Platone (427 a.c. - 347 a.c.)

Platone e i poeti

di Claudio Simeoni

Cod. ISBN 9788827811764

La Teoria della Filosofia Aperta: sesto volume

 

Filosofia Aperta su Platone

 

Torturare e sterminare in nome dello Stato senza farsi problemi

Il sentimento è quanto le relazioni col mondo suscitano in noi. Noi percepiamo il mondo, lo viviamo, interagiamo con le difficoltà che i soggetti nel mondo incontrano e veniamo travolti dalle loro emozioni e dalla loro rappresentazione delle loro emozioni.

L'emozione ci ha spinti a nascere, le emozioni ci legano al mondo indicandoci realtà del mondo che la ragione, che basa sé stessa sulla quantità e sulla forma, nega perché l'emozione non ha quantità e non ha forma.

La realtà che Platone descrive nella Repubblica è una realtà razionalmente falsa e da una logica sociale immotivata. Lo stesso ruolo dei guardiani e dei filosofi assegnato da Platone in un'ipotetica società definita nella Repubblica è un ruolo improprio perché il filosofo come, Platone, non indaga il mondo, ma al mondo sostituisce la sua idea del mondo che è frutto dell'incapacità di Platone di vivere nel mondo.

La falsità non appartiene al poeta. Il poeta, come Omero, trasforma il respiro emotivo delle relazioni con il mondo in un forma razionalmente possibile per poter ritrovare quel respiro in situazioni diverse. Il poeta assegna una forma razionale al sentimento per poterlo trasmettere in una forma culturalmente comprensibile.

L'uomo piange quando è afflitto dal dolore o come compartecipe al dolore di altri. L'uomo ride quando condizioni buffe vengono rappresentate alla sua ragione.

L'uomo ride di Socrate che giustifica il suo assolutismo, come ride della tragedia rappresentata dalla pretesa di Platone di essere il tiranno a cui tutti gli uomini si devono sottomettere.

L'uomo piange, sia per il dolore che prova che per relazioni che negano le sue aspettative. Piange partecipando al dolore di uomini in una società in cui il dolore di uno è il dolore di tutti.

Non ride e non piange colui che gestisce i forni crematori dei campi di sterminio. Quelli che uccide non sono uomini come lui. Non hanno i suoi stessi sentimenti, Non abitano allo stesso modo il mondo. Sono bestie distanti dal suo sentimento e per questo li può ammazzare.

Platone ha paura della poesia di Omero perché la poesia descrive l'uomo che ha sentimenti, l'uomo che vive emozioni e abita un mondo pieno di emozioni. Gli Dèi del mondo di Omero sono Dèi che amano, lottano, diventano e si trasformano perché manifestano passioni e desideri.

La poesia di Omero permette all'uomo di non trasformarsi in un aguzzino in funzione dello Stato o in funzione del dio padrone e creatore. L'uomo che partecipa alla battaglia di Ilio non gestisce forni crematori. L'uomo che si fa Ulisse navigando per i mari dell'umana esistenza, non tortura le persone nei posti di polizia.

Scrive Platone:

«Introduciamo il problema in questa maniera. Secondo noi l'arte mimetica rappresenta uomini che compiono gesti volontari o involontari; che per questo loro modo di fare credono di aver agito bene o male, e che, in tali circostanze, sono ora tristi ora felici. C'è qualcos'altro da aggiungere riguardo a quest' arte?».
«Nulla».
«Ebbene, in tutte queste condizioni l'uomo è in accordo con se stesso? Oppure, come nel caso della vista era in se stesso diviso e aveva nello stesso tempo opinioni opposte sui medesimi oggetti, così anche in questo caso sarà incoerente e interiormente combattuto nel suo modo d'agire? Ma, a pensarci bene, non è necessario che su tale punto ora si trovi unanimità, perché tutta questa materia è già stata sufficientemente trattata nei discorsi precedenti in cui si conveniva nel riconoscere la presenza contemporanea nella nostra anima di un 'infinità di contraddizioni siffatte, le quali la riempiono completamente».
«Giusto», disse.

Pag. 1313

La poesia, secondo Platone, alimenta "la presenza contemporanea nella nostra anima di un'infinità di contraddizioni…. che la riempiono completamente".

A differenza di quanto afferma Platone, le infinite contraddizioni sono gli infiniti sentimenti che suscitano in noi le relazioni col mondo in cui viviamo e che ci permettono di modificare e costruire noi stessi, come è avvenuto da miliardi di anni.

La forma del mondo è una forma che la ragione fissa soggettivamente, ma la forma del mondo fissata è prodotta da tutti i sentimenti e le emozioni che l'uomo ha vissuto nella sua vita fin da quando stava nella pancia della madre.

I sentimenti ci portano alla compartecipazione con i sentimenti dei soggetti del mondo. Ci portano a vivere la vita come una grande battaglia di Ilio alla quale gli Dèi ci chiamano. Solo che a Platone non interessa partecipare alla battaglia della vita, egli pretende di essere il padrone della vita e gli uomini devono obbedire ai suoi ordini anche quando ordina loro di far funzionare le camere a gas.

Per costruire uomini capaci di far funzionare le camere a gas è necessario uccidere dentro di loro il sentimento di compartecipazione alle condizioni e alle contraddizioni del mondo.

Da questa necessità Platone dà le sue direttive di guerra contro i poeti che raccontano le condizioni dell'esistenza di uomini e Dèi in una compartecipazione che è in odio a Platone.

Scrive Platone:

"Conseguentemente, dovremmo censurare anche tutti quei nomi terribili e paurosi, e il Cocito e lo Stige, e gli esseri dell'oltretomba, i morti e ancora tutti quegli altri nomi che, al solo sentirli pronunciare, come è facile ad immaginare, fanno rabbrividire. Ora, può darsi che un altro punto di vista torni utile, ma noi ci preoccupiamo per i guardiani, che per tali brividi non si riducano febbricitanti, o troppo fiacchi."

Pag. 1133

La poesia, il mito, infiacchisce gli uomini. Impedisce loro di azionare le camere a gas. Impedisce loro di fare quanto è necessario per il "bene dello Stato" contro un "popolo" che deve funzionare.

Gli uomini affrontano condizioni e contraddizioni della loro esistenza e in quelle condizioni versano le loro emozioni e compartecipano alle emozioni dei soggetti con cui costruiscono le relazioni. Nessuno deve costruire delle relazioni di compartecipazione per poter essere controllato dallo Stato e, in questo modo, viene chiuso ogni possibilità di pensare alle proprie azioni come portatrici di una modificazione del presente vissuto. Se ciò avvenisse, anche lo Stato dovrebbe modificarsi e adattarsi e, questa eventualità, è un'eventualità che Platone nega e condanna.

Che l'azione abbia conseguenze e che le conseguenze siano effetti, Platone lo nega accettandolo soltanto nella reincarnazione attraverso la quale può criminalizzare gli individui per poterli controllare.

Scrive Platone:

"E' giusto dunque togliere via i lamenti degli uomini di gran fama, per lasciarli alle donne, e non a donne di carattere, ma piuttosto a uomini da nulla, di modo che quelli che noi diciamo di voler preparare alla difesa dello Stato si guardino bene dall'imitare comportamenti siffatti".

Pag. 1133

Chi è preposto ad agire in funzione dello Stato, nel far funzionare i forni crematori e nel torturare i cittadini, non deve lasciarsi andare a relazioni compassionevoli nei confronti delle sue vittime. La compassione va lasciata alle "donnette" che sono oggetto di possesso e che devono essere compassionevoli nei confronti dei loro aguzzini e dei loro violentatori. La con-passione va lasciata a uomini da nulla che devono essere additati a disprezzo affinché i loro aguzzini, al servizio dello Stato, possano infierire senza problemi di coscienza.

Secondo Platone, il poeta, Omero, con i suoi esempi porta gli uomini a vivere da uomini mentre a Platone, per far funzionare il suo dominio, ha bisogno di macchine, uomini macchina, che eseguono gli ordini e, negando la propria percezione emotiva, rinchiudono sé stessi nei doveri imposti dallo Stato ( o dal dio padrone).

Di questa attività educativa volta alla distruzione della percezione emotiva del mondo ne ho un esempio, oggi a Lusiana, in via Abriani il 29 luglio 2017 alle ore 13.05 dove i proclami della mia vicina, nei confronti del figlio di circa due anni, sono ossessivi, continuativi, proclami infiniti di "no" e di "non si deve" il cui unico scopo e la cui unica funzione è quella di costringere il bambino a separarsi dal mondo e dalle emozioni del mondo. Una ripetizione continua di parole che assordano ogni possibilità di relazione emotiva del bambino col mondo in cui vive. Come piace a Platone. Un "guardiano" privato delle relazioni emotive con il mondo sa fare solo violenza al mondo. Una violenza con cui riempire il vuoto emotivo in cui è stato costretto. Come lo stupratore che con l'atto di stupro copre la sua incapacità di amare.

Scrive Platone:

"E allora torneremo a pregare Omero e tutti gli altri poeti di non mettere in scena un Achille, figlio di una Dea, mentre "talora giace su un fianco, tal altra / si trova supino, tal altra ancora piegato innanzi" oppure mentre ritto sui piedi, "si aggira fuori di sé sulla spiaggia del mare agitato"; o anche nell'atto con chi, con ambedue le mani, prendendo polvere mista a cenere, se la sparge sul capo. Neppure dovrebbe mostrarci, come in effetti ci ha rappresentato, un Achille che indulge a pianti e lamenti, e neppure un Priamo, uomo di stirpe quasi divina, nell'atteggiamento di un supplice e di chi "avvoltolandosi nel fango / chiama nome per nome ciascuno degli uomini".
"Ma con maggior insistenza lo inviteremo a non ritrarre gli Dèi affranti dalla sofferenza mentre dicono: "Ahimè disgrazia, ahimè sventura madre di un eroe" E se proprio volessero così ritrarli, meno si trattengono dal rappresentare il principe degli Dèi in una forma così distante dal vero dal mettergli in bocca queste parole "Che terribile spettacolo! Un uomo a me caro inseguito tutt'intorno alla rocca, / lo vedo con i miei occhi e il mio cuore è tutto un lamento" oppure queste altre; "Me infelice, perché Sarpedone, per me il più caro degli uomini / è destino che soccombe per mano di Patroclo, il figlio di Menezio" Se infatti, caro Alimanto, i nostri giovani dovessero prendere sul serio questi racconti, anziché scherzarci sopra come fossero cose non degne di considerazione, sarebbe poi difficile che qualcuno di loro potesse sentirsi responsabile o colpevole, quando gli succeda di assumere nei fatti e nelle parole atteggiamenti similari, essendo, dopotutto, soltanto un essere umano. Piuttosto, senza alcun ritegno né dignità, ad ogni minima contrarietà si abbandonerebbe a lamentazioni e a pianti".

Pag. 1133 – 1134

Platone ha bisogno di uomini ridotti a macchine che hanno rinunciato alla loro intelligenza e alle loro passioni. Uomini pronti ad eseguire gli ordini, pronti a macellare chiunque senza partecipare al dolore dei macellati. I macellati non sono uomini, non hanno coscienza, non hanno dignità, vanno macellati e non pensati o vissuti come uomini, come persone, che vivono le sofferenze inflitte.

E i guardiani, coloro che rifiutando il mito, si estraniano dalla dignità di essere uomini e di vivere come persone in un mondo che viene abitato da sentimenti e da passioni. Non sono forse gli uomini-macchina di Platone che aprono i rubinetti del gas nei campi di sterminio che, tanto, le persone che ammazzano sono loro estranee?

Chi può mentire. Platone mente agli uomini nel tentativo di distruggerne il loro futuro, ma tutti gli uomini non devono mentire al padrone. Il padrone Platone può usare la menzogna, gli uomini non devono sopravvivere mentendo al padrone, non devono vivere se non sono obbedienti e sottomessi. Il padrone, il dio dei cristiani, può mentire; gli uomini che mentono al padrone, al dio dei cristiani, vanno ammazzati.

E in questo contesto dice Platone:

"Se, dunque, nel nostro Stato uno dovesse cogliere in flagranza di menzogna di qualcun altro, "si tratti di artigiano, / di profeta, di guaritore di mali, o lavorante del legno" lo potrà punire come si trattasse di uno che introduce costumi sovversivi e rovinosi per la Città, non meno che per una nave"

Pag. 1134 – 1135

Il problema non è se il falegname introduce la menzogna nella società. Il problema è quando c'è un tiranno. L'esistenza di un tiranno, di un filosofo, separato dalla società è una menzogna in sé. Il tiranno è menzogna. I "difensori" dello Stato sono una menzogna. La menzogna contro gli uomini è l'atto con cui Platone offende i poeti. Platone stesso, che fa della menzogna il fondamento delle sue elucubrazioni: chi lo coglie in fragranza e chi lo condanna? L'infamia di Platone è la menzogna che pretende di essere venduta come una verità oggettiva contro un Mito di cui non comprende né la funzione né il ruolo nella vita dell'uomo.

Platone vuole costruire l'uomo nazista. L'assassino in nome e per conto dello Stato. Il criminale che si è separato dall'insieme degli uomini per poterli macellare. L'uomo voluto da Platone è il macellaio di Sodoma e Gomorra, l'assassino per eccellenza. Non c'è sentimento in Platone. Non c'è razionalità in Platone. C'è solo un delirio senza fine che continua all'infinito per rendere lo Stato il dio che incarna il desiderio di potere di Platone.

Capire che gli Dèi amano, progettano, mettono in atto azioni in obbedienza a necessità che li spinge a trasformarsi continuamente in contraddizioni perenni, non appartiene all'intelligenza di Platone. Platone vuole ridurre tutta la realtà ad una rappresentazione statica. La rappresentazione statica della sua soggettività viene da Platone oggettivata con una tale violenza che contro Platone interverrà Pirrone che alla verità assoluta imposta da Platone imporrà il concetto di scetticismo come lo apprenderà in India dai ginnosofisti.

La lotta di Platone contro i poeti non è la lotta del razionale contro l'irrazionale, ma è la lotta del delirante contro i sentimenti dell'uomo che abita il mondo. Platone è il delirante che desidera detenere il potere sugli uomini e che per ottenere quel potere vuole costruire uomini senza sentimento, senza dignità, senza passioni.

Scrive Platone:

"E il culmine della temperanza non sta forse nell'obbedienza ai superiori e nell'essere noi stessi superiori ai piaceri del mangiare, del bere e del sesso?"

Pag. 1135

Obbedienza al padrone mentre si macellano i cittadini. Questo è l'ideale di Platone.

Scrive Platone:

«Tuttavia, alla poesia non abbiamo ancora contestato il capo d'accusa più grave. L'aspetto più inquietante, infatti, è che essa, fatta eccezione per pochissimi individui, riesce addirittura a corromperei e persone per bene».
«E come non potrebbe essere grave l'accusa, se davvero essa si comporta in tal modo?».
«Ascoltami e rifletti. Tu sai che i più sensibili di noi, quando sentono la poesia di Omero o di un qualche tragico che imita uno dei tanti eroi prostrati dal dolore e dilungandosi in lamentose litanie di lamenti, o gente che canta i suoi mali battendosi il capo, provano diletto per questo e si abbandonano a seguire tali personaggi, soffrendo con loro, ed anzi, lodando con convinzione come buon poeta, quello che più degli altri sappia disporli in un siffatto stato d'animo».
«Lo so. Come no!».
«Ma quando ci colpisce un lutto in famiglia, vedi bene che ci vantiamo dell' esatto contrario, e cioè di far mostra di serenità e di forza d'animo, come se questo atteggiamento fosse da uomini, e l'altro, quello che prima lodavamo, da donnicciole».
«Lo capisco», disse.
«E allora - seguitai - che cos'ha di bello una lode di tal genere? Che senso ha stare a vedere un uomo siffatto, modello di ciò che uno non deve essere o deve vergognarsi di essere, e, anziché averne orrore, compiacersene e lodarlo?».
«Per Zeus! - esclamò -. Non sembra affatto ragionevole».
«Eppure sì - osservai -, se lo consideri sotto un'altra prospettiva».
«Quale?».
«Devi considerare che i poeti danno soddisfazione e gratificazione proprio a quella parte che con grande sforzo noi cerchiamo di contenere nei momenti di lutto familiare e che di per sé non vorrebbe altro che pianti e lamenti, di cui desidera saziarsi, essendo per natura attratta da essi. Intanto, la nostra facoltà migliore, non essendo abbastanza educata dall' abitudine al ragionamento, allenta il controllo su questa parte lamentosa, perché è impegnata a rimirare le sofferenze altrui, senza per nulla ritener scandaloso che un uomo, che pur si dichiara virtuoso, si lamenti in un modo tanto scomposto; ed anzi di quest'uomo tesse le lodi e lo compatisce. Essa ha addirittura la pretesa di trarre da ciò un godimento: al quale non vuol saperne di rinunciare, considerando con disprezzo l'intero poema. Del resto, a mio giudizio, a pochi è dato di comprendere la necessità che ognuno per la propria parte faccia tesoro delle esperienze altrui; e inoltre, non è affatto facile contenere la commiserazione delle proprie sventure dopo averla alimentata e potenziata per quelle altrui».
«è verissimo», ammise lui.
«E lo stesso discorso non vale anche per il riso? Effettivamente, il tuo modo di agire non sarebbe identico a quello assunto nei confronti della compassione, se, anziché rifiutare come una solenne sciocchezza quelle cose che tu stesso non oseresti mai fare per suscitare il riso, mostrassi di divertirti un mondo ascoltandole nella caricatura di una commedia o in privato? Allora quella volontà di far ridere che tu trattenevi in te stesso con la ragione per paura di far la figura del buffone, in quell'occasione ha libero sfogo, perché, avendole dato forza, a tua insaputa, più di una volta affiora in famiglia: ed eccoti così trasformato in commediante».
«Purtroppo», disse lui.
«E la poesia in quanto imitazione suscita in noi le stesse reazioni anche nei confronti dei piaceri d' amore e del sentimento dell'ira e di tutti gli altri moti dell' anima sia piacevoli che dolorosi, i quali, a nostro dire, accompagnano ogni nostro gesto. Essa, in effetti, li concima e li innaffia, mentre dovrebbe inaridirli; e poi dentro di noi li istituisce come dominatori, mentre dovrebbero essere dominati, se davvero vogliamo diventare più buoni e felici da malvagi e infelici che eravamo».
«Non saprei dire altrimenti», ammise.

Pag. 1315 - 1316

Per Platone la filosofia non parla della vita. La vita è l'opposto della ragione e della legge e la legge deve negare la vita in funzione dell'esistenza dello Stato.

Tutto ciò che nella vita sociale ci qualifica come uomini che vivono con passione le tensioni del mondo è quanto Platone vuole distruggere nell'uomo per trasformarlo in una macchina.

Il dolore deve essere negato all'uomo perché è necessario negare che la vita è fatta di contraddizioni, atti di volontà, passione e desideri. Tutto questo per Platone è il male.

Questo modello d'uomo, l'uomo che non deve piangere perché considerato "uomo forte", faceva parte dell'ideale cristiano e nazista. L'uomo per Platone è separato dal mondo, dal dolore del mondo, mentre, nel mito, l'uomo vive le passioni del mondo con co-partecipazione. La sua struttura emotiva dell'uomo si esalta e soffre a seconda di come vive le contraddizioni che affronta in un mondo che abita.

Anche la moderna rappresentazione dell'uomo ha trovato necessario uscire dall'aberrazione di Platone. L'uomo che ama, che soffre, che si lamenta, che urla per il dolore è un uomo superiore all'uomo che negando le relazioni con il mondo si separa dal mondo e non coglie il dolore della compartecipazione fra sé e il mondo. L'uomo superiore non è l'uomo che non piange e non ride, ma è colui che manifesta i suoi sentimenti sul proprio volto in continue relazioni col mondo in cui coinvolge le sue emozioni.

E' necessario tessere le lodi dell'uomo appassionato che soffre e che esulta per sé stesso e per gli altri perché quell'uomo non diventa una macchina capace di aprire acriticamente i rubinetti per gasare i prigionieri rinchiusi e non sarà mai colui che tortura l'uomo legato per compiacere Platone e lo Stato.

Il "riso abbonda sulla bocca degli sciocchi", ma coloro che non sanno ridere non sanno nemmeno far arrivare la felicità al loro viso. Non sanno bearsi dei piaceri del mondo e non sanno compiacersi quando il "potrebbe essere" o "il credevo che fosse" non si realizza.

La poesia che parla degli Dèi suscita negli uomini le stesse reazioni dei piaceri d'amore, del sentimento dell'ira e di tutti gli altri sentimenti, con cui ci leghiamo al mondo, capaci di accompagnare ogni nostro gesto.

Secondo Platone la poesia dovrebbe inaridire i sentimenti dell'uomo. I sentimenti non devono forgiare il pensiero dell'uomo. Non devono costruire l'uomo che abita il mondo. I sentimenti, per Platone, vanno dominati perché solo l'uomo che fa funzionare le camere a gas, privo di sentimenti per il mondo in cui vive. Per Platone l'uomo vuoto di sentimenti e di emozioni: "se davvero vogliamo diventare più buoni e felici da malvagi e infelici che eravamo".

Lusiana, 29 luglio 2017

 

Nota: Il testo da cui son state tratte le citazione è Platone "Tutti gli scritti" a cura di Giovanni Reale ed. Bompiani 2014 traduzione de La Repubblica a cura di Roberto Radice.

 

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Marghera, 29 luglio 2017

Claudio Simeoni

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Le idee si presentano alla ragione come dei lampi intuitivi. Illuminano per un attimo la ragione e poi tendono a sparire annullate da una ragione che tende a riprendere il controllo sull'individuo. Le idee sono un'emozione che insorge con violenza dentro di noi e modifica la nostra descrizione del mondo, una descrizione che la ragione tende a ripristinare ma che l'emozione ha definitivamente compromesso. Una nuova descrizione, una nuova filosofia emerge dentro di noi e noi, qualunque sia il nostro grado di cultura, dobbiamo comunque confrontarla con la cultura del mondo in cui viviamo.