Dio nel panteismo e nel neoidealismo
John McTaggart (1866 – 1925)

di Claudio Simeoni

Teoria della Filosofia Aperta - Quinto volume

Neoidealismo, panteismo e Dio

 

John McTaggart è uno dei principali esponenti del neoidealismo che tenta di rielaborare la concezione panteistica di Hegel. Il suo pensiero ha dei connotati interessanti che tendono a riaffermare l'esistenza del Dio biblico sviluppando una logica che nega il Dio biblico e la realtà vissuta dall'uomo. Nell'uomo, secondo McTaggart, c'è l'idea perfetta del Dio biblico e tutta la sua filosofia è sviluppo logico di tale apriori.

Dimostrare l'esistenza del Dio biblico e proclamare una realtà che lo dimostri è impossibile, data la non esistenza né di un Dio biblico, né di un surrogato, con qualunque nome e definizione lo si indichi (assoluto, Coscienza Assoluta, Artefice, Tutto, Demiurgo, Uno, ecc.), comunque determinatore della realtà vissuta dalla vita e dall'uomo, come specie.

Scrive la Stanford Encyclopedia of Philosophy alla voce John ME McTaggart

Nel capitolo VI di Alcuni dogmi della religione, McTaggart definisce "Dio" come "un essere personale, supremo e buono". Sebbene la definizione di McTaggart richieda che Dio sia una persona in senso filosofico, non richiede né che Dio sia onnipotente né che Dio sia onnibenevolo. Richiede semplicemente che Dio sia più potente di qualsiasi cosa creata e che Dio sia più buono del male. McTaggart sosteneva che i tre argomenti più popolari a favore dell'esistenza di Dio, che egli riteneva essere l'argomento cosmologico, l'argomento del disegno e l'argomento della bontà, non possono dimostrare l'esistenza di un Dio onnipotente. In questo capitolo, McTaggart solleva anche preoccupazioni sulla coerenza della nozione di onnipotenza, richiamando l'attenzione su vari paradossi ed enigmi che la circondano. Va notato che la concezione di onnipotenza di McTaggart è molto forte: per essere onnipotenti in questo senso bisogna essere in grado di portare a termine compiti impossibili.

Stanford Encyclopedia of Philosophy alla voce John ME McTaggart

L'idea di "Dio" in questi filosofi è imposta nell'educazione durante la loro infanzia. Ed è sempre l'idea del Dio biblico onnipotente che distrugge l'umanità col diluvio universale. Solo che a questi filosofi piace l'onnipotenza e l'eternità del soggetto a cui si riferiscono posto al di fuori della realtà che vivono, ma non amano il "Macellaio di Sodoma e Gomorra". Per questo motivo, questi filosofi passano tutta la loro vita per costruire una diversa idea di Dio che possa soddisfare, da un lato il loro desiderio di onnipotenza e di assolutismo e dall'altro non farsi carico della complicità morale dei genocidi con cui si qualifica il Dio biblico. Eppure, solo la descrizione del Dio biblico è in rado di far presa sull'infanzia come estensione dell'onnipotenza del padre e della madre che il bambino immagina sulla figura del padre e della madre.

Scrive la Stanford Encyclopedia of Philosophy alla voce John ME McTaggart

Sebbene l'eterno sia senza tempo, alcune metafore temporali potrebbero caratterizzarlo più appropriatamente di altre. Alcuni teisti descrivono la vita dell'essere divino come "eternamente presente", un'espressione che a prima vista è esplicitamente contraddittoria. Eppure, descrivere la vita divina come eternamente presente sembra più appropriato che descriverla come eternamente passata. McTaggart cita diverse considerazioni che favoriscono la descrizione metaforica dell'eterno come presente. In primo luogo, il presente cambia solo cessando di essere presente e l'eterno non cambia mai. La costanza dell'eterno è come quella del presente finché continua a essere presente. In secondo luogo, molti sostengono che il presente goda di maggiore realtà del passato o del futuro, e molti sostengono anche che le cose eterne godano di maggiore realtà di ciò che è nel tempo. Quindi il presente è più simile all'eterno del passato, almeno sotto questo aspetto. In terzo luogo, il ruolo dell'eterno nella nostra vita emotiva sembra simile a quello del presente.

Stanford Encyclopedia of Philosophy alla voce John ME McTaggart

L'ateo che si esercita a descrivere Dio e l'oggettività di Dio.

Ne segue che, demolendo l'ipotesi di realtà dell'oggettività vissuta, McTaggart, apre la via all'ipotesi concettuale dell'esistenza del suo Dio biblico pur negandone ufficialmente l'esistenza.

Scrive Abbagnano di McTaggart:

Questo dimostra, secondo McTaggart, che la molla del procedimento hegeliano non è la contraddizione (come Hegel stesso affermò) ma la discrepanza tra l'idea perfetta e concreta che è implicita nella coscienza e l'idea astratta e imperfetta che è resa esplicita. La caratteristica del processo dialettico è la ricerca da parte del momento astratto o imperfetto della coscienza, non della sua negazione come tale, ma del suo completamento. La dialettica non costituisce la verità, giacché il possesso della verità escluderebbe la dialettica stessa. Da ciò McTaggart è condotto a impugnare lo stesso principio fondamentale di Hegel, quello della razionalità del reale. La realtà non può rivelarsi all'uomo nella sua perfetta razionalità giacché, se non altro, essa implica sempre la contingenza dei dati sensibili, senza i quali le stesse categorie della ragione sono vuote, e l'insoddisfazione dei nostri desideri, che non dovrebbe verificarsi in un universo perfetto.

Nicola Abbagnano, Storia della Filosofia, vol. VI, editore TEA, 1995, pag. 98

Il concetto fondamentale dell'opera hegeliana si riassume nella formula di Essere-non-Essere-divenire. Dove, chiunque usi tale formula può qualificare ciò che intende per Essere, ciò che intende con non-Essere con cui l'Essere intrattiene una relazione, la qualità della relazione e la qualità del divenire che la relazione produce come modificazione dell'Essere e del non-Essere considerati.

Detto questo, non si può disquisire della formula, ma la disquisizione verte sulla qualità della formula, la qualità degli elementi che la compongono, la qualità del divenire che ne emerge. La verità dell'oggetto percepito si rivela in ogni istante e in ogni istante tale verità si modifica, modificando la capacità del soggetto di percepire la realtà e di interpretarla in funzione dei propri bisogni e dei propri desideri. Il senso della realtà è la modificazione della realtà stessa attraverso la continua modificazione dei soggetti che compongono la realtà e la modificazione della loro capacità di percepire la realtà.

Affermare, come fa McTaggart, che nella coscienza esiste un'idea perfetta, è semplicemente demenziale. Come è demenziale affermare l'esistenza di una verità da imporre al soggetto (o che si manifesta nel soggetto) in qualunque momento della sua esistenza.

McTaggart crede nella volontà con cui il Dio biblico ha creato il mondo e, di fatto, ha imposto all'uomo (perché non allo scarafaggio?) delle idee perfette sul mondo che l'uomo rende imperfette esplicitandole razionalmente. Secondo McTaggart esistono delle idee perfette che però non possono essere comunicate perché nella coscienza si forma un'idea astratta imperfetta.

Nell'uomo, proprio perché l'uomo come tutte le specie della Natura, è divenuto fin dall'uscita dal brodo primordiale, esistono tre mondi che l'individuo adulto abita simultaneamente. L'emozione, il tempo come trasformazione e lo spazio come forma. L'uomo si è formato sviluppando la propria coscienza in questi tre mondi. Ci fu un tempo in cui il soggetto era solo emozione. Ci fu un tempo in cui l'emozione si veicolò nel tempo permettendo al tempo di sedimentare in emozione dopo emozione, finendo per costruire corpi che fungevano da macchina che, attraverso la loro azione, compattavano le emozioni; e, infine, c'è il tempo dello spazio come forma e quantità che il corpo abita trasformandosi. La coscienza è la costante in continua trasformazione del soggetto. Il mondo abitato dalla coscienza del soggetto, dipende dalle trasformazioni del corpo. La sostanza della coscienza di un soggetto sono le sue emozioni. Emozioni che non sono solo l'insorgenza repentina di una sensazione nella ragione, ma sono la sostanza che abita il mondo; emozioni che l'individuo plasma dentro di sé mediante le sue azioni nel quotidiano.

Ne segue che ogni trasformazione è percepita dalla ragione come un tempo presente perché la ragione è esclusa dalla condizione descritta prima e descritta dopo della sua esistenza. Il dopo e il prima, alla ragione, si presentano come presenti che escludono il momento della trasformazione. Un presente chiamato "adesso" e un presente chiamato "prima". Ma fra il prima e il dopo della trasformazione della coscienza, per come la coscienza si presenta alla ragione, per la ragione esiste un buco nero perché è stata sospesa. Il momento della modificazione sospende il controllo della ragione sulla coscienza per ripristinarlo subito dopo.

Il cristiano non vede la trasformazione e, pertanto, immagina di possedere la perfezione del Dio biblico dentro sé stesso. Un Dio biblico con cui si identifica. Poi, il cristiano si relaziona col mondo e si rende conto che la visione che descrive è monca e incompleta. Dentro di lui la presenza del suo Dio biblico è chiara, la vive con passione. Quando la esprime non è in grado di vivere la descrizione di Dio con la stessa chiarezza trasmettendo all'interlocutore quella verità che a lui appare chiara. McTaggart vive come un sogno la sua perfezione che trasmette imperfettamente in una realtà quotidiana.

Scrive la Stanford Encyclopedia of Philosophy alla voce John ME McTaggart

Sebbene McTaggart negasse la realtà del tempo, in un certo senso difese l'immortalità del sé. Poiché alcuni giudizi sul tempo possono essere fondati anche se falsi, potrebbe essere che i giudizi sul fatto che godremo di nuovo della vita dopo la nostra morte siano fondati. McTaggart sosteneva che lo fossero, e inoltre difendeva la visione secondo cui ognuno di noi esisteva anche prima della nostra nascita.

Stanford Encyclopedia of Philosophy alla voce John ME McTaggart

La realtà non può rivelarsi all'uomo nella sua perfetta razionalità perché non esiste una perfetta razionalità se non nell'immaginazione di un individuo desiderante incapace di agire nel mondo e nelle condizioni poste dal mondo. In quel mondo McTaggart ha i desideri insoddisfatti e, anziché mettere in atto azioni soddisfacenti, delira sognando un mondo che risponda ai suoi desideri e immaginando un universo che risponda alla sua perfezione immaginata.

Scrive Abbagnano di McTaggart:

Il processo dialettico è il segno di questa incompiutezza perché, finché c'è, non c'è compiutezza, e il processo mira ad una sintesi che è di là da venire. Ma se il processo dialettico appartiene allo spirito finito che vive nel tempo e si avvicina gradualmente al futuro, ciò colloca l'assoluto nel futuro del processo stesso, cioè nell'ultimo stadio di una se- rie della quale gli altri si presentano come temporali. L'idea eterna ed infinita è quindi al termine del processo temporale e va qualificata non con la determinazione della contemporaneità e del presente, ma con quella del futuro. L'assoluto non è un eterno presente secondo la concezione classica, che lo hegelismo originario e lo stesso idealismo inglese avevano ammesso, ma è piuttosto il termine del futuro. Il tempo urge verso l'eternità e cessa nell'eternità. Ciò rende possibile sperare nel trionfo finale del bene nel mondo.

Nicola Abbagnano, Storia della Filosofia, vol. VI, editore TEA, 1995, pag. 98

La realtà che si modifica attraverso un processo dialettico di relazioni, secondo McTaggart, dimostra la sua incompiutezza perché la dialettica mira ad una sintesi che è al di là, nel divenire. In base a questo ragionamento, McTaggart affermando che lo spirito finito si trova nel futuro, l'Assoluto va collocato nel futuro del processo di trasformazione dell'oggi, nell'ultimo stadio della relazione dialettica. L'Assoluto, il Dio biblico, secondo McTaggart non sarebbe l'eterno presente, ma è il risultato finale delle relazioni dialettiche del presente.

Questo tipo di visione, propria del Libro dell'Anticristo, ha in McTaggart una enorme contraddizione. La fine del processo dialettico del sistema hegeliano nell'interpretazione marxista, pone l'assoluto alla fine del divenire del mondo, ma i meccanismi e lo sviluppo logico del pensiero idealista di McTaggart presuppone un ente che determini il presente della vita e dal quale McTaggart fa derivare tutte le affermazioni aprioristiche del proprio idealismo; compreso l'idea perfetta della sua coscienza che trasmette in maniera imperfetta.

Scrive Abbagnano di McTaggart:

Inoltre, analogamente a Taylor, McTaggart ammette una concezione pluralistica e sociologica dell'assoluto. Ritiene infatti che l'io finito sia l'elemento ultimo e irriducibile della realtà. La natura dell'io è paradossale: da un lato nulla esiste fuori dell'io perché tutto è oggetto della sua conoscenza; dall'altro lato, l'io si distingue nel conoscere da tutto ciò che conosce e presuppone perciò che tutto ciò che conosce sia fuori di sé. In tal modo l'io include ed esclude nello stesso tempo ciò di cui è consapevole (Studies in Hegelian Cosmology, 1901, p. 23). Di questa natura paradossale non v'è altra spiegazione possibile, se non che l'io sia l'assoluta realtà, la necessaria differenziazione dell'Assoluto.

Nicola Abbagnano, Storia della Filosofia, vol. VI, editore TEA, 1995, pag. 99

L'io è l'assoluta realtà di sé stesso al centro di un universo in cui la ragione descrive il suo universo definendo sé stessa come "Io".

Scrive la Stanford Encyclopedia of Philosophy alla voce John ME McTaggart

McTaggart era un mistico. McTaggart sosteneva che il misticismo presentasse due caratteristiche essenziali. (Queste due caratteristiche sono articolate nel suo articolo "Misticismo", ristampato in Studi Filosofici ). In primo luogo, il misticismo richiede il riconoscimento di un'unità dell'universo superiore a quella riconosciuta dall'esperienza ordinaria o dalla scienza. L'universo potrebbe essere altamente unificato senza che le sue parti apparentemente numericamente distinte siano in realtà identiche. Secondo McTaggart, Hegel credeva in un'unità mistica, sebbene non credesse che questa unità equivalesse a un'identità numerica. Secondo l'interpretazione di McTaggart, Hegel identificava Dio come una comunità di spiriti finiti. La visione di McTaggart era sostanzialmente la stessa, sebbene non definisse la comunità degli spiriti come "Dio".

Stanford Encyclopedia of Philosophy alla voce John ME McTaggart

Tutto ciò che la ragione descrive è esterno alla ragione. Lo stesso soggetto che si emoziona e che costruisce relazioni emotive nel mondo in cui vive, viene percepito dalla ragione come un estraneo, salvo modificare la descrizione in base all'esperienza emotiva distrutta per riaffermare il suo controllo sull'uomo.

Nell'uomo incontriamo la struttura che descrive il mondo e che definisce sé stessa come "Io". Questa struttura parla, descrive, pretende di determinare gli avvenimenti vissuti dall'uomo. In realtà l'uomo non vive il mondo mediante la ragione perché il mondo sfugge alla ragione e alla sua descrizione.

La descrizione, la ragione, si erge come assoluta nell'uomo, ma è stata costruita dall'uomo attraverso l'azione e fissata attraverso le emozioni intervenute nell'azione. L'uomo che vive è il soggetto primo e ultimo della sua vita mentre, l'idea dell'Assoluto è una proiezione dell'onnipotenza della sua ragione che descrivendo il mondo pensa a sé stessa come signora del mondo che "crea" mediante il suo descrivere.

Scrive Abbagnano di McTaggart:

Gli "Io" sono dunque eterni e l'assoluto non è altro che l'unità di questi io: un'unità che è altrettanto reale delle sue differenziazioni e della stessa unità dell'io finito, quale si manifesta imperfettamente in questo mondo imperfetto. Come unità di un sistema di io, l'assoluto non può essere inteso come persona cioè a sua volta come io, quindi non può essere qualificato come Dio. Per intendere in che consiste la sua unità, McTaggart prende in esame i vari aspetti dell'esperienza umana. Egli esclude che l'unità sistematica dell'assoluto possa essere concepita come un'unità di conoscenza: la conoscenza vera, essendo uniforme in tutti gli io, non rende conto della loro differenziazione originaria. Per lo stesso motivo, l'assoluto non può essere volontà, perché la volontà perfetta, come appagamento perfetto, è uniforme e non dà conto della differenziazione.

Nicola Abbagnano, Storia della Filosofia, vol. VI, editore TEA, 1995, pag. 99

Che cosa significa affermare che gli "Io" sono eterni e che l'assoluto, il Dio biblico, non è altro che l'unità degli "Io" se l'unico "Io" di cui posso parlare sono io che desidero un'eternità consapevole che quest'eternità si annulla con la mia morte? Che differenza c'è nell'affermazione delirante di eternità di un "Io" che distrugge la propria esistenza nell'idea di una propria immortalità, assolutezza o eternità, in quanto l'Assoluto non è altro che l'unità del mio "Io" con tutti gli "Io" dell'universo? E dov'è il limite che separa il mio "Io", che partecipa all'unità che McTaggart ritiene reale, dal fatto che l'"Io" del virus partecipa, come me, a quell'Assoluto che McTaggart ritiene di non chiamarlo Dio perché non può, secondo lui, essere inteso come persona? Ma McTaggart priva l'Assoluto dell'unità degli "Io" di una conoscenza perché questa si differenzia in ogni "Io" e non può essere volontà dell'Assoluto.

Ma questa unità è coscienza in quanto secondo McTaggart è "amore".

Scrive Abbagnano di McTaggart:

Rimane allora l'emozione. Se la perfetta conoscenza e il perfetto appagamento sono identici in tutti gli io, non c'è ragione di supporre che il perfetto amore non sia invece differente in ciascun io e non sia quindi la base della differenziazione richiesta dall'assoluto. Il contenuto della vita dell'assoluto non può essere quindi che l'amore: non la benevolenza, né l'amore della verità, della virtù o della bellezza, né il desiderio sessuale, ma «l'amore appassionato che tutto assorbe e tutto consuma» ilb., p. 260). L'amore soltanto supera la dualità e stabilisce un completo equilibrio tra il soggetto e l'oggetto. Mentre la conoscenza lascia sempre fuori di sé l'oggetto conosciuto e la volizione non si appaga mai interamente perché l'oggetto dell'appagamento le rimane estraneo, l'amore identifica completamente oggetto e soggetto. L'amore non è un dovere o un'imposizione, ma un'armonia in cui le due parti hanno eguali diritti. Non si ama una persona per le sue qualità, ma piuttosto l'atteggiamento di fronte alle sue qualità è determinato dal fatto che appartengono ad essa. L'amore è inoltre a se stesso la sua propria giustificazione. E il punto più prossimo all'assoluto, che l'uomo possa raggiungere, è per l'appunto un amore del quale non può essere data altra ragione se non dicendo che due persone si appartengono l'una all'altra (lb., p. 278 sgg.).

Nicola Abbagnano, Storia della Filosofia, vol. VI, editore TEA, 1995, pag. 99-100

A quale amore, prodotto dall'emozione, si riferisce MacTaggart?

Qual è l'emozione che insorge in McTaggart? L'emozione a cui si riferisce McTaggart è l'amore, ma quale amore?

McTaggart non si riferisce al rapporto sessuale; né alla virtù; né alla bellezza; né alla conoscenza. McTaggart parla dell'unico tipo di amore che conosce. Il padrone degli Esseri Umani che ama la sua proprietà di Esseri Umani trasformati in bestiame: il possesso. Il possesso, in cui McTaggart si identifica col possessore, con colui che possiede, il Dio biblico, che "ama" l'oggetto posseduto e solo nella misura in cui egli lo possiede. L'Assoluto pratica nei confronti degli "Io" che lo compongono, quell'amore, quella carità, finalizzata al possesso del soggetto in cui McTaggart indica il superamento della relazione fra oggetto, l'"Io" che sono, ciò che io sono, e il soggetto, l'Assoluto, che pretende di possedermi e fagocitare ciò che io sono.

Per McTaggart l'uomo è puro oggetto di possesso dell'Assoluto immaginato con cui lui si identifica. L'amore del padrone, per McTaggart identifica immediatamente il possessore con il posseduto e il posseduto esercita la libertà di essere posseduto dal suo padrone. Come possono due parti avere uguali diritti se il mio diritto viene ridotto alla dimensione del desiderio di possesso del padrone, l'Assoluto dell'universo, col quale io sono costretto ad identificarmi? Diverso è il discorso per McTaggart che, identificandosi con l'Assoluto, di cui proclama un'esistenza immaginata, pretende che io, ogni "Io" umano, ami il padrone McTaggart che lo possiede.

Non c'è dubbio che due persone possono appartenersi l'una all'altra in alcune condizioni dell'esistenza. Due persone possono appartenersi l'una all'altra, ma possono non appartenersi l'una all'altra. Possono vivere un conflitto che, comunque, procuri ad entrambe un benessere. Che rapporto c'è fra due persone che vivono una in relazione all'altra col fatto che le due persone sono una l'Assoluto e l'altra un Essere Umano? I rapporti sono paradossali. E' più facile che un Essere Cane affermi che l'Essere Umano, che tiene il guinzaglio, gli appartenga in una relazione emotivamente soddisfacente, piuttosto che l'Essere Umano, come McTaggart, pretenda di tenere al guinzaglio la forma dell'Assoluto che immagina.

Il punto più prossimo all'Assoluto, che McTaggart immagina, è il padrone che possiede gli schiavi e che li ama in quanto oggetti di possesso.

Scrive Abbagnano di McTaggart:

Nella sua ultima opera La natura dell'esistenza (1921-27) McTaggart ha riesposto in forma sistematica le conclusioni cui era giunto attraverso la critica della dottrina di Hegel. Il primo volume di quest' opera prende in esame i caratteri generali dell'esistenza: non dell'esistenza in quanto pensata, cioè della conoscenza o del pensiero, ma di ogni esistenza in generale, quindi anche della conoscenza, del pensiero e della credenza, che, come tali, sono anch'esse esistenze. McTaggart dichiara con questo presupposto di riannodarsi a un idealismo ontologico, di cui vede i rappresentanti in Berkeley, Leibniz e Hegel. Il metodo di cui si avvale nella descrizione dell'esistenza in generale è quello a priori; ma in due punti McTaggart si appella all'esperienza: per provare che qualcosa esiste e per provare che ciò che esiste è differenziato. Al di fuori di questi due punti, il suo procedimento è a priori, ed è dialettico nel senso che egli stesso ha riconosciuto proprio di questa parola, cioè non nel senso della negatività e della contraddizione, ma in quello di un procedimento razionale, necessario e progressivo. La differenziazione dell'esistenza implica che essa abbia qualità, che avranno a loro volta altre qualità, e così via; all'inizio della serie dovrà esservi qualcosa di esistente che avrà qualità senza essere qualità; e sarà la sostanza. E' bensì vero che la sostanza non è niente fuori delle sue qualità; ma questo non dice che essa non sia qualcosa in congiunzione con esse. La sostanza è differenziata, cioè c'è veramente una pluralità di sostanze, tra le quali devono intercorrere relazioni. La relazione è una determinazione ultima e indefinibile come la qualità; e genera a sua volta qualità, perché i termini relativi acquistano, come tali, nuove qualità. Ogni sostanza ha una sua propria natura e può essere individuata in questa natura da una descrizione sufficiente. I gruppi di sostanze sono infiniti, perché ogni gruppo può essere assunto come membro di se medesimo; e la sostanza che comprende tutte le altre come sue parti è l'universo. L'universo è caratterizzato intrinsecamente dall'appartenenza ad esso delle varie sostanze, sicché, se una di queste fosse diversa, l'universo stesso nella sua totalità sarebbe diverso. Ogni sostanza è infinitamente divisibile cioè ha parti dentro parti all'infinito.

Nicola Abbagnano, Storia della Filosofia, vol. VI, editore TEA, 1995, pag. 100-101

Il ricorso all'ontologia è il ricorso alla legittimazione delle farneticazioni in campo filosofico. Dal momento che le farneticazioni non sono dimostrabili, si legittimo le farneticazioni affermando che la mia farneticazione è affermazione di un oggetto o di una condizione reale perché, se non fosse farneticazione di un oggetto reale, io non farneticherei.

Questa visione di una realtà immaginata viene introdotta in filosofia per legittimare una condizione di sofferenza psichica per la quale il farneticante chiede il rispetto culturale che gli consente di distruggere la società civile.

Scrive la Stanford Encyclopedia of Philosophy alla voce John ME McTaggart

Una seconda caratteristica essenziale del misticismo è la convinzione che sia possibile essere consapevoli di questa unità in un modo diverso da quello del pensiero discorsivo ordinario. Possiamo essere consapevoli di verità astratte o della realtà spirituale direttamente in una materia affine alla percezione sensoriale. McTaggart chiama questa coscienza "intuizione mistica", e ciò di cui è un riconoscimento "unità mistica". L'unità mistica è più fondamentale dell'intuizione mistica. L'esistenza dell'intuizione mistica implica l'esistenza dell'unità mistica, ma è chiaro che il contrario non vale. L'universo potrebbe essere altamente unificato senza che nessuno lo riconosca.

Stanford Encyclopedia of Philosophy alla voce John ME McTaggart

Se da un lato la visione ontologica giustifica l'introduzione in filosofia di elementi del vissuto psichiatrico soggettivo, dall'altro lato, essendo gli ontologisti dei creazionisti che fanno derivare l'umanità dalla cacciata dal paradiso terrestre, ne consegue che le spiegazioni alla loro malattia, che li costringe a farneticare, vengono allontanate dalla filosofia per essere relegate in branche del sapere diverse, come la psicologia o la psichiatria, in modo che, coloro che riconoscono i fondamenti psichiatrici delle argomentazioni ontologiche, non possano partecipare al dibattito filosofico.

Non si tratta di dire se la visione ontologia appartenga o non appartenga al dibattito filosofico, ma si tratta di costringere il filosofo che afferma oggetti aprioristici alla realtà vissuta, di dimostrali. Perché se la dimostrazione o le argomentazioni non rientrano nella formazione dei meccanismi con cui viene in essere la realtà, non siamo più nel campo della speculazione filosofica, ma siamo nel campo della malattia mentale.

Come ogni ontologista, creazionista, all'inizio dell'esistenza non pone il venir in essere delle coscienze, ma una sorta di differenziazione delle qualità del reale alla cui base c'è la sostanza che avrà qualità senza essere una qualità.

Possiede qualità senza essere una qualità.

Se non si è una qualità, se non si può definire le qualità di un oggetto, come può un oggetto possedere, ciò che egli non è?

Il motore immoto di Aristotele possiede sia una sostanza che delle qualità: la sostanza che passa dalla non vita alla vita; le qualità che spingono la non vita a generare la vita. La non vita, in Aristotele, può essere considerata la sostanza del motore immoto, ma affermare che una sostanza è priva di qualità implica rendere necessario l'esistenza di una diversa sostanza che riversi, nella prima sostanza, le qualità che qualificano la sostanza.

La differenziazione di quanto esiste non è data dalla presenza di diverse sostanze, ma dagli adattamenti soggettivi, dalle trasformazioni, che la medesima sostanza, fin dal primo istante in cui è esploso l'universo nel suo Big Bang, ha proceduto ad adattarsi nelle sue trasformazioni.

Nell'universo esistono differenziazioni perché la medesima materia-energia si è adattata in maniera diversa nelle trasformazioni e nei mutamenti in cui ha costruito il suo divenire. Il presente della sostanza, a cui noi oggi assistiamo, è divenuta per mutamento, adattamento, sedimentazione e diversificazione, della materia-energia del Big Bang.

Non esiste un assoluto "Io" nell'universo che racchiude tutti gli "Io". Esiste una sostanza comune, Gaia, dalla quale per trasformazione tutto si è adattato, diversificato, ed è divenuto perché la sostanza primordiale era portatrice di Intento. Intento, o Eros primodiale, è la qualità che spinge la materia-energia a passare dallo stato di inconsapevolezza allo stato di consapevolezza.

Che non è l'unità degli "Io" in un Assoluto, un Dio biblico, che determina il presente, ma è la continua trasformazione del presente, mediante i soggetti che attraverso la loro volontà agiscono in esso, verso una sequenza di mutamenti che alla nostra ragione appare come infinita.

Tutto ciò che esiste forma l'universo e ad ogni mutazione di un singolo soggetto nell'universo, l'universo, nel suo insieme, si modifica. Cambia continuamente e continuamente si adatta alle trasformazioni al suo interno delle quali non ha né controllo, né consapevolezza.

I singoli soggetti hanno coscienza e trasformazione. L'Universo che li contiene, non ha né coscienza, né volontà con cui abitare una trasformazione.

Qui rimane la contraddizione. O i singoli soggetti, a seconda di come li si voglia percepire, divengono e si trasformano, oppure esistono in sé, come I'Assoluto che contiene tutti gli "Io" e gli "Io" non partecipano alla trasformazione.

Scrive Abbagnano di McTaggart:

La corrispondenza determinante è una relazione causale, che stabilisce e fonda l'ordine dell'universo. La sua natura è chiarita dall'applicazione che McTaggart ne fa nel secondo volume della sua opera: essa è la percezione immediata che un io ha dell'altro io. Difatti, dopo aver descritto le caratteristiche dell'esistenza, McTaggart procede (nel secondo volume) a determinare, in virtù di esse, quali sono gli aspetti dell'Universo che possono essere riconosciuti reali. Egli dichiara irreali il tempo, la materia, la sensazione e ogni forma di pensiero (compresi il giudizio e l'immaginazione) che non sia percezione. Il motivo è che nessuno di questi aspetti della realtà si presta a essere determinato dalla corrispondenza determinante e perciò tutti devono essere considerati inconsistenti e contraddittori. La percezione, come coscienza immediata della sostanza, cioè dell'io, è invece esattamente definita dalla corrispondenza determinante. Difatti un io che percepisce l'altro io ha nello stesso tempo la percezione di se stesso e dell'altro e la percezione di queste percezioni e così via all'infinito. Sicché una descrizione sufficiente della percezione di uno di essi implicherà la sufficiente descrizione di parti dentro parti all'infinito di questa percezione. Sarà in altri termini istituito tra le due sostanze un sistema inesauribile di relazioni nello stesso tempo razionalmente intelligibili e immediatamente vissute. E difatti la percezione di cui parla McTaggart non è né volizione né pensiero, ma emozione e precisamente emozione d'amore. Il risultato delle analisi di questo filosofo, nel quale il principio idealistico si unisce curiosamente con un metodo di analisi che assomiglia molto a quella della logica matematica e col criterio oggettivistico del realismo contemporaneo, è il riconoscimento di un universo formato di centri spirituali, di io, che una forma di esperienza immediata (la percezione emotiva o amore) unifica in un sistema dialetticamente organizzato.

Nicola Abbagnano, Storia della Filosofia, vol. VI, editore TEA, 1995, pag. 101

La percezione immediata che un "Io" ha dell'altro è l'unica condizione considerata reale da McTaggart.

Nella sua concezione filosofica sparisce il concetto di tempo e di mutamento che diventano "irreali". Sparisce il concetto di materia (di che cosa è fatto il suo corpo?); sparisce il concetto di sensazione come perturbamento soggettivo dell'intervento dei fenomeni del mondo sul soggetto; diventa irreale il pensato della ragione (il pensiero); diventa irreale il giudizio e diventa irreale l'immaginazione.

L'Assoluto, non corrispondendo alla condizione del tempo, della materia, della sensazione, di pensiero, di giudizio e di immaginazione rende irreale e illusoria l'idea che di questo ne ha l'uomo. Non essendo determinati dall'Assoluto, non avendo corrispondenza con l'Assoluto, devono essere, per McTaggart, considerati irreali.

Cos'è reale per McTaggart?

La percezione come corrispondenza immediata della sostanza, cioè dell'"Io", in quanto questo si presta ad essere determinato dalla corrispondenza determinante dell'"Io" Assoluto di cui ogni "Io" è parte.

La percezione, di cui parla McTaggart è emozione e, come emozione, è amore. L'amore del padrone, dell'Assoluto "Io", che comprende per amore gli "Io" che, percependolo, rispondono con amore all'"Io" Assoluto che li contiene.

Il presupposto, l'apriori, del Dio assoluto che contenga tutti gli "Io", è una produzione dell'immaginazione soggettiva di McTaggart; l'immaginazione che non ha riscontro nel reale e che lui chiama irreale. Questa visione ontologica di McTaggart, che nega il reale trasformando in reale l'amore del Dio biblico che attribuisce all'Assoluto, condanna, di fatto, l'azione della materia, del tempo e le trasformazione di un presente, che modifica continuamente l'universo. Questi elementi trasformano in consapevolezza ciò che non è consapevole. McTaggart condanna la volontà d'esistenza dei soggetti indicandoli come una sostanza "creata" o "determinata" dall'Assoluto. Un universo di centri spirituali, di "Io" che vengono unificati dall'esperienza immediata dell'amore che viene organizzato in una relazione di dipendenza dell'uomo dalla morale dell'Assoluto.

In tutto questo sparisce l'uomo che nel momento stesso in cui nega la percezione dell'Assoluto "Io", secondo la logica di McTaggart, nega sé stesso come coscienza immediata della sostanza disconoscendo di essere determinato dalla corrispondenza determinante.

Marghera, 09 febbraio 2016 (ampiamente modificato il 01 novembre 2025)

NOTA. per le citazioni si è usato:

Nicola Abbagnano, Storia della Filosofia, vol. VI, editore TEA, 1995
Stanford Encyclopedia of Philosophy alla voce John ME McTaggart

 

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Claudio Simeoni

Meccanico

Apprendista Stregone

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Tel. 3277862784

e-mail: claudiosimeoni@libero.it

 

 

Ultima modifica ottobre 2025

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