Vincenzo Gioberti (1801 - 1852)

Intuizione, riflessione e conoscenza in Gioberti

Riflessioni sulle idee di Gioberti.

di Claudio Simeoni

 

Cod. ISBN 9788891185785

Teoria della Filosofia Aperta - Volume due

 

Gioberti ha il problema di giustificare la concezione biblica, prima e quella stoico-platonica poi, secondo cui il logos è il soggetto creatore e vertice della conoscenza dell'uomo.

Gioberti è consapevole che esiste una conoscenza che non è logos ma non essendo tale conoscenza controllabile dal logos deve essere disprezzata, umiliata, offesa e degradata fintanto che tale conoscenza non viene circoscritta nel logos. La conoscenza trasformata in logos, verbo, è la conoscenza alienata dalla vita e il dio padrone di Gioberti, come il re di Gioberti o la chiesa cattolica di Gioberti, sono alienati alla vita, estranei alla vita dominando la vita mediante il logos e il verbo a cui sottomettono la vita e le sue espressioni nel mondo.

La riflessione traduce, secondo Gioberti, l'intuizione "vaga" in conoscenza definita. La conoscenza è definita quando le parole ne conchiudono i concetti. Gioberti mette in atto forme sincretiche fra idealismo e positivismo scientifico. Secondo Gioberti la conoscenza non è l'accumulo di esperienza nell'abitare il mondo dell'individuo, al di là di come l'individuo interpreta tale esperienza, ma è una formula matematica booleana in cui le parole, ogni singola parola, ha uno e un solo significato all'interno di un'ipotetica equazione capace di definire oggettivamente la conoscenza.

All'interno di questa distorsione immaginifica della realtà vissuta, Gioberti immagina il suo dio che, attraverso le sue idee, idee prodotte dalla sua creazione, fa sorgere negli Esseri Umani l'intuizione che gli Esseri Umani stessi, mediante la parola, ad imitazione della "parola divina", trasformano in conoscenza.

Scrive Gioberti nell'Introduzione allo studio della filosofia:

...quella distinzione, chiarezza e delineazione mentale, che senza alterarne l'intima natura, lo fanno scendere, per così dire, dalla sua altezza inaccessibile, e accomodarsi alla umana apprensiva ... [...] La riflessione pertanto deve accompagnare l'intuito primitivo ... Ma come mai la riflessione ontologica compie l'intuito? Circoscrivendolo e determinandolo mentalmente... Vestendolo di un sensibile. La visione dell'intelligibile, sotto la forma di un sensibile, è dunque opera della riflessione. Ma come mai un sensibile può esprimere un intelligibile? Nol può certamente per sé stesso, essendo essi disparatissimi. Nol può per un artificio arbitrario dello spirito; il quale, a tal uopo, dovrebbe ripensare l'intelligibile in sé stesso, prima che fosse dotato di una forma. Bisogna dunque di necessità conchiudere che l'innesto del sensibile sull'intelligibile, essendo cosa per sé arbitraria e non potendo derivare dall'arbitrio dell'individuo, proviene da quello della società, in cui l'uomo nasce, e originariamente dall'arbitrio stesso dell'Idea fattrice, ere crea la propria espressione, appresentandosi allo spirito, sotto una invoglia o forma sensitiva. La qual forma è la PAROLA; onde il linguaggio è la rivelazione riflessa dell'Idea; che è quanto dire una successione di sensibili, per cui essa Idea rivela sé medesima all'intuito riflessivo dello spirito umano, e compie intuito diretto, che gli porge di sé .

L'intuizione non si trasforma in azione che produce la trasformazione nella vita del soggetto, ma, essendo il prodotto della creazione del dio padrone di Gioberti, viene trasformata in riflessione, in un insieme di parole che ingabbiano l'intuizione trasformandola in conoscenza. Per Gioberti la conoscenza non è la trasformazione del soggetto nella sua vita, ma è la capacità di "rendere" chiara l'idea che il suo dio padrone ha fatto scaturire dentro di lui mediante il sorgere dell'intuizione.

L'uomo di Gioberti non è l'uomo che vive e affronta la vita, ma è l'uomo che canta la gloria del suo dio padrone.

Il creazionismo giobertiano diventa l'ideale a fondamento di un'unità d'Italia che non è l'unità dei cittadini, ma è l'unità di coloro che, imponendo le intuizioni agli individui mediante la manipolazione dell'oggettività in cui costringono gli individui a percepire e vivere, pretendono che tali individui giustifichino i fenomeni trasformando le "intuizioni" in riflessioni che confermino il loro dominio.

Questa visione esasperata la troviamo in Carlo Cattaneo all'interno della sua Psicologia delle Menti Associate e nelle attività settarie (rispetto alla società come insieme) di Mazzini.

La necessità di Gioberti di imporre un padrone all'uomo, è la sua necessità di legittimare il suo stesso padrone e di fuggire alla schiavitù dalla quale non vede via d'uscita. Anziché rimuovere la schiavitù nella quale si trova a vivere, Gioberti preferisce estendere la schiavitù perché l'estensione della schiavitù e della sottomissione rende collettivo e maggiormente sopportabile, per lui, il dolore.

L'intuizione che sorge nell'individuo come risposta ai fenomeni e alle sollecitazioni del mondo, anziché far seguire l'azione come risposta mettendo in atto i propri processi adattativi, viene ingabbiata e imprigionata nell'"intuizione secondaria" che costringe l'intuizione a passare per il ragionamento e la descrizione imposta dalla ragione prima di riversarsi nell'azione.

L'intuizione secondaria, frutto della riflessione, impone la parola all'intuito che in questo modo cessa di spingere la vita verso le trasformazioni. Gioberti imprigiona la vita nella retorica che è l'unica forma in cui si esprime la conoscenza del suo dio padrone.

La retorica viene imposta all'individuo che intuisce per impedirgli di trasformare l'intuizione in azione. Questo impedimento è la fine dei processi evolutivi dell'individuo che finisce per chiudersi su sé stesso in un dolore esistenziale che può essere attenuto soltanto se anche le altre persone della società rinchiudono le proprie intuizioni in una retorica sempre più povera di vocaboli. Il dio padrone di Gioberti è "parola" e, pertanto, per Gioberti l'intuizione inviata da dio deve essere trasformata in "parola" perché attraverso la "parola" può avvenire il controllo militare dell'uomo da parte di dio e di chi lo rappresenta: padrone dentro padrone!

Il primitivismo, secondo Gioberti, è la capacità dell'uomo di intuire; il progresso o la civiltà consistono nella capacità dell'uomo di bloccare l'intuizione nella parola.

L'intuizione è oggetto che si manifesta nei viventi della Natura, la "parola" è un oggetto che si manifesta nell'uomo per la sua incapacità di leggere l'insieme che produce la sua intuizione e le risposte che deve mettere in atto all'insorgenza dell'intuizione che altro non è che interpretazione dell'Io profondo delle sollecitazioni del mondo.

L'individuo, educato ad essere pauroso e timoroso davanti alle proprie pulsioni esistenziali che lo mettono in ginocchio davanti alla morale imposta dal suo dio padrone, si trova nelle condizioni di dover giustificare alla società e al padrone le sue azioni che l'intuizione della realtà ha richiesto con impellenza. Non esistendo un "linguaggio parlato della vita" capace di accomunare gli individui della società al di fuori della morale imposta dal dio padrone di Gioberti, ogni risposta alle sollecitazioni, che non rientri in schemi determinati dal dio padrone, è considerata deviante e viene criminalizzata. Questa criminalizzazione che porta all'emarginazione dell'individuo nella società è la prigione che Gioberti tenta di legittimare in nome dell'assolutezza del proprio dio padrone.

Scrive Gioberti nell'Introduzione allo studio della filosofia:

L'intuito secondario, cioè la riflessione, chiarisce l'Idea, determinandola; e la determina, unificandola, cioè comunicandole quella unità finita, che è propria non già di essa stessa Idea, ma dello spirito creato ... Ma come un oggetto infinito può essere determinato, come può essere tuttavia conosciuto per infinito? Ciò succede mediante la unione mirabile dell'Idea colla Parola. La Parola ferma e circoscrive l'Idea, concentrando lo spirito sopra sé stessa, come forma limitata, mediante la quale, egli percepisce riflessivamente l'infinità ideale, come l'occhio dell'astronomo, che attraverso un piccol foro e coll'aiuto di un esile cristallo contempla a suo agio e diletto le grandezze celesti. L'Idea è pertanto ripensata dallo spirito in sé medesima, e veduta nella sua infinità propria; benché la visione si faccia per modo finito, mediante il segno, che veste e circoscrive l'oggetto. La Parola insomma è come un'angusta cornice, in cui si rannicchia, per così dire, l'Idea indeterminata, e si accomoda all'angusta apprensiva della cognizione riflessa.

Il linguaggio serve alla specie umana per trasmettere ad altri individui della specie umana, che non sanno leggere il linguaggio non verbale, il perché e il dove la nostra azione conduce. Le parole sono tanto più imprecise nel definire l'attività dell'uomo quanto minore è il vissuto comune con l'uomo a cui parliamo. Se in un ambiente familiare la parola è in grado di evocare immediatamente l'immagine, rendendola comune mediante la medesima parola, in chi parla e chi ascolta, tanto più ci allontaniamo dall'ambiente familiare penetrando nella società, tanto minore è la comprensione del significato intimo delle parole e dei concetti fra chi li descrive e chi li ascolta e li interpreta.

La parola determina una verità soltanto per il fatto che il Poliziotto ti spara se non riproduci quella verità in quella parola (o non riconosci quella verità in quella parola). Al poliziotto e al magistrato non frega niente se con le parole o con gli esempi manifesti un tuo senso delle parole, per lui il linguaggio dice esattamente ciò che egli pensa che tu dica e se affermi che non è vero, il magistrato e il poliziotto ti torturano perché tu ti sei permesso di intuire la realtà in maniera diversa dalla loro. Si tratta dell'imitazione del dio assoluto di Gioberti imposto da Gioberti alla società.

In questo modo il dio padrone di Gioberti può dominare la vita degli uomini e porre le premesse per il dominio del re, della monarchia, del clero, del padrone, del sindaco ecc.

La parola non ferma l'idea che sorge nell'individuo. Non ferma l'intuito: lo imprigiona. Lo umilia. La parola offende la vita quando da strumento d'uso della specie umana viene trasformata in modello di comunicazione col dio padrone al quale l'uomo si deve sottomettere.

Gioberti è ben consapevole delle sue affermazioni criminali. Il fine delle sue affermazioni è chiaro: distruggere la libertà dell'uomo e confermarlo nella situazione di schiavitù. Solo la parola consente questo. Se all'intuizione risponde l'azione dei processi adattativi dell'individuo, l'individuo è "controllabile" solo a valle, dopo aver agito, e costringe i controllori a descrivere il perché della sua azione. Costringe il dio padrone a spiegare tale azione. Quando l'intuizione viene imprigionata nelle parole, sono le parole che manifestano l'"intento" dell'azione e questo consente ai "controllori" di agire a monte sull'individuo come indica, a tal proposito, il criminale Gesù:

"Perciò, tutto quello che avrete detto nelle tenebre, sarà udito alla luce, e quanto avrete sussurrato all'orecchio all'interno della casa, verrà predicato sopra i tetti." Luca 12, 3

Controllare l'individuo per le sue parole. Controllare il linguaggio dell'individuo in quanto col linguaggio imposto si impone la costrizione delle sue intuizioni sociali e naturali. Il controllo militare del linguaggio è il controllo militare della veicolazione emotiva dell'individuo.

E' inutile, dice il criminale Gesù, che tentate di sussurrare nel buio. Proprio perché avete sussurrato sarete giudicati per i sussurri e le parole che nascondevate saranno rese pubbliche. Non vi potete nascondere, le parole sveleranno.

Scrive il Bignami di Filosofia III del 1984 per i licei sulla riflessione in Gioberti:

Però la mente umana non può abbracciare tutto il mondo delle cose conoscibili, che è immenso e, per ciò che riguarda l'idea, infinito: esistono delle cose incomprensibili, che costituiscono il sovrintellegibile, alla cui verità ci si può accostare solo con la rivelazione, di cui è depositaria e interprete la chiesa.

La ragione è uno strumento dell'uomo, non è l'uomo che percepisce e agisce nel mondo. La ragione giustifica l'uomo dopo che l'uomo ha agito perché l'agire è il modo di essere dell'uomo (come di ogni vivente della Natura) nella vita.

La ragione dell'uomo esplora, ma il corpo dell'uomo ha la conoscenza accumulata in centinaia di milioni di anni di trasformazione e questa conoscenza non si riduce alle parole, ma si riassume nelle azioni di risposta alle sollecitazioni del mondo: questa è la conoscenza!

La presunzione di Gioberti di identificare la conoscenza con la ragione è un'offesa alla vita in funzione della gloria del suo padrone: il dio padrone! Il nemico dell'umanità!

C'è un immenso in cui viviamo e a cui rispondiamo con i processi adattativi del nostro corpo che rappresentano la potenza della conoscenza soggettivata della nostra specie. C'è uno sconosciuto attorno a noi che intuiamo e che col nostro coraggio stimoliamo la nostra ragione ad esplorare e a svelare. C'è una ragione che tende a conchiudere in sé stessa l'uomo e il suo agire le cui barriere devono essere spezzate per ampliarne i confini. C'è l'orrore della ragione che anziché accettare di farsi spezzare i confini manipola l'uomo per indurlo alla paura, al timore e all'angoscia davanti ai suoi stessi confini. Una ragione che imprigiona l'uomo affinché non la costringa a modificarsi esplorando la realtà dell'immenso circostante. In altre parole, c'è sempre un tribunale pronto a condannare il Galileo dentro di noi che osa cercare ragioni diverse da quelle imposte dal dio padrone della realtà in cui viviamo.

Quest'ultima ragione è la ragione del logos, della parola. la ragione che piace a Gioberti perché in questa ragione vede l'agire del suo dio padrone e del controllo che può esercitare sugli uomini.

Cartesio è stato definito l'uomo che si nasconde dietro la parola pensata, Gioberti è l'uomo che si nasconde dietro il padrone e che impone il padrone ad ogni uomo che tenta di manifestare sé stesso nel mondo in cui è nato.

La "riflessione" di Gioberti è la negazione delle pulsioni di vita in funzione del dominio del suo dio padrone. Con questa idea di negazione delle pulsioni dell'uomo nascerà l'Italia unita con tutti i problemi sociali che ancor oggi ci trasciniamo dietro.

NOTA: citazioni da

1) Il Problema Pedagogico di Vincenzo Gioberti a cura di Vincenzo Portale

2) Bignami di Filosofia III 1984 ad uso del Licei.

 

Teoria della Filosofia Aperta - Volume due

 

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Marghera, 28 dicembre 2013

Claudio Simeoni

Meccanico

Apprendista Stregone

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La Teoria della Filosofia Aperta

Le idee si presentano alla ragione come dei lampi intuitivi. Illuminano per un attimo la ragione e poi tendono a sparire annullate da una ragione che tende a riprendere il controllo sull'individuo. Le idee sono un'emozione che insorge con violenza dentro di noi e modifica la nostra descrizione del mondo, una descrizione che la ragione tende a ripristinare ma che l'emozione ha definitivamente compromesso. Una nuova descrizione, una nuova filosofia emerge dentro di noi e noi, qualunque sia il nostro grado di cultura, dobbiamo comunque confrontarla con la cultura del mondo in cui viviamo.