Antonio Rosmini Serbati (1797 - 1855)

La percezione intellettiva: fede e ragione.

Riflessioni sulle idee di Rosmini.

di Claudio Simeoni

 

Cod. ISBN 9788891185785

Teoria della Filosofia Aperta - Volume due

 

Scrive il Bignami di filosofia (ed.1984) delle idee di Rosmini:

1) Quando l'idea innata nell'essere informa di sé le sensazioni, si formano le prime rappresentazioni mentali, le idee determinate, cioè le percezioni intellettive: "la percezione intellettiva è l'atto con cui la mente apprende come oggetto un reale, ossia lo apprende nell'idea".

2) La conoscenza è pertanto il frutto di una sintesi tra le sensazioni, che ne costituiscono la materia, e la categoria della ragione, cioè l'idea dell'Essere che ne costituisce la forma e che è l'unica idea che non proviene dall'esperienza e che permette il sorgere di tutte le altre.

Rosmini trasforma la manipolazione mentale subita nell'infanzia in idea innata. La creazione del dio padrone di Rosmini si realizza nella manipolazione mentale infantile che in Rosmini diventa l'idea innata solo per il fatto che la manipolazione mentale si cala tanto profondamente nell'individuo da essere scambiata per idea naturale.

Le rappresentazioni mentali si formano nel feto fin dalla pancia della madre e rispondono a sollecitazioni emotive che riceve dalla madre e dalle risposte alla quotidianità che la madre dà attraverso il condizionamento mentale che ha a sua volta subito. Tali risposte vengono trasferite al feto sotto forma di fenomeni che il feto trasforma in input sui quali tarare la propria struttura psico-emotiva predisponendola per rispondere in modo opportuno (curare la propria sopravvivenza) alle sollecitazioni del mondo specifico in cui nascerà.

Per Rosmini la manipolazione mentale dell'infanzia diventa "idea dell'essere", intesa come idea del suo dio padrone, dalla quale il nuovo nato devrà far dipendere la sua vita.

Da questa distorsione mentale, che distorce i meccanismi del venir in essere della costruzione della coscienza e della conoscenza dell'individuo, si innesta il delirio di onnipotenza di un Rosmini che descrive l'onnipotenza del suo dio padrone attraverso l'identificazione con esso del proprio delirio di onnipotenza.

Scrive Rosmini:

133. Dallo studio per tanto di tutte queste limitazioni, le quali procedono dalla natura di nostra mente, si appalesa assai chiaro il bisogno che ha l'uomo della fede per conseguire la desiderata tranquillità dell'animo e la felicità. Nondimeno egli fu sempre pericoloso questo ragionamento sui confini dentro ai quali è per sua natura e condizione costretto l'umano intendimento; i quali confini, se si rallargano di troppo, s'arrischia di rendere la mente dell'uomo presuntuosa e confidente d'un illusorio sapere; se poi per timore di questo danno, si restringono di soverchio, è gran pericolo di rovinare nello scetticismo. Sono forse assai pochi que' filosofi, che trattando con qualche penetrazione tale argomento, non siano rotti ad uno di que' due scogli. Ma se non prendiamo abbaglio, le limitazioni quali furono da noi esposte, ci allontanano egualmente dallo scetticismo, e dal soverchio dogmatismo della ragione. Se esse dimostrano che la ragione abbandonata a sé stessa, ed ammaestrata dalla sola sperienza delle cose sensibili, non basta a renderei pienamente tranquilli circa il governo della Provvidenza, quando la parola di Dio non ce n'affidi e conforti; ci persuadono al tempo stesso della conformità ed amicizia che trovasi tra la ragione e la fede: mentre la ragione è quella che invoca la fede in suo aiuto e la fede quella che ammaestra ed illumina la ragione. Ma acciò non rimanga alcun dubbio dell'amicizia che hanno fra loro queste due nobili guide dell'uomo, ci par necessario di considerar meglio in che dovrebbe consistere la loro inimicizia e contrarietà, se vi fosse, e di provare nulla avervi nella ragione, che sia contrario e inimico alla fede. La relazione per la quale la ragione e la fede potessero diversa fra di loro, si concepisce di tre maniere. Primo, essa può essere relazione di semplice diversità, relazione negativa da parte della ragione; cioè può avvenire, che la ragione in tutto quello che ella conosce non abbia cosa alcuna di contraddittorio a ciò che suggerisce la fede, ma solo le manchi la cognizione di quelle cose che la fede propone. Questa specie di diversità non toglie né l'autorità alla ragione in quelle cose ch'ella conosce, né la verità di quanto propone di più credere la fede. Conciossiaché dalla ignoranza propria niuno può cavare argomento della falsità di ciò che non conosce e che è affermato da gravissima ed infallibile autorità. Non v'ha uomo che sappia tutte le cose: né quella parte di cognizioni ch'ei non possiede rende falsa quella ch'egli possiede: né quella ch'egli possiede riprova o condanna come falsa quella che non è in suo possesso. Questa è la diversità fra la ragione e la fede, che discende dalle naturali limitazioni sopra enunciate, le quali non fanno che determinare alcuni oggetti i qua i ci rimangono nascosti o velati: ma in questa diversità d'oggetto non consiste contrarietà o inimicizia, anzi sta qui la ragione di loro stretta concordia, mentre è appunto perché la ragione ignora alcuna parte del vero, che la fede viene benigna a prestarle soccorso aggiungendole quel che le manca.

Quando si costruisce l'incapacità dell'uomo nella pratica della critica attraverso la quale formare la propria conoscenza partendo dai fenomeni che dall'oggettività giungono a lui, ogni sollecitazione all'analisi diventa dolorosa.

L'uomo che vive per analisi e scelta anziché vivere per fede e speranza è, per Rosmini, presuntuoso: pretende di determinare la propria vita anziché subire il destino del suo dio padrone. L'uomo pretende di partecipare alla propria esistenza anziché essere la pecora del gregge che Rosmini, il buon pastore, porta al macello della vita.

La fede di Rosmini è alimentata dalla paura e dall'angoscia per la quotidianità. Un'angoscia che costringe l'individuo a rifugiarsi nel padrone che, alimentando l'angoscia per lo sconosciuto in cui l'angosciato vive, rassicura l'angosciato che il dolore dell'angoscia non sarà attivato fintanto che continuerà a perseverare nella sua sottomissione.

L'accettazione della patologia psichiatrica che Rosmini chiama fede è l'elemento centrale della ragione di Rosmini. La ragione in Rosmini non è la capacità dell'uomo di descrivere il mondo in cui l'uomo vive, ma è la capacità dell'uomo di giustificare le proprie angosce esistenziali rinchiuse nell'angoscia che Rosmini chiama fede.

Ciò che non si conosce non può essere descritto. Partendo da ciò che l'uomo non conosce Rosmini elabora le fantasie malate di morte al fine di distruggere le capacità e il coraggio dell'uomo che tenta di conoscere quanto esiste. Il non conoscere è la pecca del dio padrone di Rosmini. Per Rosmini è inconcepibile che il dio padrone che ha creato l'uomo così perfetto, a sua immagine e somiglianza, non lo metta anche nelle condizioni di non conoscere se non per portarlo alla conoscenza. Dunque, la fede nel dio padrone e nelle assurdità che Rosmini definisce come fede, devono essere credute al di là di ogni capacità di critica. Quando un individuo sviluppa una capacità di critica nei confronti di dati affermati dalla fede, altro non fa che essere presuntuoso rispetto alla creazione del suo dio padrone.

Questo è il terrorismo dell'assassino, del criminale che giustifica il rogo di chi pretende di affermare sé stesso nella propria esistenza attraverso la sua capacità di critica del presente.

La fede di Rosmini è la malattia mentale indotta attraverso la paura e l'angoscia imposte all'uomo, fin dalla prima infanzia, nell'uso delle sue capacità di critica del presente. Quelle di Rosmini sono azioni criminali ed inumane che vanno censurate più dal punto di vista dell'attività criminale giuridica che non discusse in ambito della filosofia.

Giustificare il genocidio o la schiavitù all'idea del dio padrone in filosofia equivale a legittimare il genocidio nelle società civili in nome e ad opera del dio padrone e dei suoi mandanti. Crimini, dunque, non affermazioni filosofiche.

Continua Rosmini:

134. Secondo, può concepirsi una relazione di contrarietà fra ragione e fede; la quale contrarietà è apparente se consiste nel modo di dedurre le conseguenze, ed è vera, se i principj stessi della ragione pugnano contro i principj della fede.

Quando il dato della fede entra in contraddizione con la descrizione del mondo fatta dalla ragione attraverso lo sviluppo della scienza, la fede svela ciò che è: espressione della malattia psichiatrica. Quella patologia dell'individuo desiderante che riveste di illusioni il possibile della sua esistenza nei desideri libidici per rassicurarsi contro una realtà angosciante. Angoscia che è stata imposta fin dalla primissima infanzia e che viene gestita mediante l'affermazione di una realtà che Rosmini chiama fede e che contrappone alla realtà descritta dalla ragione.

La fede che cozza contro i dati di realtà della critica della ragione si rifugia nel "mistero" al fine di non cedere il controllo dell'individuo. Il mistero della fede mantiene l'individuo in stato di schiavitù psichica a beneficio del dio padrone e dei suoi mandanti. Quando la ragione non è più in grado di usare la fede per costringere l'individuo a rimanere dentro i confini del suo descritto, significa che l'individuo ha usato la sua volontà per costringere la ragione a praticare la critica del presente. In quel momento la fede cessa di essere uno strumento della ragione e appare per ciò che è: espressione della malattia psichiatrica. La schiavitù sociale è l'effetto della schiavitù psichica indotta nell'infanzia attraverso la manipolazione mentale cristiana. Tale manipolazione diventa malattia che viene giustificata col termine fantasioso di "fede" e che pretende, da una ragione che vive descrivendo il mondo, rispetto e sottomissione per impedire all'individuo di costruire la sua vita per sé stesso anziché per il dio padrone al quale è ridotto in schiavitù.

Continua Rosmini:

135. Il primo modo di contraddizione è possibile, perché la ragione è fallace nelle sue deduzioni; ed anco le manca talora un numero di fatti bastevoli, sui quali istituire un diritto e compiuto ragionamento. Ma tutte queste contraddizioni essendo apparenti, non costituiscono alcuna vera contrarietà ed inimicizia. La ragione, quand'ella perviene a conoscere che molte cose ignora pe' limiti ond'è d'ogni parte circoscritta, sente necessariamente il dovere di riconoscere avanti alla fede questa sua ignoranza, e umiliasi al suo magistero: conseguentemente, quand'ella s'accorge de- durre conseguenze alla fede contrarie, dee riconoscere la propria imperfezione, e col favore della luce rivelata emendarle. E di queste false deduzioni si vede ben la cagione; riconosciuta la nativa ignoranza e la fallacità indubitabile della ragione, quelle debbono pure aspettarsi, debbono prevedersi. Riconoscere la propria ignoranza, è una stessa cosa che riconoscere i proprj errori. Ma la ragione non può non conoscere la propria ignoranza: le limitazioni da noi esposte non si deducono dal lume della ragione, che si riflette sopra sé stessa? Se ragionevole cosa è sommettersi alla fede per la limitazione del proprio sapere, è ragionevole ancor più sottomettervisi per la fallacità del proprio ragionare. Non ha più la ragione umana diritto di ribellarsi alla fede, sotto pretesto che qualche sua deduzione torni contraria agli insegnamenti di questa, mentre vi si è già implicitamente sommessa pur col riconoscere la propria naturale limitazione e fallacità. Ma non sarebbe così se si potessero trovare in contraddizione colla fede gli stessi principj della ragione, ne' quali non cade errore. In questa maniera di contrarietà giacerebbe una vera ed aperta inimicizia, una reale contraddizione: onde non potrebbe la ragione sommettersi più alla fede; ché a lei è impossibile rinunciare ai primi principj da' quali riceve il movimento e in tutti i suoi passi la direzione. Se la ragione rinunziar potesse a' primi principj ella distruggerebbe sé stessa, giacché non da altro elemento che da' principj d è costituita: e nessun essere può distruggere sé medesimo. Or questa contrarietà è appunto quella che non si rinviene fra la ragione e la fede, che non fu giammai rinvenuta, né discende punto dalle limitazioni proposte.

Che la ragione, nella sua descrizione del mondo, sia parziale e sempre riduttiva, non c'è dubbio. Che le mancanze della ragione servano da giustificazione alla "fede" come malattia, è un'affermazione criminale di Rosmini.

La ragione riconosce i suoi limiti solo nel momento in cui l'individuo, di cui la ragione si ritiene padrone, forza i confini descrittivi della ragione e cerca di penetrare lo sconosciuto che lo circonda proprio rimuovendo quei dati di fede che, ergendosi a verità rivelata, ostacolano l'esplorazione dello sconosciuto circostante.

La ragione riconosce i suoi limiti nella descrizione del mondo solo se l'individuo rimuove la fede come ostacolo alla sua esistenza. Rimuove la patologia psichiatrica nella quale la ragione vuole risolvere lo sconosciuto dal quale è terrorizzata. Angosciata, la ragione, si rifiuta di provare il dolore della smentita dell'assolutezza della sua descrizione del mondo. L'individuo deve usare tutta la sua determinazione e la sua volontà per costringere la ragione a dimettersi dalla sua assolutezza. Per farlo l'individuo deve rimuovere la fede imposta nella prima infanzia che la ragione ha retto per difendersi dal dolore che l'analisi dello sconosciuto provoca al suo delirio di onnipotenza.

La fede è la barriera imposta nella manipolazione mentale nella prima infanzia dall'educazione cristiana affinché l'individuo, attraverso la paura del dolore, angosciato, rinunci a modificare la struttura della descrizione del mondo e accetti passivamente le soluzioni dello sconosciuto, la fede, con cui la ragione impedisce all'individuo di esercitare il suo senso critico di una realtà "oscura".

La fede, essendo il prodotto della malattia, non produce critica rispetto a sé stessa. La fede impone la menzogna all'individuo illudendolo di vivere in un mondo di cui egli ne ha un assoluto controllo. E quando non ne ha il controllo, l'individuo viene indotto ad immaginare individui "superiori" che hanno il controllo, dal suo dio padrone ad altre figure criminali come Gesù, la vagina vergine della madonna, il satana del dio padrone, ecc. La fede risolve le ambiguità impedendo all'individuo l'esercizio della sua capacità critica. E l'individuo vive il terrore di esercitare la sua capacità critica perché Rosmini provvede ad accusarlo di essere "superbo" ritenendosi in dovere di bruciarlo affinché "ogni ginocchio si pieghi al suo dio padrone Gesù". Ogni ginocchio si pieghi al delirio della fede.

La ragione riconosce la propria limitatezza nel mondo solo quando rimuove la patologia chiamata "fede".

In quel momento la ragione riconosce di essere uno strumento dell'individuo. Uno strumento di cui l'individuo si serve per affrontare la sua vita. Uno strumento con cui descrivere un mondo fatto di forma e di quantità per poter costruire le relazioni con esseri della Natura che, a loro volta, pensano e descrivono un mondo fatto di forma e quantità in cui veicolare le loro pulsioni libidiche. In quel momento la ragione non esprime la "verità del mondo", ma la percezione soggettiva che in quel momento ha l'individuo nel descrivere il mondo in forma e quantità. Una percezione soggettiva in perenne modificazione e, ad ogni modificazione, all'individuo si svela una realtà che prima era coperta da un velo di un'illusione che ora è rimosso.

Dio e il suo nemico, il Gesù e la vagina della madonna di Rosmini sono la menzogna. La menzogna trasformata in fede che funge da ostacolo allo sviluppo dell'uomo.

Rosmini chiama "amicizia" la relazione fra fede e ragione quando le allucinazioni della fede vengono giustificate dalla ragione, ma la giustificazione attraverso la ragione delle allucinazioni illusorie della fede non sono "amicizia" in quanto le allucinazioni illusorie della fede altro non sono che la difesa dell'onnipotenza della ragione dalla necessità di critica dell'individuo di un presente che, non coincidendo con i dati illusori della fede, presenta uno stridere fra ciò che l'individuo vorrebbe che fosse nella sua fede e la realtà che lo chiama a vivere in un insieme che a lui appare sconosciuto e, pertanto, angoscioso.

Scrive Rosmini:

136. Terzo: ma non potrebbe la ragione rivocare in dubbio suoi stessi principj? Ella almeno può creder di farlo. Ma a quel modo, che ritenendo per veraci questi principj e trovando in combattimento con essi la fede verrebbe a condannare e distrugger la fede, così richiamando in dubbio i principj verrebbe a distruggere ad un tempo e sé stessa e la fede.

La minaccia di Rosmini è l'attivazione dell'angoscia nelle persone. Dice Rosmini: "Se voi mettete in dubbio la fede mediante la ragione, distruggerete la stessa ragione". In sostanza, dice Rosmini, se voi vi sottraete alla manipolazione mentale che avete subito, distruggete la vostra ragione. La manipolazione mentale, con tutte le patologie imposte al fine di costringere l'individuo alla fede, sono i limiti della ragione nel suo abitare il mondo.

Solo distruggendo la fede l'individuo si può espandere nel mondo. Solo distruggendo la fonte dell'angoscia e del terrore con cui viene imposta la fede la ragione può espandere sé stessa mediante l'analisi e la critica del presente. Fintanto che la fede blocca l'espansione del'individuo, questi si rinchiude su sé stesso angosciato dalla possibilità che qualcuno o le circostanze lo costringano ad affrontare problemi esistenziali che mettono in discussione la sua fede.

Così Darwin partì per il suo viaggio alla ricerca di prove della creazione del suo dio padrone. Non ne trovò. Trovò piuttosto la menzogna del suo dio padrone e la vita che si trasformava diversificando le specie. Galileo cercava conferme della bibbia del suo dio padrone, ma trovò che la terra non era al centro dell'universo della creazione.

La ragione che dubita distrugge la fede nel dio padrone perché il dubbio della ragione è trasformazione in sensazione della percezione che la realtà in cui si vive non è esattamente quella che la fede pretende dall'individuo. Per questo motivo Rosmini minaccia di morte le persone.

Scrive Rosmini:

137. E in questo consiste lo scetticismo; dal quale come dal sistema il più pernicioso, gioverà che io dimostri come stieno lontane le nostre dottrine sui limiti della ragione. Nello stesso tempo apparirà che cosa abbian fatto alcuni scrittori degli ultimi tempi in questione sì rilevante, e se qualche cosa abbiamo noi aggiunto alla soluzione di essa. Molto potremmo dire degli scrittori ecclesiastici, che hanno sempre sostanzialmente posseduto la verità; ma, lasciando questi, ci ristringeremo a parlar di quelli che levaron maggior rumore di sé nel secolo, e furon da lui acclamati, come trovatori di grandi verità. Locke il primo rimise in vigore il principio degli scolastici rovesciato da Cartesio nella opinion degli uomini, non avervi cosa nell'intelletto, che prima non fosse nel senso. Ma egli lo spiegò, ed applicò in modo assai più povero e materiale, che non avean fatto gli scolastici antichi. Tutto egli dedusse dalla sensazione e dalla riflessione: Condillac sperò di semplificare vie più il sistema, lusingatosi di riuscire a spiegare ogni cosa con un solo principio, colla sensazione. Fino le somme regole del giudicare, che gli antichi scolastici avean conosciuto portarsi con noi da natura e per un cotale istinto vedersi, questo filosofo si persuase che si possano comporre di sensazioni. Sciaguratamente sì l'uno che l'altro di questi due autori non s'accorgono giammai d'alcuna di quelle grandi difficoltà che si sono sempre presentate agli uomini profondi, quando hanno voluto esporre la genesi delle cognizioni umane. Essi avventurano francamente con una cotal aria di disprezzo verso tutti quelli che li precedettero, quanto si affaccia alla loro mente presuntuosa e assai limitata: chi disputa colla loro scuola si rende ridicolo, recando in mezzo un'idea profonda: nessun pensiero un po' arduo, nessun riflesso un po' solido dee turbare la tranquillità di quella beata filosofia. Lo scherno, un « non si può conoscer tali cose, non si dee tornare alle astrusità, alle tenebrosità metafisiche cacciate felicemente dal mondo illuminato e gentile »: ecco la confutazione che i sensisti fanno di tutti i sistemi superiori alla loro superficialità, quindi sotto il loro regno, l'annullamento d'ogni grave sapere, d'ogni elevazione intellettuale.

Rosmini è infastidito dagli uomini che cercano la comprensione del mondo e dei meccanismi della vita. Dice Rosmini: ma volete una buona volta mettervi in ginocchio davanti al mio dio padrone? Voi, dice Rosmini, non sapete tutto. Non sapete dirmi nulla della realtà del mondo. Vero, però loro, almeno cercano di penetrare e spiegare una realtà che non vogliono conchiudere nella fede di un dio padrone davanti al quale mettersi, semplicemente, in ginocchio. La loro natura di esseri umani si ribella alla manipolazione mentale infantile che hanno subito e sono convinti che il mondo è ben più complesso di quanto la malattia, chiamata fede, impone loro di credere.

Non è compito del filosofo spiegare la vita. Come non è compito di Rosmini violentare le persone per costringerle alla fede. Spiegare la vita è compito della scienza come ricerca che amplia la capacità della ragione di descrivere il mondo in cui viviamo nella forma e nella quantità. Solo il creazionista, ammalato di delirio di onnipotenza del suo dio padrone, piega il mondo alla dimensione della sua fede. Ma è un atto di malattia, non un atto di conoscenza.

Loke fa paura a Rosmini. Loke afferma che non esiste "accordo" fra gli uomini nel riconoscere come innate le idee del dio padrone tanto care a Rosmini. Loke rileva come i popoli che non abbiano avuto rapporti con i cristiani, hanno idee diverse sulla realtà intima della natura. Pertanto, affermare che vi sono delle idee innate imposte dalla creazione del dio padrone è un insulto e un'ingiuria all'intelligenza degli uomini.

La filosofia non deve spiegare la realtà della vita, ma deve spiegare le idee aprioristiche attraverso le quali l'uomo abita il mondo in cui vive. Loke rileva un'incongruenza nel concetto cristiano di idee innate e si chiede come e perché. Le sue spiegazioni non sono sufficienti? E forse lo sono le risposte dei missionari che sterminano e distruggono i popoli per imporr le idee innate del loro dio padrone? Loke avvia un tentativo di spiegazione di una realtà che la sua analisi critica rileva, Rosmini vuole ricondurre gli uomini al macello della vita in nome del dio padrone. Rosmini andrebbe processato per delitti contro l'umanità. La stessa cosa, dice Loke, vale per le idee morali che non sono comuni a tutti gli uomini, ma sono relative alle singole culture. Pertanto, anche le idee morali non sono un prodotto del dio padrone e creatore del mondo, ma sono il prodotto della cultura e dell'accordo fra gli uomini. Loke dimostra che non esistono idee innate comuni agli uomini, ma afferma che le idee sono apprese nella prima educazione: quelle cristiane dalla violenza del cristianesimo.

Contro questa capacità di analisi si scaglia la ferocia di Rosmini che deve nascondere e giustificare la violenza con cui gli ebrei e i cristiani impongono le idee della fede ai loro figli che vengono, poi, spacciate come innate al fine di nascondere la loro violenza.

Lo stesso vale per Condillac e il suo esempio della statua. Anche Condillac è stato sottoposto alla violenza educazionale cristiana (lo fecero i Gesuiti) che ne ha violentato le idee e la sua capacità di afferrare la realtà del mondo. Tuttavia, cerca di uscire dall'orrore della creazione e cerca di incontrare elementi capaci di descrivere un'altra organizzazione del proprio abitare il mondo.

Tali spiegazioni, per quanto noi le riteniamo insufficienti, sono tali da scalzare la patologia psichiatrica della fede e aprire all'uomo un nuovo modo di abitare il mondo. Questo nuovo modo di abitare il mondo è odiato da Rosmini che vede nell'uomo che affronta la propria realtà un tradimento al proprio dio padrone e alla sua creazione. Un tradimento ad una fede che funge da cane da guardia contro i tentativi di libertà dell'uomo.

Scrive ancora Rosmini:

138. E pure che ci dicono intorno alle limitazioni della mente questi filosofi? Giacché non ritrovano la menoma difficoltà nel dedurre dalle sensazioni tutto ciò che lor piace, essi non trovano né pur con- fini da questa parte alla umana ragione, e la rendono immensamente orgogliosa e petulante in una lusinga vanissima di sapere ogni cosa che le abbisogni per via della sola esperienza sensibile, nella quale fondano inesauste speranze. Ma essendo d'altra parte troppo manifesto, che molte cose, come le sostanze de' corpi, si sottraggono totalmente alla corporea sensitività, si vider costretti di porre un confine allo scibile umano. Né s'impaurirono tuttavia, né dubitarono per questo del lor sistema: invece di sciogliere il nodo, il tagliarono, negando gratuitamente, ma coll'autorità di rigeneratori della scienza, che l'uomo nulla possa conoscere dell'essenze e delle sostanze delle cose. Questo confine del sapere puramente gratuito, riduceva a poco, ed anzi a nulla la filosofia e lo scibile stesso, senza umiliare per ciò l'umana ragione, che avea riposto tutti i suoi tesori nell'esperienza de' sensi, e a questi tesori immaginarj contraddicendosi, non avea fermato limite alcuno. Così tutta la filosofia si ridusse alla scienza degli accidenti, ed ella condusse gli uomini ad appagarsi di questi soli: giovò indirettamente alle arti materiali, ma illanguidì ed annientò il sapere morale, e produsse un secolo in tutte sue parti estremamente superficiale e feroce insieme della sua superficialità. Hume venne appresso, e ritenne come indubitato il principio della lockiana filosofia, che l'uomo non abbia altra fonte onde ricavare il sapere, che quello delle sensazioni, che sopra di lui produce l'azione de' corpi che lo circondano. Ma egli era -fornito d'un ingegno assai più penetrante e conseguente di Locke, ed è supponibile che quel principio fosse ricevuto da lui come si ricevono i pregiudizj del tempo. Queste sono proposizioni che si ricevono per autorità, e si suppongono vere, né cade pure in pensiero d'esaminarle, perocché si hanno già per esaminate e riconosciute, né l'uomo è disposto a rifare ciò che crede esser fatto avanti di lui per non ritrovarsi sempre al principio. Ma dalla tesi lockiana ammessa da Hume senza esame, non dedusse già egli l'origine delle cognizioni umane colla lockiana semplicità. Egli s'accorse, che i principj della ragione, quali comunemente si tengono, non posson dedursi dall'esperienza, perché appariscono universali, e l'esperienza, quantunque si ripeta e moltiplichi, non dà mai altro che risultati particolari. E non di meno il detto principio «che tutto quello che l'uomo sa li cavi dall'esperienza de' sensi», si restava nella mente di lui, senza che di sua verità egli portasse sospetto alcuno. Che ne seguì? Hume dallo stesso corso delle idee fu tratto a rivocare in dubbio il valore de' principj j della ragione, giacché da quella esperienza che riputava unica fonte del sapere non derivavano, né in alcuna maniera trar se ne poteva o la loro universalità, o la loro necessità. Giudicò dunque questi principj un parto dell'immaginazione umana, un effetto della cieca abitudine. Veggendoli l'uomo moltissime volte nell'esperienza realizzati, per l'associazione delle idee, e l'inclinazione che il porta alle analogie, egli suppone che debbano sempre realizzarsi egualmente: così riduce a principj generali quelli che veramente tali non sono. Per tal guisa avendo Locke innalzato troppo l'esperienza sensibile e resa l'umana ragione orgogliosa e troppo franca nel pronunciare, aprì il varco, senz'accorgersi, all'abisso dello scetticismo di Hume ed all'avvilimento della ragione stessa, che d'innalzare egli procacciava.

La mente del filosofo è sempre orgogliosa. E' come l'alpinista che scala una montagna. Accidenti! Quanto era dura! Eppure ha stretto i pugni e i denti, è salito passo dopo passo, ha affrontato difficoltà apparentemente insormontabili, eppure ce l'ha fatta!

E' orgoglioso il pensatore che scala le montagne della conoscenza mentre è rancoroso il credente nel dio padrone che vede la sua fede messa in discussione da tanto coraggio. Come, dice il credente nel dio padrone, tu non ti metti in ginocchio come me davanti al mio dio padrone? Non vuoi riconoscerne la sua onnipotenza? No! Dice il filosofo: io affronto la vita e per quanto io sia debole, io serro denti e pugni ed affronto l'immenso che mi circonda. Io lo svelo. Magari poco. Magari solo come possibilità, ma fornisco il punto d'appoggio affinché altri proseguano il mio cammino. La malattia mentale chiamata fede blocca ogni cammino, ogni analisi, ogni critica. Blocca ogni cammino dell'uomo nell'infinito dei mutamenti realizzando le aspettative del dio degli ebrei e dei cristiani: "Ecco l'uomo è divenuto come noi (noi sta per il dio padrone e creatore dei cristiani) avendo la conoscenza del bene e del male (avendo la conoscenza di ciò che è utile e ciò che danneggia l'uomo) facciamo che ora non colga dall'albero della vita per mangiarne e vivere in eterno!" Genesi 3,22. Rosmini è un feroce guardiano che, imponendo la fede, impedisce all'uomo di trasformarsi in un dio per poterlo sacrificare al proprio dio padrone.

L'uomo, come ogni Essere della Natura nasce solo per morire e l'esercizio, lo sforzo, con cui conosce il mondo in cui vive è la forza che lo trasforma in un dio eterno. Il conoscere non è il conoscere l'assoluto come il dio padrone Rosmini immagina nel suo delirio, ma è il conoscere le relazioni fra sé e il mondo e cercarne i meccanismi al fine di riprodurli in condizioni diverse.

Tutta la filosofia si deve ridurre alla scienza degli "accidenti" perché se si riduce all'esaltazione della patologia della fede nel dio padrone si distrugge l'uomo e il suo divenire nell'immenso. Solo i padroni, come Rosmini, hanno bisogno che l'uomo sia uno schiavo e non colga dall'albero della vita.

Hume afferma che la scienza dell'uomo è resa possibile dall'uniformità della natura umana e questa, secondo Hume, deve essere indagata partendo dall'universo mentale dell'uomo. Partendo dalla percezione con cui Hume identifica ogni elemento psichico dell'uomo. Hume individua vari gradi nella formazione di idee e di opinioni a seconda del carico emotivo, delle passioni, che l'uomo mette nelle une e nelle altre. Al di là di pregi o di difetti del pensiero di Hume, è Hume che pensa e che dimostra sostenendo il suo pensiero. Non è Rosmini che delega l'autorità del suo pensiero al suo dio padrone e pretende che le persone lo accettino per dato di fede.

Non è vero che i principi della ragione appaiono universali, ma è vero che la ragione, come strumento dell'uomo con cui descrivere il mondo, appare con caratteri comuni a tutti gli uomini. Non esistono caratteri universali morali o ideali della ragione se non quelli ottenuti da una comunità ristretta mediante la violenza sui bambini fin da quando sono nella pancia della madre. Poi, con l'avvento del colonialismo, il fanatismo cattolico distrusse ogni cultura e ogni comunità mondiale per imporre la sottomissione al proprio dio padrone, al proprio Gesù, usando la violenza affinché "ogni ginocchio si pieghi a Gesù". Sicché, distruggendo ogni cultura, si impose l'appiattimento del delirio di onnipotenza e della fede nel dio padrone come unica possibilità di sopravvivenza dei singoli individui e dei popoli.

L'esperienza costruisce le idee dell'uomo. L'esperienza si forgia nelle condizioni in cui l'esperienza viene soggettivata dall'individuo e, in un ambiente cristiano che esercita la violenza psichica su ogni bambino, si assiste ad idee comuni come risposta a tale violenza in quanto, il bambino, il feto, l'infante, non hanno strumenti critici con cui far fronte a tale esperienza ma possono soltanto mettere in atto le loro strategie psichiche di sopravvivenza adattando la propria struttura mentale all'accettazione da parte dell'ambiente violento del cristianesimo.

E' indubbiamente orgoglioso l'uomo che sfidando i confini imposti da una società che esercita la violenza sui bambini per condizionarne le idee, esce da quella gabbia, da quel campo di concentramento mentale, e scorge una luce, un lume, di una diversa possibilità. Deve essere orgogliosa quella ragione perché in quell'atto, in quel singolo gesto, quell'uomo ha colto dall'albero della vita e ne ha mangiato per vivere in eterno.

Scrive il Bignami di filosofia (ed.1984) delle idee di Rosmini:

3) La conoscenza è aderente alla realtà: "la sensazione è soggettiva,...l'idea è oggetto, la percezione intellettiva è oggettiva"

4) Però Poiché l'uomo non può mai sperimentare tutto, la sua conoscenza è limitata: essa tuttavia può essere continuamente perfezionata.

Soprattutto, la vita fisica dell'uomo è limitata. Come è limitata la vita fetale. Tutto è limitato perché tutto, per continuare, deve trasformarsi.

Non è oggettivo ciò che l'uomo riproduce nella sua vita. Ma è soggettivo, come è soggettiva sia la descrizione del mondo, le idee sul mondo, l'intelletto dell'uomo, la sua sensibilità e il suo abitare il mondo. Di oggettivo esiste un mondo inteso come insieme di esseri che vivono a loro volta e che, entrando in relazione col singolo soggetto, lo modificano costringendolo a scelte che fanno scaturire in lui delle idee sul mondo.

Di oggettivo c'è il mondo, ma la lettura del mondo, la sua descrizione e la ricerca della forma e delle relazioni nel mondo, sono elementi propri della soggettività che possono essere, in molti casi, patrimonio comune di una cultura ma che, tuttavia, continuano ad essere elementi elaborati dalla singola soggettività.

Scrive Rosmini:

139. Con ciossiaché quest'è costantissimo effetto degli errori de- gli uomini, che gli errori estremi ne ingenerino tosto altri peccanti dall'estremo opposto; sicché l'umanità per l'errore sia necessariamente abbandonata all'agitazione e al combattimento di parti le più contrarie. Fu il principio di causalità che fermò principalmente l'attenzione di Hume. Non potendo egli veder guisa da dedurlo in modo generale dalla sperienza, rivocollo in dubbio anzi, si può dire, il tolse di mezzo; e, tolto di mezzo questo principio, è tronco ogni passaggio della mente dalle sensibili cose alle insensibili; e però tutto quello che non cadea sotto i sensi, dovette riuscire al sensista conseguente, per lo meno, assai dubbioso ed incerto. Così, gittata giù dal suo trono la ragione, restava ai soli sensi corporali il diritto di testimoniare la verità, i quali ciò far non potevano che delle fisiche cose; sebbene ahi che non era più la ragione che ricever potesse né pure quella loro qualsivoglia testimonianza! La qual testimonianza de' sensi si vede ancora, quasi ad uno stesso tempo assalita, e i sensi stronati I da Berkeley che condannolli per ministri d'illusione alla mente, lusingata dalle loro apparenze a credere l'esistenza esterna de' corpi, che realmente non erano.

L'umanità è costretta da Rosmini a continui combattimenti per opporre la giustizia all'odio rosminiano. Un odio che intende imporre la fede contro le capacità di critica e di analisi del singolo soggetto. La fede che rende schiavi di Rosmini in guerra con la libertà pulsionale ed esistenziale che l'uomo esercita mediante l'analisi e la critica del proprio presente.

A Rosmini, che si identifica col pastore di uomini ridotti a pecore, piace la pace delle pecore. Egli anela a trasformare gli uomini in pecore belanti che soddisfino l'odio di possesso del proprio dio padrone. Solo che gli uomini preferiscono spezzare le sbarre che gli imprigionano e anche se si illudono di trovare gli spazi aperti, una volta spezzate le sbarre, si rendono subito conto che stanno ancora nella gabbia anche se più grande della precedente. Altri uomini si incaricano di spezzare quelle sbarre e anch'essi, che dichiareranno di essere usciti dalla gabbia, si trovano in un'altra gabbia anche se un po' più grande. E' questo sforzo di rompere le sbarre della gabbia che rende gli uomini eterni. Rende gli uomini capaci di mangiare dall'albero della vita e di trasformare la morte del corpo fisico in nascita del loro corpo luminoso. Tuttavia, se ciò non dovesse avvenire, sono comunque vissuti da uomini che hanno dato l'assolto al cielo e non da pecore che il pastore Rosmini voleva condurre al macello della vita.

Buttata giù dal suo trono, la ragione che protegge i suoi confini mediante l'angoscia indotta dalla fede, diventa uno strumento con cui l'uomo, il singolo individuo, affronta con coraggio e determinazione la propria vita.

E' il coraggio che distingue l'uomo che si trasforma in un dio dall'uomo che, sottomesso, si adegua al gregge e accetta di essere condotto al macello della vita. E' la ragione dell'uomo che mangia dall'albero della vita per vivere in eterno che passa dall'essere la padrona dell'uomo a strumento dell'uomo liberando nell'uomo gli altri strumenti esistenziali che il suo assolutismo teneva relegati nell'oscuro della psiche profonda.

Liberare l'uomo dal dio padrone significa liberare l'uomo dall'angoscia imposta mediante la fede e, in quella liberazione c'è l'aprirsi la porta dell'eternità che Rosmini, in nome del delirio del suo dio padrone, nasconde e nega agli uomini

Le citazioni di Rosmini, dove non specificato, sono tratte da:

Antonio Rosmini Da "Scienze metafisiche" Teodicea a cura di Umberto Muratore edito da Centro Internazionale di Studi Rosminiani Città Nuova Editrice 1977 da pag. 106 a pag. 112

 

Teoria della Filosofia Aperta - Volume due

 

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Quando un percorso sociale fallisce o esaurisce la sua spinta propulsiva, è bene tornare alle origini. Là dove il pensiero sociale è iniziato, analizzare le incongruenze del passato alla luce dell'esperienza e abbattere i piedistalli che furono posti a fondamento del percorso sociale esaurito.

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Marghera, 27 aprile 2013

Claudio Simeoni

Meccanico

Apprendista Stregone

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La Teoria della Filosofia Aperta

Le idee si presentano alla ragione come dei lampi intuitivi. Illuminano per un attimo la ragione e poi tendono a sparire annullate da una ragione che tende a riprendere il controllo sull'individuo. Le idee sono un'emozione che insorge con violenza dentro di noi e modifica la nostra descrizione del mondo, una descrizione che la ragione tende a ripristinare ma che l'emozione ha definitivamente compromesso. Una nuova descrizione, una nuova filosofia emerge dentro di noi e noi, qualunque sia il nostro grado di cultura, dobbiamo comunque confrontarla con la cultura del mondo in cui viviamo.