Francesco De Sanctis - 1817- 1883

Georg Wilhelm Friedrich Hegel – 1770 - 1831

Il ruolo dell'arte e dell'estetica

di Claudio Simeoni

 

Cod. ISBN 9788891185808

Teoria della Filosofia Aperta - Volume tre

 

Al di là delle vicende politiche, De Sanctis è noto per le teorie sull'estetica hegeliana.

La teoria dell'arte in Hegel separa l'uomo dal mondo e dalla vita. Come spesso accade, Hegel parla dell'arte come oggetto in sé e non dell'artista come un soggetto che agisce nel mondo e nella vita.

So perfettamente che per parlare di arte è necessario arrivare alla storia della psicologia dell'arte. Fino ad allora, l'arte è solo scrittura di immagini e di rappresentazioni che l'artista, come un dio, rappresenta ad un popolo che deve stupire e coinvolgere. Tale arte viene acquistata dai ricchi, dal clero, dal Vaticano, viene riempita di enfasi retorica cattolica ed elevata agli altari per stupire le masse in ginocchio. La chiesa cattolica sostituisce l'artista a dio in modo da dare al suo dio un volto, una rappresentazione emotiva, che non ha mai avuto ma che serve per coinvolgere emotivamente i suoi adepti.

L'arte è tale non perché l'artista ha fatto una grande opera, ma perché le persone sono coinvolte in quello che ha fatto l'artista e le persone chiamano, quella rappresentazione, arte.

La commedia, la scultura, la pittura, il film, la poesia, l'architettura, sono opere d'arte solo perché lo spettatore le vive come simboli che alimentano le sue emozioni suscitando pensieri, ricordi e tensioni psichiche. Altrimenti, si tratta di manufatti.

L'opera d'arte si distingue dal manufatto dalla capacità di suscitare emozioni nello spattatore.

Oggi come oggi, gli studi sulle risposte emotive dell'uomo si sono molto sviluppati e molto si svilupperanno in futuro. Tuttavia una cosa è suscitare emozioni nell'immediato, in questi uomini la cui struttura emotiva è manipolata e rinchiusa nelle categorie di pensiero cristiano, e un altro conto è suscitare emozioni in ogni uomo e in ogni ambiente culturale in tempi in cui i simboli proposti dall'opera sono stati dimenticati.

Le categorie cristiane sono le categorie entro le quali vengono rinchiuse le emozioni degli uomini con una violenza talmente feroce da impedire loro di spaziare nel mondo. In questo contesto Hegel legge la relazione fra arte e religione: l'arte è al servizio dell'odio violento della religione cristiana contro il desiderio dell'uomo di uscire dai confini che il suo dio assassino impone per assicurarsi la sottomissione dell'uomo.

Scrive Hegel:

L'arte bella (come la religione che le è peculiare) ha il suo futuro nella religione vera [... ha però anche il suo avanzamento nell'avvenire della vera religione... versione della seconda edizione]. Il contenuto limitato dell'idea trapassa in sé e per sé nella universalità, che è identica con la forma infinita; l'intuizione, il sapere immediato, legato alla sensibilità trapassa nel sapere che si media in sé, in un'esistenza che è essa stessa il sapere, nella rivelazione. Cosicché il contenuto dell'idea ha a suo principio la determinazione dell'intelligenza libera; e, come spirito assoluto, è per lo spirito.

P. 544

L'arte è una forma di comunicazione che tocca la struttura emotiva dell'individuo, suscita specifiche emozioni, rende partecipe o allontana l'individuo.

Suscitando l'emozione favorevole l'individuo con-partecipa allineandosi agli intenti della sollecitazione prodotta dall'artista.

La religione di cui parla Hegel, mette in atto la violenza emotiva nei confronti dell'infanzia: padre, madre, dipendenza, punizioni, doveri, desiderio di liberazione, sottomissione, costrizione in ginocchio a pregare, ecc. Questa violenza ha i suoi effetti nell'impossibilità dell'infanzia di sottrarsi all'azione criminale del cristianesimo. Così il bambino, rinchiuso in una gabbia psichica e sociale, come il cane di Pavlov, inizia a sbavare quando gli elementi in cui sono state rinchiuse le sue espressioni emotive appaiono alla sua attenzione. L'immagine dell'arte, la poesia struggente, richiamano le emozioni imprigionate e costruiscono un'assonanza con la prigionia emotiva dell'individuo tale da costringerlo a tifare. Il bello non è ciò che è bello, ma ciò che rassicura l'individuo nella condizione di violenza che ha subito. Il dolore rappresentato dal crocifisso è il dolore che lui ha subito e che proietta sul crocifisso. Un dolore che è pronto a veicolare producendo altro dolore, ma che chiede comprensione per il proprio dolore che identifica con l'immagine sofferente del crocifisso.

Il dolore del crocifisso nell'arte rassicura il cristiano violentato che quella che ha subito non è una violenza, ma la condizione della vita e quella condizione lui la può ritrovare normalmente nell'immagine del crocifisso con cui identificarsi.

Quella che Hegel chiama "Il contenuto limitato dell'idea trapassa in sé e per sé nell'universalità..." sta dimenticando la violenza che l'individuo ha subito affinché tale idea trapassi nell'universalità trasformando il dolore che ha subito, e che vede riflesso nell'opera d'arte, nel dolore che riproduce per attenuare il dolore subito costringendo altri a vederlo riflesso a loro volta in quella stessa opera d'arte.

Si tratta della funzione della filosofia estetica. L'estetica, la rappresentazione, l'opera d'arte, sintetizza il momento presente in cui l'individuo deve attivare la propria emozione e stabilisce la direzione in cui l'emozione deve condurre il pensiero e l'idea dell'individuo. In questa espressione emotiva, generata dall'estetica della rappresentazione, l'individuo non ha passato, ha solo un presente in cui, emozionandosi, dirige la sua trasformazione verso un futuro indicato dall'opera d'arte.

Quando De Sanctis scrive:

6. Il poema epico suppone una storia tradizionale contemperata con l'atmosfera sociale in (lui vive il poeta, e con le qualità del suo ingegno. Suppone anche tutto un ciclo di poesie anteriori, una lunga e lenta elaborazione della materia, alla quale esso dà l'ultima forma è.

Tutta l'arte presuppone un ambiente culturale di cui l'arte costituisce sintesi ed espressione. L'individuo viene costretto a mirare l'arte dimentico del suo divenuto come soggetto di quell'ambiente. La relazione che si viene a costruire fra opera d'arte, individuo spettatore, ambiente culturale, non è una relazione casuale, è una relazione costruita con degli intenti precisi. Come possiamo pensare che gli antichi, con quella che noi chiamiamo opera d'arte, volevano rappresentare per simboli un'intuire del mondo per il quale non avevano parole, quando, oggi come oggi, l'opera d'arte è il simbolo che viene propinato dal Comando Sociale per imporre la sottomissione e la dipendenza degli individui mediante il controllo delle loro emozioni? La chiesa cattolica che costruisce sofferenza e dolore fra i popoli usa, per la sua propaganda, il bambino affamato per suscitare emozioni e fornirsi di mezzi per costruire altra fame e altro dolore. Così, il dolore non muore con l'uomo che vive il dolore, ma viene perpetuato nel tempo in modo che tutti gli uomini vivano nel dolore. Il bambino che sta morendo di fame viene usato dalla chiesa cattolica per affamare altri milioni di bambini con l'aiuto delle persone che si emozionano vedendo quel bambino che muore di fame. Anziché dare il denaro a quel bambino, finanziano chi lo ha ridotto alla fame: la chiesa cattolica. Una chiesa cattolica, un cristianesimo, che non agisce ora e basta. Non vive un presente, ma spaccia un presente affinché le persone non colgano il divenuto di questo presente e i processi di trasformazione dell'uomo.

Gli Dèi di Omero esistono perché sono la realtà del mondo in cui viviamo. Ciò che non esiste è l'idea che i cristiani hanno degli Dèi di Omero.

Questa realtà fa sì che possano ancora parlarci nonostante l'ambiente culturale che ha descritto le gesta sia stato spazzato via dal platonismo e dal cristianesimo.

E' come per la sessualità.

Ogni immagine sessuale ci parla e ci emoziona nonostante che per duemila anni il cristianesimo abbia indicato la sessualità come il male da evitare.

Pensiamo all'immagine della madonna sofferente o addolorata dei cristiani che appare sanguinante ad ogni veggente che parla dei peccati del mondo. Non è altro che una rappresentazione funzionale nel progetto per continuare a costruire ed imporre dolore e sofferenza e legittimare il dolore e la sofferenza in quanto questi congiungono il sofferente al dio sofferente, alla madonna sofferente, ai santi sofferenti. L'arte che alimenta e rinnova l'emozione legittimando le condizioni di vita atroci da cui scaturisce il dolore.

Nell'arte cristiana dio non ride mai, Gesù non ride mai. Non è mai felice. Non gioca, non fa cose sciocche: la rappresentazione dell'arte nella religione cristiana è il simbolo che richiama la sofferenza, il dovere, la sottomissione, l'obbedienza, il senso di colpa, il terrore del dio padrone o l'inferno, le pene, l'esaltazione della tortura.

L'arte che rappresenta la sofferenza nel cristianesimo è l'arte che conferma e indirizza la sofferenza che il cristianesimo ha imposto sull'infanzia.

A quest'arte, nel rinascimento italiano, c'è stata la ribellione dell'arte che richiama le figure delle antiche religioni Pagane come lette dal cristianesimo. La legittimazione del peccato, della lussuria, del godimento e dei piaceri della vita. Non erano gli Dèi delle Antiche religioni, ma erano la rappresentazione giustificativa del peccato con cui i cristiani si ribellavano al dolore imposto dal loro dio padrone, dal loro Gesù padrone.

L'arte, le raffigurazioni chiamate artistiche che precedono il cristianesimo sono simboli.

Il simbolo rappresenta l'intento che viene rappresentato. Mentre prima del cristianesimo il simbolo, l'arte, richiamava la partecipazione delle persone allo Stato, le immagini religiose erano i legami dell'uomo col mondo che era necessario ricordare. Col cristianesimo, da cui noi partiamo per guardare il passato, l'arte legittima la violenza sull'infanzia, la veicola e la indirizza. Noi guardiamo al passato con gli occhi manipolati dall'ideologia cristiana che uccide ogni possibilità dell'uomo di espandersi nella sua esistenza in funzione del controllo in nome e per conto del suo dio padrone. Prima del cristianesimo l'arte, che rappresentava l'intento di sottomere al dio padrone. non esisteva. I simboli dello Stato non impedivano all'uomo di espandersi nel mondo e nella vita, al contrario, invitavano l'uomo ad espandersi nel suo mondo e nella sua vita perché questa sua espansione rafforzava lo Stato.

Col cristianesimo gli uomini diventano pecore del gregge, massa di manovra, soggetti sottomessi e l'arte diventa arte della sottomissione, arte del controllo, arte dell'esaltazione del dolore, dell'obbedienza, della sofferenza.

Un esempio dell'arte sottomessa che spaccia dolore e sottomissione lo abbiamo visto manifestato in tutto il suo orrore nella cinquantacinquesima Biennale d'Arte di Venezia organizzata da Massimiliano Gioni e organizzata dalla Biennale di Venezia presieduta da Paolo Baratta nel 2013.

L'Esposizione Internazionale d'Arte dal titolo Il Palazzo Enciclopedico, è stata in più grande esercizio di esaltazione dello stupro e della violenza sull'uomo che, a mio avviso, una mostra d'arte ha mai presentato. Le opere sono state scelte per un fine distruttivo e ingiurioso. Per riaffermare principi di distruzione e di morte in omaggio al dio padrone che andava esaltato in tutte le sue sfaccettature di potere e di dominio.

Sottomessa all'ideale del macellaio di Sodoma e Gomorra la cinquantacinquesima Biennale d'Arte di Venezia ha avuto nel suo adoratore, tale Ravasi, l'agente di provocazione contro i diritti Costituzionali dei cittadini. L'intento era stimolare la sottomissione e per l'occasione si è esaltata l'opera dello schizofrenico rinchiuso nella sua ossessione, l'opera dell'artista autista, l'opera delle carcerate della Giudecca, i tarocchi di Jung e di Crowley, si è esposta la bibbia a fumetti, si è esposto l'edonismo fino alle offese contro la vita nella rappresentazione di Danae e Zeus, che si trasforma in pioggia d'oro, come se Danae fosse la puttana che recita il magnificat in gloria del padrone.

La cinquantacinquesima Biennale d'Arte di Venezia è partita dall'idea che oggi possiamo definire "nazista", ma che ieri era clericale, di separazione della cultura dall'uomo di Marino Auriti. Quel Palazzo Enciclopedico che rappresenta il dominio sull'uomo: il dio padrone, la sapienza, separata dall'umanità e dai processi di trasformazione dell'uomo. L'arte oscilla fra imposizione del giogo e rappresentazione della ribellione al giogo della ferocia del cristianesimo.

Scrive Hegel:

Ma l'altro modo dell'inadeguatezza dell'idea e della figurazione è, che la forma infinita, la soggettività, non è, come nel primo estremo, soltanto personalità superficiale, ma è la massima intimità, e Dio vien saputo non in quanto cerca soltanto la sua figura o si soddisfa in quella esterna, ma in quanto trova sé in sé, e quindi solo l'elemento spirituale si dà la sua forma adeguata. Così l'arte – romantica – rinunzia a mostrarlo come tale nella figurazione esterna e per mezzo della bellezza: essa lo rappresenta come quello che condiscende soltanto all'apparire, e rappresenta il divino come intimità nell'esteriorità, il quale anche si sottrae a questa, onde l'esteriorità può qui apparire come accidentale verso il suo significato.

La filosofia della religione deve scoprire la necessità logica nel progresso delle determinazioni dell'essenza, conosciuta in quanto assoluto; a quali determinazioni corrisponda dapprima la guisa del culto; come, inoltre, l'autocoscienza mondana, la coscienza di ciò che sia la suprema determinazione dell'uomo, e quindi la natura dell'eticità di un popolo, il principio del suo diritto, della sua libertà reale e della sua costituzione, nonché della sua arte e scienza, corrispondano al principio che costituisce la sostanza di una religione. Che tutti questi momenti della realtà di un popolo costituiscano una totalità sistematica, e un unico spirito li produca e li informi, questa veduta giace a fondamento dell'altra, che la storia delle religioni coincide con la storia del mondo.

Pag. 542 – 543

Hegel si riferisce all'arte cristiana. Alla violenza della rappresentazione del dolore che viene imposto alle persone. Ma non è la raffigurazione dell'arte che permette alle persone di trovare dio, ma le persone nell'arte trovano il dio della violenza che hanno subito e alla quale si sono assuefatte finendo per illudersi di trovare "sé in sé". Non è l'artista che dà forma adeguata alla rappresentazione, ma è l'aguzzino, il torturatore che costringe la persona a cercare in quella forma e in quella rappresentazione la forma adeguata in cui può legittimare la fonte del suo dolore nella sua struttura emotiva.

In tutta la filosofia l'estetica è la rappresentazione del momento presente e vuole, necessariamente, evitare di confrontarsi con le emozioni dei soggetti a cui chiede di aderire alle sue rappresentazioni.

Lo stesso concetto di bellezza nell'estetica dell'arte è fuorviante: il bello è ciò che coinvolge la mia struttura emotiva. Se io sono stato torturato il bello è ciò che procura sollievo alle torture che ho subito. Ma ciò non è bello, è il bello imposto mediante la violenza. E' ciò che qualcun altro, al di fuori di me, chiama bello perché quel bello gli garantisce la mia sottomissione.

L'estetica nega l'uomo in funzione della sua rappresentazione.

L'arte, che un tempo rappresentava i bisogni dell'uomo e proprio perché rappresentava i bisogni dell'uomo le rappresentazioni antiche sono state chiamate "arte", oggi rappresenta i bisogni del dominio, dell'oppressione e della negazione della libertà. Anche quando l'artista rivendica la sua libertà nella rappresentazione, la rappresentazione diventa la sua libertà che nega la libertà delle persone qualora forze economiche, militari o politiche fanno di quell'arte la manifestazione del loro dominio.

Il fatto stesso che Hegel affermi l'esistenza di un assoluto, nega il divenire nell'assoluto dell'uomo in quanto, avendo determinato un assoluto, nega all'uomo la possibilità di costruire il suo assoluto: nega all'uomo la sua libertà.

Una volta stabilita la coercizione e la violenza con cui la religione impone l'arte all'individuo al fine di consentire alla religione di riprodurre il suo controllo, Hegel cerca di dare un compito alla religione. Il compito di cerare un principio che costituisca la sostanza della religione cristiana. Come se la sostanza reale della religione cristiana non fosse l'esercizio della violenza con cui impone le proprie categorie all'infanzia e, per perpetuare tale imposizione, l'arte con cui affermare quelle stesse categorie di violenza.

Scrive De Sanctis:

CONSIDERAZIONI GENERALI SULLE POESIE (XXVIII)

Precedettero alcune considerazioni generali:

1. Derivando le forme dal contenuto, nessun poema può essere tipo e modello di tutti gli altri, perché ciascuno ha un contenuto suo, e perciò forme sue.

2. In poesia non ci sono tipi, ma individui, e nessun individuo somiglia a un altro. I tipi sono astrazioni della critica. Il tipo è una data qualità accentuata, com'è anche nella vita reale. Il poeta non deve avere innanzi tipi, ma individui. Il carattere tipico è insito nella persona poetica, senza consapevolezza del poeta. Dire che Achille è il tipo della forza e del coraggio" e che' Tersite è il tipo della debolezza e della vigliaccheria, è inesatto, potendo queste qualità avere infinite espressioni negli individui. Achille è Achille, e Tersite è Tersite, e appunto per questo sono compiute persone poetiche, le quali possono giovare ai poeti, non come esemplari da copiare, ma come ispirazione a invenzioni simili, a quel modo che la natura ispira i poeti, e i modelli sono utili ai pittori.

In poesia e nell'arte ci sono modelli narrativi che devono essere riprodotti al fine di permettere alla religione cristiana di perseverare nella sua attività.

I modelli narrativi contengono anche lo sviluppo delle forme etiche della comunità. Come nelle favole.

I modelli narrativi hanno lo scopo di attrarre il lettore, lo spettatore, il visitatore. Costui viene emotivamente coinvolto solo se nell'opera d'arte riconosce gli elementi tipici del suo divenuto, della sua storia, delle sue idee, della sua morale, della sua etica nella quale può veicolare i propri sentimenti emotivi.

Il sentimento emotivo diventa oggetto di ricerca. La retorica riempirà le parole e le forme di modelli che attivano il sentimento emotivo: far fremere lo spettatore o farlo indignare, appassionare, infuriare, coinvolgere. L'arte diventa arte di manipolazione dell'uomo. Il modello richiama alla memoria e la storia coinvolge, l'immagine attizza o abbatte l'ardore.

Cosa fa la chiesa cattolica quando i comunisti possono vincere le elezioni? Porta in processione l'immagine della madonna addolorata. Costringe i suoi fedeli a piangere sulla madonna pellegrina che inizia ad apparire ad ogni angolo di strada. Le madonne piangenti sangue appaiono e l'arte coinvolge lo spettatore facendogli dimenticare la sua capacità di critica del presente e le condizioni in cui si svolge la propria esistenza.

Ce lo dice De Sanctis: Achille il coraggio, Tersite la debolezza. La madonna piangente la compassione miserevole, il Gesù crocifisso, la soggettivazione del dolore, le chiese nell'arte come modello del trionfo della chiesa cattolica su ogni nemico che cerca la libertà.

Scrive Hegel:

La forma di questo sapere è, in quanto immediata (il momento della finità dell'arte), da una parte un dirompersi in un'opera di esistenza esterna e comune, nel soggetto che produce l'opera e in quello che la contempla e l'adora; dall'altra parte, essa è l'intuizione concreta e la rappresentazione dello spirito assoluto in sé come dell'ideale; della forma concreta, nata dallo spirito soggettivo, nella quale l'immediatezza naturale è soltanto segno dell'idea, per la cui espressione è così trasfigurata mediante lo spirito formatore, che la forma non mostra altro in lei fuori dell'idea. Tale è la forma della bellezza.

Scrive De Sanctis:

Parimente l'umano, 1' "homo sum", fondamento assoluto e perciò immutabile di tutta la vita umana, reale e artistica, non esiste in natura e non esiste in arte. Gli elementi etici e patetici che fanno di sé bella mostra nelle rettoriche, non sono che astrazioni; tolti dal vivo dov'erano incorporati, non sono che pezzi di anatomia, frammenti cadaverici. L'uomo, come il tipo, è insito in ciascuna persona poetica, e senza coscienza dell'artista.

Si tratta di sottolineare due aspetti complementari dell'uso dell'arte come funzione di manipolazione dell'uomo. Il pezzo di anatomia tolta dal cadavere che l'artista rappresenta in De Sanctis diventa in Hegel intuizione concreta e rappresentazione dello spirito assoluto in sé come ideale che l'artista vuole, con la sua rappresentazione, attivare nello spettatore per indurre lo spettatore ad una relazione di con-passione con la sua opera d'arte.

De Sanctis rileva come non esista l'uomo ripresentato nell'arte, tuttavia, come rileva Hegel esiste il "segno dell'idea" che mediante il modello rappresentato dall'artista viene attivato nello spettatore per sottometterlo all'arte. Quell'attivazione è al contempo oscuramento e annichilimento di altre possibilità di espressione a cui, in quel momento, lo spettatore rinuncia in funzione dell'attivazione di quell'aspetto psichico che avviene richiamato dall'opera. Lo spettatore si fa passivo di fronte all'artista che ne manipola la coscienza. Questa condizione è chiara nell'arte cristiana e cattolica nello specifico. Fu il motivo per cui il cattolicesimo procedette alla distruzione sistematica di statue e di templi delle Antiche Religioni. Quell'arte, anche come oggetto residuale, può attivare nello spettatore aspetti psichici che lo allontanano dal cattolicesimo: attivare un aspetto, significa annichilirne altri. Al cristianesimo interessa il monopolio dell'attivazione e dell'annichilimento delle forme psico-emotive dei suoi adepti per impedire loro di far spaziare la psiche nel mondo infinito che li circonda.

Scrive De Sanctis:

4. Le regole sono anch'esse lavoro posteriore all'arte, e perciò sono anch'esse astrazioni. Le regole più importanti non sono le generalità, che si accomodano ad ogni contenuto, ma sono quelle che traggono il loro succo "ex visceribus oousae", dalle viscere del contenuto.

5. Perciò il vero in arte non è assoluto come nella scienza, ma è relativo al contenuto, nelle condizioni in cui lo concepisce il poeta. Le rappresentazioni poetiche sono vere, anche quando il contenuto è riconosciuto falso. Gli Dei non esistono più innanzi alla nostra coscienza, ma restano immortali in Omero.

Queste considerazioni, ch'io trovo nei sunti lasciatimi dai miei discepoli, sembrano oggi luoghi comuni. E questo è il progresso. Ciò che un giorno è una tesi lungamente dibattuta e studiata, fra venti anni diventa un luogo comune, che sarebbe pedanteria dimostrare e illustrare. A quei tempi queste cose parevano bestemmie a molti; e io mi trovavo tra due fuochi, tra i classici e i romantici, o quelli almeno che si decoravano con questo nome senza alcuna serietà di studi. La impostura è cosa vecchia. Anche allora si empivano la bocca di autori neppur leggicchiati, e si apriva facile mercato di scienza raccolta negl'indici e ne' dizionari.

Scrive Hegel:

L'unilateralità dell'immediatezza nell'ideale contiene (§ 556) l'unilateralità opposta: che cioè esso è qualcosa di fatto dall'artista. Il soggetto è l'elemento formale dell'attività; e l'opera d'arte è solo allora l'espressione di Dio, quando non vi ha in essa segno alcuno di particolarità soggettiva, ma il contenuto dello spirito che vi è dentro vien concepito e generato senza miscuglio e incontaminato dall'accidentalità di quella particolarità. Ma, poiché la libertà procede solo fino al pensiero, l'attività riempita 'con questo contenuto immanente, l'ispirazione dell'artista, è, come una forza a lui estranea, un pathos non libero: il produrre ha la forma dell'immediatezza naturale; spetta al genio come a soggetto particolare, ed è insieme un lavoro che ha da fare con l'intelligenza tecnica e con le esteriorità meccaniche. L'opera d'arte è perciò altresì opera del libero arbitrio, e l'artista è il padrone del Dio.

In quell'invasamento o ispirazione la; conciliazione appare nel suo inizio, di guisa che essasi compie immediatamente nell' autocoscienza soggettiva, la, quale è per tal modo sicura di sé e lieta, senza profondità e senza coscienza della sua opposizione verso l'essenza, che è in sé e per sé. Di là dalla perfezione della bellezza, che ha luogo, per siffatta conciliazione, nell'arte classica, sta l'arte del sublime, la simbolica, in cui non si è ancora trovata la forma adeguata all'idea, anzi il pensiero vien rappresentato come oltrepassante la forma e lottante con questa, quasi atteggiamento negativo rispetto alla forma, nella quale insieme si sforza d'imprimersi. Il significato, il contenuto mostra appunto con ciò di non avere ancora raggiunta la forma infinita, di non sapere, e di non essere ancora consapevole, come spirito libero. Il contenuto è soltanto come il Dio astratto del pensiero puro o una tendenza verso di lui, uno sforzo che, senza posa e inconciliato, si getta in tutte le forme, non riuscendo a trovare il suo fine.

Le regole sono quelle che determinano il fine a cui tende l'opera d'arte e il fine è l'immediatezza del coinvolgimento dello spettatore.

Per Hegel l'opera d'arte assume il suo massimo valore come strumento di manipolazione mentale quando nell'opera non c'è nessun segno di particolarità soggettiva. L'opera d'arte che viene oggettivata come il dio padrone dei cristiani è oggettivato rispetto agli uomini. In quel momento l'artista è depersonalizzato. Non rappresenta più il bello che percepisce, ma il bello che deve essere in funzione del bello che le persone devono ritenere che sia: appunto, il dio padrone cristiano. L'artista è il padrone del dio padrone: lui è il dio padrone!

A questo fa eco De Sanctis che parla delle regole dell'arte come parte integranti dell'arte e che diventano, data l'attività dell'artista , esse stesse delle astrazioni.

Che cos'è dunque il vero nell'arte? Il vero è ciò che coinvolge lo spettatore e, come afferma Hegel: "nell'autocoscienza soggettiva, la, quale è per tal modo sicura di sé e lieta, senza profondità e senza coscienza della sua opposizione verso l'essenza, che è in sé e per sé ."

Mentre Hegel afferma che il contenuto dell'arte è soltanto come il dio padrone astratto del pensiero puro o una tendenza verso di lui, uno sforzo che, senza posa e inconciliato, si getta in tutte le forme non riuscendo a trovare il fine, De Sanctis afferma che il vero in arte è relativo al contenuto nelle condizioni in cui lo percepisce il poeta o l'artista.

La visione dell'artista come il dio è la visione che guida il pensiero di Hegel e di De Sanctis. Essi considerano esclusivamente dio che agisce e non il soggetto su cui dio agisce che a sua volta agisce nei riguardi dell'azione dei dio.

La distorsione della visione sociale sarà il filo conduttore della filosofia fino all'avvento della psicologia. La filosofia di Hegel e De Sanctis tratta l'uomo come oggetto di possesso di un dio che, rappresentato nell'arte, deve costringere gli uomini passivi alla compassione col padrone per ottenere un'adeguata sottomissione.

De Sanctis diventerà ministro della pubblica istruzione e come tale, pur dando impulso allo sviluppo della cultura, la cultura che svilupperà sarà quello dell'individuo posseduto. Dell'uomo sottomesso, dello schiavo da gestire in maniera furba ed opportuna. La cultura che riafferma il diritto del dio dei cattolici di stuprare bambini perché i bambini sono oggetti sottomessi.

De Sanctis si batterà affinché in Italia sia introdotta nell'istruzione l'educazione fisica, sia dato impulso al benessere del corpo, ma nello stesso tempo quel corpo non è in funzione dell'uomo, ma è in funzione del padrone, dello Stato, del dominio. L'idea di De Sanctis è quella dello schiavo efficiente contro l'idea cattolica dello schiavo malato, sottomesso e sofferente. In questa idea di schiavo efficiente c'è la negazione dell'uomo e l'esaltazione del padrone, dell'artista, dello statista, ecc. e di tutti coloro che detengono il controllo dell'uomo.

L'arte, come strumento di controllo dell'uomo da parte del dio padrone, sarà sviluppata assumendo anche l'aspetto di arte come strumento di controllo dello Stato. Ad ogni angolo di strada, come sorgono cappelle e croci cattoliche, così sorgeranno monumenti a Mazzini, Vittorio Emanuele, Garibaldi, e tutte le glorie che lo Stato indica a modello allo stesso modo in cui la chiesa cattolica indica santi e madonne istigando i cittadini alla devozione e alla sottomissione.

Mentre io posso dire: "Amo ciò che lo Stato rappresenta, ma disprezzo molti degli uomini che rappresentano lo Stato". Con l'arte nelle strade lo Stato dice ai cittadini: mettevi in ginocchio davanti agli uomini dello Stato che, come il dio padrone cristiano, sono i vostri padroni.

NOTA: le citazioni sono state prese da

1) Francesco De Sanctis, Scritti autobiografici, politici e pedagogici scelti da Marcello Aurigemma Editore Angelo Signorelli 1957 p. 60-61

2) Georg W. F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche, Edizione Universale Laterza 1989

Marghera, 10 maggio 2014

 

Teoria della Filosofia Aperta - Volume tre

 

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Quando un percorso sociale fallisce o esaurisce la sua spinta propulsiva, è bene tornare alle origini. Là dove il pensiero sociale è iniziato, analizzare le incongruenze del passato alla luce dell'esperienza e abbattere i piedistalli che furono posti a fondamento del percorso sociale esaurito.

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Marghera, 10 maggio 2014

Claudio Simeoni

Meccanico

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La Teoria della Filosofia Aperta

Le idee si presentano alla ragione come dei lampi intuitivi. Illuminano per un attimo la ragione e poi tendono a sparire annullate da una ragione che tende a riprendere il controllo sull'individuo. Le idee sono un'emozione che insorge con violenza dentro di noi e modifica la nostra descrizione del mondo, una descrizione che la ragione tende a ripristinare ma che l'emozione ha definitivamente compromesso. Una nuova descrizione, una nuova filosofia emerge dentro di noi e noi, qualunque sia il nostro grado di cultura, dobbiamo comunque confrontarla con la cultura del mondo in cui viviamo.