece, presuppone che l'uomo sia già nel mondo, perché esso è provvisto di organi sensibili ed essa appare in lui come pura cessazione dei suoi rapporti con il mondo. [371]

La sensazione non è pura esteriorità. Semmai è l'oggetto esterno che stimola la risposta soggettiva, chiamata sensazione, che è "pura esteriorità". Ma se l'oggetto esterno è in grado di attivare la sensazione come risposta alla sua presenza, quella stessa sensazione può essere attivata dal soggetto senza la presenza dell'oggetto esteriore. Infatti, la malattia mentale spesso si genera da questo o produce questo: sensazioni senza oggetto esterno. Illusioni, allucinazioni e quant'altro.

Non è soggettivo "ciò che non può uscire da sé stesso", ma è soggettivo l'interpretazione del soggetto, al di là che quel soggetto trattenga per sé l'interpretazione soggettiva o tenti di oggettivarla, manifestarla o pretendere che la sua interpretazione soggettiva dei fenomeni sia la realtà in sé dei fenomeni stessi.

Quando Sartre afferma che:

"la sensazione, essendo pura esteriorità, non può essere che un'impressione dello spirito, in quanto non è che se stessa, che quella figura che un risucchio ha formato nello spazio psichico, non è trascendenza, è il puro e semplice subito, la semplice determinazione della nostra recettività: è soggettività perché non è in nessun modo presentatiua né rappresentativa, il soggettivo di altri-oggetto è puramente e semplicemente una cassetta chiusa. La sensazione è nella cassetta. [371]

Afferma una distinzione fra "spirito" e "cassetta", corpo. La sensazione, attivata da uno stimolo esterno, è interpretata e precisata dal divenuto del soggetto. L'interpretazione del soggetto viene riversata nell'oggettività sotto forma di descrizione o di azione.

Come può la sensazione essere sé stessa se privata dell'elaborazione soggettiva? L'oggetto esterno che interviene nella relazione eccita il soggetto, ma la sensazione che il soggetto esprime non è quella stimolata dall'oggetto esterno, ma dall'interpretazione soggettiva che ne fa il soggetto. Ciò che il soggetto esprime non è la stimolazione, che può essere una costante fra più soggetti, ma è la sua interpretazione della stimolazione che definisce percezione.

Dividere spirito da "cassetta" significa considerare la presenza di due entità diverse capaci di percepire i fenomeni a meno che noi non vogliamo privare la "cassetta" della sua possibilità di abitare il mondo. Ne segue che il fenomeno è percepito sia dalla "cassetta", corpo, che dallo "spirito", psiche. Ma la psiche non manifesta descrizioni di fenomeni solo in presenza di sollecitazioni esterne, in presenza di un oggetto. La psiche è un apparato con cui il corpo interpreta i fenomeni del mondo, ma in assenza di fenomeni del mondo, la psiche è in grado di produrre interpretazioni a prescindere date precedenti esperienze del corpo.

La psiche manifesta percezioni di un non percepito. La "cassetta" desiderante elabora i propri desideri sotto forma di percezione di una realtà oggettiva che non è percepita, ma solo immaginata che, però, viene espressa come percezione.

Gli altri, la sperimentazione della mia percezione, mi permette di costruire un "minimo comune denominatore" dell'oggetto che, interpretandolo soggettivamente, esprimo nel mondo. L'interpretazione che riproduco, chiamandola sensazione, viene oggettivata se incontra l'approvazione degli "altri" con cui vengo in relazione. Affermare l'esistenza di un dio creatore non è l'affermazione di un oggetto, ma è affermazione di un'interpretazione soggettiva della realtà che viene assunta come dato di realtà solo per la violenza con cui è espressa e, mediante la violenza, imposta alle altre persone fino a diventare, mediante la violenza, un dato culturale.

La sensazione è l'oggetto in sé che io riverso nel mondo. E' il prodotto della mia capacità di interpretare il mondo e non il prodotto della stimolazione provocata dagli oggetti del mondo. Gli oggetti del mondo stimolano la produzione della sensazione, ma io produco la sensazione anche senza la presenza degli oggetti nel mondo. Perché, forse, qualcuno pensa che alcuni uomini non abbiano la sensazione di essere in contatto col dio creatore? Lo percepiscono e ne elaborano l'idea anche sotto forma di allucinazioni. Non per questo il dio creatore è un oggetto esistente. L'oggetto sta nella costrizione che ha subito l'apparato percettivo del soggetto che non è più in grado di elaborare una percezione senza considerarla all'interno dell'esistenza di un dio creatore.

Scrive Sartre:

Nessun raggruppamento sintetico può conferire la qualità oggettiva a ciò che per principio è del vissuto. Se deve esserci percezione di oggetti nel mondo, bisogna che noi, dalla nostra stessa nascita, siamo di fronte al mondo e agli oggetti. La sensazione, nozione ibrida tra il soggettivo e l'oggettivo, concepita a partire dall' oggetto, e applicata poi al soggetto, esistenza bastarda che non si sa se viva di fatto o di diritto, la sensazione è un puro sogno degli psicologi, e bisogna rifiutarla deliberatamente da ogni seria teoria sui rapporti della coscienza con il mondo. [372]

Il vissuto non è un ente astratto. Il vissuto è solo il mio vissuto. Non esiste un vivere come oggetto in sé. Esiste la vita come oggetto in sé, ma il vivere è proprio del singolo soggetto che abita il mondo della Natura.

Pertanto, il filosofo può parlare del suo vissuto come esperienza soggettiva. Della sua percezione come esperienza soggettiva; della sua percezione come della sua esperienza soggettiva.

Noi percepiamo gli oggetti del mondo perché creiamo delle relazioni con gli oggetti del mondo. Quando Sartre afferma "bisogna che noi, dalla nostra stessa nascita, siamo di fronte al mondo e agli oggetti", non afferma la relazione che il soggetto instaura con gli oggetti del mondo, ma afferma la distanza che esiste fra il soggetto che egli considera e gli oggetti del mondo. Ma gli oggetti del mondo non si presentano al soggetto come oggetti immobili, ma come dei soggetti che stanno "davanti" al soggetto che Sartre considera. Pensiamo solo alla madre come oggetto che sta davanti al bambino. La madre e il bambino possono essere considerati oggetti solo partendo dal presupposto che il filosofo si identifichi con l'uno o con l'altro per formare il proprio ragionamento distinguendo il soggetto del ragionamento dall'oggetto che partecipa al suo ragionare.

Ma la madre e il bambino non sono soggetto ed oggetto, sono due soggetti che agiscono sia l'uno nei confronti dell'altro; sia ognuno nei confronti di sé stesso per adattarsi all'altro.

La percezione dei due soggetti non è solo dinamica, nel senso che le azioni di entrambi modifica le risposte e la qualità percettiva dell'altro, ma sono due corpi che entrano in relazione emotiva costruendo, mediante una percezione profonda, delle relazioni emotive, delle azioni che non si traducono in dati di coscienza ma in sensazioni che sorgono comunque dalla percezione costruita nelle relazioni.

Affermare che "uno è davanti all'altro", significa isolare i soggetti della vita dagli altri soggetti della vita. Significa non voler cogliere che le infinite azioni fatte nel mondo modificano i soggetti viventi nel mondo sia sul piano della quotidianità della ragione, sia nella struttura profonda della natura emotiva della vita.

La difficoltà di Sartre di cogliere la natura della sensazione come un sorgere della conoscenza al di fuori della coscienza razionale. Come se la conoscenza razionale fosse la padrona della vita dell'individuo, lo porta a dire:

Scrive Sartre:

La sensazione, nozione ibrida tra il soggettivo e l'oggettivo, concepita a partire dall' oggetto, e applicata poi al soggetto, esistenza bastarda che non si sa se viva di fatto o di diritto, la sensazione è un puro sogno degli psicologi, e bisogna rifiutarla deliberatamente da ogni seria teoria sui rapporti della coscienza con il mondo [372]

In sostanza, Sartre sta dicendo che è necessario rinnegare la struttura emotiva dell'uomo, le relazioni emotive che l'uomo costruisce nella sua vita, perché la sensazione, e con essa la struttura emotiva dell'uomo,

"è un puro sogno degli psicologi, e bisogna rifiutarla deliberatamente da ogni seria teoria sui rapporti della coscienza con il mondo"

Come se la vita, materia che si muove nel brodo primordiale, non fosse emozione calata nella materia. La ragione non era. Gli oggetti non erano. La sensazione, manifestata dall'emozione, costruiva l'intelligenza con cui quella coscienza si manifestava nel mondo mediante la propria volontà.

Il fatto che alla vita si sia sovrapposta la ragione e la ragione è diventata il dittatore della forma e della quantità che con numeri e parole costruisce una sorta di relazione fra gli Esseri Umani, non significa che si possa considerare la ragione come "la verità" del mondo, della percezione del mondo, degli oggetti del mondo o di noi stessi nel mondo.

Scrive Sartre:

Ma, inoltre, come abbiamo visto, una sensazione è soggettività pura. Come si può costruire un oggetto con la soggettività? Nessun raggruppamento sintetico può conferire la qualità oggettiva a ciò che per principio è del vissuto. Se deve esserci percezione di oggetti nel mondo, bisogna che noi, dalla nostra stessa nascita, siamo di fronte al mondo e agli oggetti. La sensazione, nozione ibrida tra il soggettivo e l'oggettivo, concepita a partire dall' oggetto, e applicata poi al soggetto, esistenza bastarda che non si sa se viva di fatto o di diritto, la sensazione è un puro sogno degli psicologi, e bisogna rifiutarla deliberatamente da ogni seria teoria sui rapporti della coscienza con il mondo. [372]

Tutto il mio essere nel mondo è soggettività del mio essere nel mondo. Ciò non toglie che gli oggetti con cui entro in relazione sono soggettività del loro essere nel mondo. Pertanto, la quantità e la qualità dei fenomeni che un soggetto/oggetto riversa nel mondo appartiene ad un immenso che la mia soggettività deve selezionare. La selezione dell'immenso dei fenomeni è una scelta soggettiva come è soggettiva la scelta di ignorare o di relegare nel rumore di fondo dell'esistenza altri fenomeni.

Quando leggo un giornale, seleziono le notizie di cui mi voglio occupare. Quando guardo i programmi televisivi seleziono la quantità di programmi che guardo. Nello stesso momento annullo tutta una serie di programmi che non guardo come annullo tutta una serie di notizie che non leggo o non approfondisco.

Quella selezione costruisce me stesso.

Io mi rappresento nel mondo in base alle notizie che ho selezionato e che concorrono a formare la conoscenza della mia coscienza. Se mi occupo di "calcio", il "calcio" invaderà ogni fibra del mio corpo e produrrà i miei modelli psicologici attraverso i quali interpreto il mondo in cui vivo.

Se mi interesso di filosofia o di politica, la filosofia e la politica invaderanno ogni fibra del mio corpo e produrrà i miei modelli psicologici attraverso i quali interpreto il mondo in cui vivo.

Se chi si occupa di calcio discute con chi si occupa di filosofia, i modelli del pensiero esposti risulteranno incomprensibili l'uno all'altro.

Il vissuto è una sequenza di emozioni. La sequenza di emozioni che forma la sostanza del vissuto soggettivo non può essere espressa mediante le parole perché le parole non descrivono l'emozione, ma solo l'interpretazione che dell'emozione ne dà la ragione in base alla propria descrizione del mondo. La "violenza emotiva" non è "violenza" per la struttura emotiva. E' violenza solo per gli effetti che la ragione descrive e identifica come "violenti". La "violenza emotiva" è l'atto con cui la vita nasce e con cui la vita si trasforma destrutturando ogni presente per ricomporlo in un piano diverso in cui fagocita l'esperienza, l'intuizione o nuove e diverse visioni del mondo.

Davanti al fatto che l'immenso emotivo genera la vita e che la ragione è solo una frazione dell'immenso in cui viviamo, Sartre è convinto che la frazione dell'immenso in cui viviamo sia una sorta di assoluto.

Sartre finisce per rifiutare il fatto che la sua coscienza si possa modificare per il fatto che la sensazione, prodotta dal corpo che abita il mondo, sorge dentro di lui quale il prodotto di relazioni fra sé e il mondo che sfuggono alla sua analisi e alla sua coscienza razionale.

Questa negazione dell'evidenza fa dire a Sartre:

La sensazione, nozione ibrida tra il soggettivo e l'oggettivo, concepita a partire dall' oggetto, e applicata poi al soggetto, esistenza bastarda che non si sa se viva di fatto o di diritto, la sensazione è un puro sogno degli psicologi, e bisogna rifiutarla deliberatamente da ogni seria teoria sui rapporti della coscienza con il mondo. [372]

E' proprio dell'esistenzialista negare la complessità del mondo. Ed è proprio dell'esistenzialista non comprendere che la vita, sotto qualunque forma si manifesti, è intelligenza, comprensione, comunicazione, adattamento soggettivo, bisogno e necessità che viene riversata nel mondo mediante la volontà specifica di quella vita.

E' proprio dell'esistenzialista non voler considerare l'uomo in perenne trasformazione, in perenne modificazione, in perenne mutamento.

E' proprio dell'esistenzialista non considerare che l'uomo si costruisce e che la qualità della sua costruzione dipende dalla qualità delle relazioni che l'uomo costruisce nel mondo.

Un corpo fisico che abita il mondo è un immenso insieme di coscienze e di consapevolezze che modificano sé stesse e pensano il mondo in cui vivono agendo per sé stesse e in funzione di sé stesse. Come posso pensare che il malessere della mia flora batterica non arrivi alla coscienza sotto forma di sensazione di malessere? Come posso pensare che le relazioni emotive, che le mie emozioni, non agiscono nel mondo e non comunichino, mediante le sensazioni, le loro percezione alla mia coscienza?

Il mio corpo che abita il mondo è un'immensa colonia di coscienze, chiamatele cellule, batteri e virus, che abitano il mio corpo e il mondo in cui il mio corpo vive. Come si può pensare che loro non vivano nel mondo, non palpino il mondo e non inviano segnali alla mia coscienza per il loro e mio benessere?

L'idea di Sartre è l'idea creazionista: l'uomo al centro del mondo e la ragione dell'uomo al centro dell'universo. Al centro, fuori, distaccato dall'insieme in cui è nato, si è sviluppato ed è vissuto. Nella testa di Sartre, il corpo dell'uomo appare in sé, senza una terra, senza un'atmosfera, senza emozioni e senza tensioni di necessità emotiva.

Che cos'è il mio corpo se non un immenso che ho costretto, crescendo, al silenzio per rinchiuderlo in una ragione che con la sua descrizione vorrebbe determinare la sua realtà?

Liberare il corpo da quella prigione è l'arte dell'Eros primordiale che esce dall'uovo luminoso e che spezza le membra e scioglie i legamenti delle costrizioni permettendo alle sensazioni prodotte, dalle relazioni emotive, di giungere alla coscienza.

Sartre, prigioniero dell'idea creazionista cristiana, non è in grado di pensare ad un mondo che si trasforma in sé e per sé.

 

Marghera, 30 settembre 2017

 

 

La Teoria della Filosofia Aperta: sesto volume

 

Filosofia Aperta - seconda parte (del volume)

 

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Marghera, 30 settembre 2017

Claudio Simeoni

Meccanico

Apprendista Stregone

Guardiano dell'Anticristo

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La Teoria della Filosofia Aperta

Le idee si presentano alla ragione come dei lampi intuitivi. Illuminano per un attimo la ragione e poi tendono a sparire annullate da una ragione che tende a riprendere il controllo sull'individuo. Le idee sono un'emozione che insorge con violenza dentro di noi e modifica la nostra descrizione del mondo, una descrizione che la ragione tende a ripristinare ma che l'emozione ha definitivamente compromesso. Una nuova descrizione, una nuova filosofia emerge dentro di noi e noi, qualunque sia il nostro grado di cultura, dobbiamo comunque confrontarla con la cultura del mondo in cui viviamo.