Il nazi-fascismo mistico in Evola

Fascismo e religione

Il numero tredici e la superstizione evoliana

di Claudio Simeoni

La Teoria della Filosofia Aperta

Fascismo fra messianesimo e desiderio apocalittico

 

Il fascismo, come il nazismo, è una religione che assume su di sé i contenuti del cristianesimo e li riveste di una forma diversa al fine di mascherare l'origine dei contenuti ideologici.

Già qualcuno ha rimproverato ai filosofi che hanno studiato Giovanni Gentile, Heidegger o Arent, di aver pensato come la loro relazione con il nazismo e il fascismo sia stata di ordine storico (quella era l'epoca) anziché analizzare i loro principi filosofici che erano parte inalienabile del pensiero ideologico nazista e fascista.

Come nel caso di Julius Evola. Evola era un filosofo fascista che faceva dell'uomo superiore il padrone di uomini pensati come inferiori. In sostanza, Evola portava nel fascismo l'ideologia cattolica del super-uomo Gesù e il fascismo si faceva portatore e garante dell'ideologia cattolica.

Vale la pena di fare alcune riflessioni su questo piccolo articolo di Evola apparso nella rivista "Il regime fascista" del 9 agosto 1939 a pag.3 dal titolo "Tradizioni e superstizioni: I 'tredici' e l'eletto" Di Julius Evola.

Il discorso di Evola inizia con una riflessione sulla superstizione popolare in relazione al numero 13. Un'idea che egli imputa ad un "popolo" inferiore e ignorante che ha trasformato in superstizione quello che era, in realtà, un principio nobile, un principio di conoscenza superiore e che, presso il popolo, è decaduto come atto di superstizione.

Scrive Evola:

la "primitività" e la "spontaneità" comunemente supposta nelle tradizioni popolari, negli usi, nei costumi e nelle leggende di strati sociali ed altresì di popolazioni inferiori, non è che una fiaba. In tutto ciò è piuttosto, salvo, rarissime eccezioni, da vedere la forma involutiva e degenerescente di elementi e di significati, originariamente appartenenti ad un piano più alto. Le stesse cosiddette "superstizioni" popolari sono da considerarsi a questa stregua: e già il nome, nella sua etimologia, lo dice: superstizione vuol dire sopravvivenza, ciò che sussiste e sopravvive. Le superstizioni popolari sono spesso relitti di concezioni superiori precedenti non più comprese e quindi degradate si e sussistenti, per così dire, come qualcosa di meccanico e di disanimato, che continua a esercitare una certa suggestione, ad arruolare forze irrazionali e istintive di fede per una specie di atavismo senza la capacità di fornire più una spiegazione intelligibile.

C'è una precisa relazione concettuale fra pensare una società gerarchica di persone e pensare una gerarchia di concetti in relazione ad un oggetto che chiamiamo "simbolo". Secondo Evola, la gente è ignorante mentre, al contrario, i pastori di persone sono evoluti e hanno "concetti" più alti, più nobili!

Questo modo di pensare le persone è un modo tipicamente cristiano che viene assunto dal fascismo e dal nazismo che nutrendosi di verità fantasmagoriche, con cui alimentare la superiorità di razza o di categoria fra "intelligenti", loro, ritengono "ignoranti" il "popolo" ed ogni persona a loro sottoposta.

Riporto dal Dizionario Garzanti (2010) il significato del termine "superstizione":

"Atteggiamento irrazionale dettato da ignoranza, suggestione o timore, che attribuisce a cause occulte o a influenze soprannaturali alcuni avvenimenti, per lo più negativi: vivono ancora antiche superstizioni; la superstizione del malocchio, il gatto nero, dei numeri magici, ecc. Il termine deriva dal latino "superstitione", Derivato di "superstare" che significa "stare sopra", che costituisce una sovrastruttura. Generalmente è un "pregiudizio"."

Diversamente Evola dice:

"superstizione vuol dire sopravvivenza, ciò che sussiste e sopravvive. Le superstizioni popolari sono spesso relitti di concezioni superiori precedenti non più comprese e quindi degradate si e sussistenti, per così dire, come qualcosa di meccanico e di disanimato, che continua a esercitare una certa suggestione, ad arruolare forze irrazionali e istintive di fede per una specie di atavismo senza la capacità di fornire più una spiegazione intelligibile."

A prescindere, dunque, dal diverso significato che Evola attribuisce al termine "superstizione", notiamo immediatamente come il suo sforzo sia quello di legittimare l'esistenza di una degenerazione di "credenze più alte" o "nobili" che sono decadute, cadute in basso, per diventare "superstizione popolare".

Il punto centrale, per discutere i modelli ideologici di Evola, passa attraverso il diverso significato da dare alla parola superstizione.

O la superstizione è qualche cosa che sta sopra o precede l'idea, o la superstizione è, come dice Evola, " sopravvivenza, ciò che sussiste e sopravvive".

E' evidente che ciò che qualifica una superstizione sono i contenuti dell'atteggiamento o dei significati che non coincidono con dati di realtà. La superstizione definisce la causa di un fatto, di una rappresentazione, che prevede delle conseguenze immaginate. La presunzione, che costruisce la superstizione, nasce da condizioni soggettive che possono, nei casi più gravi, sfociare nella malattia psichiatrica dove la presunzione e il pregiudizio bloccano ogni tentativo di analisi della realtà del soggetto che risolve una situazione mediante affermazioni costruite aprioristicamente e che "stanno sopra", "precedono" e condizionano giudizio soggettivo.

Se, come dice Evola, la superstizione fosse una credenza superiore sopravvissuta, la credenza superiore da cui deriva quella che Evola chiama "superstizione" era o non era superstizione? Rispondeva a "dati di realtà"?

Scrive Evola:

Vogliamo addurre qui, un singolo esempio, che già serve a dare un sufficiente chiarimento. Sono certamente note a tutti le superstizioni popolari relative al numero tredici. Esse sono comuni a più di una nazione. Il numero tredici ha una natura ambigua: è un numero sia di sciagura che di fortuna. L'elemento di sciagura, di sfortuna, quasi sempre predomina (e, come vedrete, non a caso). Ma anche l'altro aspetto è presente: il numero tredici è anche un portafortuna, tanto che spesso lo vediamo figurare perfino nei moderni amuleti a pendaglio, portati un po' per scherzo e un po' per serio dai nostri contemporanei, soprattutto di sesso femminile. Donde mai è venuta questa credenza o "superstizione"?

L'esempio del simbolo che Evola prende in considerazione è il numero tredici. Il numero tredici, secondo la tradizione popolare, è un "simbolo" che indica fortuna o sfortuna. Se un insieme si presenta in numero di 13, quell'insieme o parte di quell'insieme è sfortunato. Il numero, in sé, indica la sfortuna. In alcuni casi indicherebbe la fortuna.

Evola si chiede da dove sia venuta la "credenza" o superstizione che il numero 13 porti sfortuna? Perché le persone, in particolare quelle di sesso femminile, le donnette (nota inferiorità delle donne rispetto agli uomini), raffigurano il numero tredici in amuleti o pendagli?

Evola stesso afferma che queste superstizioni vengono manifestate dal "popolo" privo di cultura che trasforma in superstizione " relitti di concezioni superiori precedenti" a cui, chiaramente, il popolo non ha accesso.

La domanda da farci è questa: a quale cultura il popolo ha accesso che lo porta a stabilire che il numero 13 è un simbolo di sfortuna? Al popolo, ai tempi di Evola, lo scritto è del 1939, non era data se non una scarsa cultura. L'analfabetismo in Italia era oltre il 20 per cento della popolazione che raggiungeva il 25 per cento nella popolazione femminile. Il che significa che a malapena la popolazione sapeva scrivere il proprio nome e cognome. Però aveva " relitti di concezioni superiori precedenti" che rielaborava mediante uno sforzo culturale che Evola chiama superstizione.

La risposta è molto più semplice. L'Italia era priva di cultura scolastica, ma i bambini erano costretti a frequentare le scuole cattoliche di catechismo. L'unica cultura che c'era in Italia era la cultura cattolica esattamente come in alcuni luoghi ci sono solo le scuole coraniche o le scuole religiose indù, rabbiniche o buddiste. In altre parole, i bambini non sapevano leggere o scrivere, ma in compenso sapevano tutto dei dodici apostoli e del tredicesimo che è finito in croce o, se preferite, del dodicesimo apostolo, il tredicesimo a tavola, che si è impiccato.

Da qui nasce l'idea del numero tredici che porta sfortuna. L'imposizione dell'ideologia cristiana sull'infanzia viene rielaborata attraverso una condizione psicologica di autoidentificazione. Fortuna o sfortuna dipendono dall'identificazione psicologica col padrone Gesù o con la volontà di accusare qualcuno di tradimento, di essere un Giuda.

Ovviamente Evola non coglie nella mancanza di cultura e nella manipolazione mentale dell'infanzia la risposta alla sua domanda. Per lui l'uomo è creato ad immagine e somiglianza di un Dio pazzo cretino e deficiente e, pertanto, l'ignoranza dell'uomo è insita nella creazione di Dio, voluta da Dio, che ha voluto che quegli uomini fossero inferiori, sottomessi e ignoranti. Non come lui che Dio ha voluto che fosse colto ecc.

Alla base delle osservazioni di Evola c'è il disprezzo per gli uomini in quanto massa e l'esaltazione della gerarchia che domina gli uomini. Infatti Evola lo dice immediatamente:

A dichiararne l'origine prima, i più resterebbero stupefatti. Bisogna riferirsi né più né meno che ad antiche tradizioni dì carattere metafisico, sacrale e perfino imperiale. Il punto di partenza è il simbolismo del dodici. Il dodici è una specie di "segno" che sempre si ritrova dovunque si costituì il centro di una grande tradizione storica di tipo "solare" e ciò, per precise ragioni analogiche. Di dodici segni si compone infatti lo Zodiaco, che sta a definire il circuito solare. Un ciclo completo dell'astro della luce comprende dodici fasi, definite appunto dalle costellazioni zodiacali, alle quali, per tal via, furono riferiti altrettanti modi d'essere e, da un altro punto di vista, altrettante funzioni della "solarità" nel ciclo in questione. Per cui, per analogia, e per vie misteriose, le tradizioni che nell'antichità ebbero il senso di incarnare sulla terra e nella storia una funzione "solare", ci lasciano sempre ritrovare la "sigla" del dodici.
Cosi dodici sono le partizioni del più antico codice ariano, quello delle leggi di Manu, dodici i grandi dei e le anfizionie elleniche, i membri di molti collegi sacerdotali romani (gli Arvali e i Salii p. esempio, e lo stesso è il numero dei littori), gli eroi divini di Asen del Mitgard della tradizione nordica, i discepoli di Laotze in quella taoistica estremo-orientale, i membri del consiglio "circolare", del Dalai- Lama nel Tibet, i principali cavalieri della corte di Re Arthur e del Graal, i lavori simbolici di Eracle, e via dicendo. Il cristianesimo riflette parimenti lo stesso ordine di idee: vi troviamo i dodici apostoli - ma, in più, il Tredicesimo. Nel consesso dei Dodici, il Tredicesimo è colui che incarna lo stesso principio solare e che vale dunque come centro e capo supremo di tutti; gli altri, rispetto a lui, non corrispondendo che a funzioni e aspetti derivati dal ciclo solare della tradizione, civiltà o religione di cui si tratta.

Evola trova la prova del 12 e del tredici che appartengono ad un piano ideologico più alto riprendendo una serie di eventi nella storia in cui appare il numero 12 e il numero tredici con cui giustificare, in base ad una decadenza culturale la superstizione in quello che lui chiama " leggende di strati sociali ed altresì di popolazioni inferiori".

Però noi dobbiamo chiedersi un'altra cosa. Gli esempi che Evola ha addotto per giustificare le sue affermazioni sono in grado di certificare la "nobiltà" del simbolo del 12 e del 13 o sono, al contrario, superstizioni di Evola nel voler attribuire al numero 12 o tredici un valore nobile rispetto alle idee che sul 12 e sul 13 ne hanno le "popolazioni inferiori"? E' Evola il superstizioso che sceglie cose o situazioni in cui appare il numero dodici o tredici per legittimare un suo pensiero aprioristico? O il numero 12 e tredici hanno un valore intrinseco in sé?

Per esempio, lo Zodiaco si compone di 12 segni. Un anno lunare si compone di 12 mesi. Però il conto non è esatto e non coincide con l'anno solare così avvengono delle correzioni come nell'"anno lunare embolismico" che viene diviso per 13 mesi. Ora, gli uomini hanno necessità del calcolo astronomico e soddisfano queste necessità mediante una divisione del tempo. Diventa pura superstizione quando, alla divisione convenzionale del tempo si vogliono attribuire significati diversi dalla divisione convenzionale del tempo: appunto, superstizione!

Altro esempio adottato da Evola sono le "Leggi di Manu" il figlio di Brahama e capostipite dell'umanità secondo alcune congregazioni di Indù. Questo testo scritto fra il II sec. a. c. e il II sec. d. c. ha la funzione di legittimare il dominio dell'uomo sull'uomo per impedire agli uomini di costruire la loro vita e costringerli in una situazione di sottomissione e di servaggio. Tutto il libro "Le leggi di Manu" è un libro superstizioso che impone la sottomissione all'uomo, alla massa di uomini, per favorire un numero limitato di uomini. Il libro "Le leggi di Manu" è la superstizione che legittima il dominio. Naturalmente Evola, in quanto fascista, ritiene legittimo il dominio dell'uomo sull'uomo e ritiene sacra e divina l'attività con cui il nobile, il ricco, il padrone, legittima il suo diritto di possedere gli Esseri Umani. Per lui le "Leggi di Manu" non è un atto di superstizione, ma è una "concezione superiore". E nemmeno cade nel ridicolo.

Un altro esempio che Evola usa per giustificare la sacralità nobile del numero dodici sono "i grandi Dèi dell'Olimpo". C'è una convenzione religiosa, probabilmente istituzionale, che ritaglia un consesso di Dèi da un insieme più vasto, ma si tratta di una scelta arbitraria senza nessun fondamento mitologico. Perché fra questi dodici Dèi non c'è Prometeo? O Atlante? O Latona? O Hekate? E tanti altri? Si tratta dunque di superstizione. Qualcuno vuole "mettere sopra" al mito dodici Dèi di sua scelta, per i suoi scopi, come se non discendessero tutti dal Caos, da Gaia, Urano Stellato e Nera Notte. Si tratta di superstizione e ciò non ha nulla né di nobile, né di sacro.

Un altro esempio usato da Evola per dedurre la nobiltà e la sacralità del numero dodici sono i "popoli" rappresentati nelle anfizionie elleniche, in particolare quella del tempio di Delfi alla cui assemblea erano rappresentati dodici popoli. Un'assemblea che doveva occuparsi di questioni religiose, ma finì per occuparsi di affari commerciali e di politica. Un altro esempio di religione usata come superstizione per giustificare affari commerciali e affari politici. Tant'è che nell'anfizionia di Delo, formata da Atene attorno al 477 a. c. mentre erano in corso le guerre persiane, parteciparono fra le 150 e 173 città, Atene compresa. Checché ne dica Evola non era il 12 il numero sacro o nobile delle anfizionie elleniche, ma la necessità d'uso che ne facevano gli elleni e che arrivava a coordinare 12 popoli in difesa di Delfi.

Un altro esempio usato da Evola è quello del collegio dei Salii e del collegio dei fratelli Arvales, due collegi sacerdotali di Roma Antica le cui tradizioni risalgono a Romolo e a Numa. Siamo nel VI secolo a. c. ed è superstizione affermare che i membri dei collegi fossero tali per la "sacralità" del numero dodici. Semmai è perché i collegi erano formati da 12 membri che una mente superstiziosa vuole attribuire la sacralità al numero dodici anziché ad ogni singolo membro dei collegi.

Non conosco da dove Evola ha dedotto che i discepoli di Lao Tse (Laozi) fossero dodici e non posso sapere se erano dodici perché dodici era pensato come numero sacro o se sia stato come i Salii o se, ancora, ciò fosse dedotto dall'attività astrologica praticata da discepoli di Lao Tse.

Evola, per fare un esempio di nobiltà del numero dodici, cita i " membri del consiglio "circolare", del Dalai- Lama". Questo numero di dodici appare un po' come la riedizione dei "dodici apostoli". Un consiglio di dodici per dominare un insieme di cittadini ridotti in schiavitù. La storia del lamaismo, come lo pensiamo attualmente, in Tibet è estremamente recente e se non fosse stato per i mongoli fra il 1500 e il 1600 che aiutarono il Dalai Lama ad instaurare uno Stato schiavista non avremmo avuto nessuna notizia dei "dodici" del consiglio circolare. La schiavitù fu abolita in Tibet il 28 marzo 1959 quando fu abolita la “teocrazia feudale” del Dalai Lama.

Evola, per giustificare la nobiltà del numero dodici, cita " i principali cavalieri della corte di Re Arthur e del Graal" un testo medioevale che necessita di richiamare alla memoria i dodici apostoli dei vangeli dove Artù è il Gesù e i "nobili cavalieri" richiamano gli apostoli.

Un altro esempio usato da Evola per affermare la nobiltà e la sacralità del numero dodici sono le dodici fatiche di Ercole. Le prove che Hera impone ad Ercole affinché possa diventare un Dio. E' Ercole che nobilita il numero 12 o è il numero dodici che indica la sacralità di Ercole? Sta di fatto che in questo numero dodici ci sono solo azioni, non persone. L'unica persona è colui che vive quelle azioni, Ercole.

Tutti questi esempi servono ad Evola come premessa per il vero esempio che vuole fare: la sacralità dei dodici apostoli e del tredicesimo, Gesù. Gesù il sole dei dodici apostoli. Il loro eroe.

Il numero 12 è un numero sacro e l'eroe è il tredicesimo perché il tredicesimo è Gesù e gli altri 12 sono coloro che seguono Gesù. Il numero tredici porta fortuna perché rappresenta Gesù e porta sfortuna perché Gesù è stato crocifisso. Questa realtà religiosa è imposta mediante la violenza sull'infanzia ed Evola, dopo aver subito quella violenza, va alla ricerca dell'oggettività di un'idea che gli è stata suscitata mediante la violenza. La violenza non può, secondo Evola, essere contenuta nella relazione soggettiva fra sé e coloro che hanno determinato il suo vissuto, ma deve avere delle ragioni oggettive. Le ragioni oggettive che determinano la sacralità del numero tredici gli consentono di esorcizzare gli effetti della violenza subita. Non pensa che la sua convinzione attorno al numero 13 sia stata determinata dalla violenza subita nella sua infanzia, ma deve essere stata determinata da una situazione oggettiva in cui davvero il numero tredici rappresenta qualche cosa di sacro, nobile e superiore.

Anche i cavalieri della Tavola Rotonda erano dodici. Artù era il tredicesimo? Il sole, l'elemento solare della tavola rotonda? O era Galahad, o Parsifal, o Gawain? Chi era il Gesù della tavola rotonda? E chi era Pietro, Andrea, Giuda, Tommaso, ecc.?

Ed eccolo Evola, dopo aver premesso l'arrivo di Gesù e dei dodici apostoli, ora li mette nello sfondo del suo racconto. Mentre il loro spirito veleggia, il tredicesimo posto, quello di Gesù, acquista il senso nostalgico e profetico nelle parole di Evola che evoca il nuovo Duce.

Scrive Evola:

La particolare qualificazione di questo cavaliere gli dà il diritto di occupare tale posto, vale a dire di incarnare la funzione solare suprema e di essere il capo dei dodici e quindi della tradizione o organizzazione o del ciclo che ai dodici fa capo. Qualunque altro cavaliere che, senza esserne degno, volesse occupare il tredicesimo posto vuoto, vi troverebbe la sua sventura: egli viene colpito dalla folgore o il terreno gli si spalanca da sotto i piedi. Invece, anche nel prodursi di tali fenomeni, il cavaliere eletto resta illeso. Egli appare spesso come colui cha sa risaldare, a differenza di ogni altro, una spada spezzata, simbolo palese della stessa decadenza, a cui la sua venuta deve porre fine. Ecco dunque che si chiarisce come il numero tredici può esser simultaneamente di fortuna e di sventura. L'aspetto di sventura deve naturalmente prevalere, per la ragione che, sul piano ora indicato, è naturale che la maggior parte di coloro che osassero occupare il tredicesimo posto non sono all'altezza della prova.

E' il "cavaliere eletto" il predestinato. Il numero tredici. L'individuo solare. Il Sole che illumina e che le superstizioni popolari, secondo Evola, trasformano in materialità ciò che secondo lui è spiritualità.

Lo splendore di Dio del tredicesimo uomo, Gesù. Gesù che si innalza a livello di Dio. E una materialità che osserva come questo "coglione" è stato arrestato per delitto e condannato. Essere spirituali, per Evola, significa essere delinquenti nei confronti della società, essere materialisti, per Evola, significa leggere i meccanismi della realtà per ciò che sono. Il modello di Evola, la spiritualità di Mussolini, il tredicesimo, portò il popolo italiano a fianco dei tedeschi per macellare i popoli slavi; la materialità degli italiani fu la ribellione all'uomo del destino in funzione di una democrazia dichiarata ma mai realizzata.

Conclude Evola:

Il Medioevo è, in Occidente, l'ultimo periodo in cui tradizioni, come quelle relative ai dodici, al tredicesimo e al posto pericoloso conservarono ancora significati del genere. Per sentire la distanza che sta fra esse e la loro sopravvivenza superstiziosa, accenneremo ancora a questo: nel nostro libro: "Il mistero del Graal e la tradizione ghibellina dell'Impero" (ed. Laterza, Bari), abbiamo documentato e dimostrato che le leggende cavalleresche ora indicate avevano uno stretto riferimento col problema politico-spirituale dell'impero ghibellino. L'eroe del Graal, che avrebbe dovuto riportare un misterioso regno decaduto al suo antico splendore e che s'indentifica a quel cavaliere eletto, che senza tema può sedersi nel "posto pericoloso" vuoto, nel tredicesimo posto, non è altro che il dominatore che tutto il mondo ghibellino attendeva per la fine di ogni usurpazione e per la realizzazione integrale nel mondo del Sacro Romano Impero: corrisponde, così, più o meno, al misterioso Dux e Veltro di Dante, il quale aveva con le tradizioni ora accennate assai più rapporti di quanto si creda, mentre Riccardo Wagner ne ha falsato nel modo più pietoso il vero senso.
Ma questa speranza, come si sa, andò delusa. Dopo una breve culminazione, si ebbe il crollo: Rinascenza, umanesimo, riforma, crescenza anarchica e violenta delle nazioni, assolutismo e infine rivoluzione e democrazia. Può dunque pensarsi che oggi quanto mai il tredicesimo posto sia vuoto. Il simbolo in esso rinchiuso corrisponde rigorosamente a quello, ben noto, dell'imperatore ghibellino mai morto, che dorme di un sonno secolare e che attende che i "tempi siano giunti" per ridestarsi e per combattere, alla testa di coloro che non lo hanno dimenticato e che ancora gli sono fedeli, l'ultima battaglia.

Il sogno dell'uomo del destino di Evola viene riferito a "padroni", a "nobili" che occupano un posto a tavola e che mangiano sulla pelle e sulla vita delle persone. Il sogno di Evola viene fatto risalire all'oscurantismo, quando le persone erano analfabeti e desideravano un "uomo del destino" che costruisse per loro un futuro desiderato.

Questo bisogno dell'uomo del destino è il motivo ricorrete dell'ideologia evoliana. Un Evola che ha Gesù come modello e che riproduce continuamente quel modello chiamandolo con nomi diversi come del resto fece il cristianesimo quando, ai suoi albori, associò Gesù anche ad Ercole.

E il Duce riporta un "misterioso regno decaduto" al suo "antico splendore". Peccato che gli "uomini del destino" vivono solo di vuota e fantasiosa arroganza. Un'arroganza che vuole legittimarsi mediante fantasie di un passato glorioso desiderato da alcuni che, nel desiderarlo, negano tutti i dati forniti dalla realtà oggettiva.

In questo modo il tempo del terrore, dell'ignoranza e del genocidio a cui gli uomini erano costretti viene da Evola magnificato solo perché gli assassini godevano di impunità assoluta e i loro delitti diventavano gesta gloriose come quella di Mussolini che vuole sterminare gli slavi indicati come "razza inferiore" o "popolo ignorante.

Evola alla fine del suo discorso evoca l'armageddon, la fine del mondo, il giudizio universale. Dove Gesù scende dalle nubi con grande potenza o dove "l'imperatore ghibellino" si risveglia dal sonno, quando i tempi sono giunti, per combattere i suoi nemici.

La visione di Evola è un misto di messianismo e apocalittismo dove il presente deve essere distrutto in funzione del dominio del mondo da parte di questo "tredicesimo uomo" che incarna la croce uncinata, il disco solare, e che ha in Gesù il profeta, il mandante, ma anche il modello ispiratore a cui il presente si deve adeguare.

In tutto questo il numero dodici e il numero tredici vengono usati in maniera del tutto strumentale mentre, se guardiamo attentamente al significato di "sfortuna" attribuito al "popolo ignorante", possiamo fare alcune considerazioni su Gesù che non solo viene condannato per delitto, ma rende visivamente il concetto secondo cui l'arroganza è l'unico peccato che gli Dèi non perdonano. Sia che si tratti di Gesù, del Dalai Lama, di Artù, di Laozi o dell'imperatore ghibellino incarnato da Mussolini.

Evola esalta Federico Barbarossa come "Imperatore del sacro romano impero e re d'Italia". Incarnazione di Gesù che alla fine dei tempi si "ridesta" per " combattere, alla testa di coloro che non lo hanno dimenticato e che ancora gli sono fedeli, l'ultima battaglia."

Il numero tredici, il tredicesimo uomo che porta alla distruzione ciò che ancora non è stato distrutto.

In fondo, questo è l'ideale del fascismo che fa della guerra per la guerra l'ideale dell'esistenza umana.

Marghera. 21 maggio 2021

NOTA: Citazione di Evola da: Tradizioni e superstizioni: I 'tredici' e l'eletto. Di Julius Evola nella rivista "Il regime fascista" del 9 agosto 1939 a pag.3

 

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Claudio Simeoni

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La Teoria della Filosofia Aperta

Le idee si presentano alla ragione come dei lampi intuitivi. Illuminano per un attimo la ragione e poi tendono a sparire annullate da una ragione che tende a riprendere il controllo sull'individuo. Le idee sono un'emozione che insorge con violenza dentro di noi e modifica la nostra descrizione del mondo, una descrizione che la ragione tende a ripristinare ma che l'emozione ha definitivamente compromesso. Una nuova descrizione, una nuova filosofia emerge dentro di noi e noi, qualunque sia il nostro grado di cultura, dobbiamo comunque confrontarla con la cultura del mondo in cui viviamo.