Platone (427 a.c. - 347 a.c.)

Il Demiurgo nel Timeo di Platone

di Claudio Simeoni

Cod. ISBN 9788827811764

La Teoria della Filosofia Aperta: sesto volume

 

Filosofia Aperta su Platone

 

Il Timeo di Platone

 

Nella premessa del Timeo, relativo al venir in essere dell'universo, c'è una conclusione perentoria come definizione di una realtà dell'universo immaginaria che non può né deve essere discussa, ma solo accettata acriticamente per fede.

L'assolutezza delle affermazioni indimostrate, né argomentate, di Platone sono tali da inficiare ogni discorso relativo al venir in essere dell'universo.

Platone non descrive una realtà che immagina o ipotizza, ma realizza il proprio desiderio di dominio sulla realtà vissuta. Lui è il padrone, l'Artefice, dal quale il mondo procede e senza di lui, l'ottimo massimo bellissimo, nulla può procedere in quanto egli, come filosofo, si incarna come uomo mentre, tutti coloro che non sono a sua immagine e somiglianza si incarnano in bestie, donne, ecc.

Nel formare le mie osservazioni sul Timeo di Platone io uso la traduzione di Giovanni Reale il quale, essendo un fondamentalista cristiano e non avendo il cristianesimo una giustificazione sufficiente delle sue affermazioni religiose, ricorre a "certificati d'autorità" di questo o di quell'antico autore senza curarsi, spesso, della coerenza fra contenuti e rappresentazione del pensiero presentato.

Esattamente, uso le Opere Complete di Platone curate da Giovanni Reale e pubblicate dalla Bompiani nell'edizione del 2014.

Quali sono le condizioni per le quali Platone invoca gli Dèi?

Li invoca per comprendere la realtà del mondo?

Scrive Platone:

TIMEO - Ma tutti, o Socrate, anche se hanno poco senno, fanno questo, e nell'accingersi ad ogni azione, o piccola o grande, invocano sempre Dio. E noi, che ci accingiamo a fare discorsi intorno all'universo, se esso sia generato oppure ingenerato, è necessario che invochiamo dèi e dee e li preghiamo, affinché diciamo tutte le cose nel modo che piaccia soprattutto a loro e anche [D] a noi stessi.
E quanto agli dèì, sia questa l'invocazione.
E per quanto riguarda noi, invece, dobbiamo adoperarci in modo che voi possiate capire in modo agevole e io possa esporre nel modo più chiaro gli argomenti che abbiamo posto in discussione.

Li invochiamo "affinché diciamo tutte le cose nel modo che piaccia soprattutto a loro [agli Dèi] e anche a noi stessi".

Le cose devono piacere a Platone, non essere vere o affermare una realtà che vale la pena di discutere.

E quanto riguarda noi, dice Platone, "dobbiamo adoperarci in modo che voi possiate capire…" e che "io possa esporre nel modo più chiaro gli argomenti che abbiamo posto in discussione".

Per Platone si tratta solo di una questione di potere, di dominio. Un dominio che deve essere condiviso, perché piace, dagli Dèi e nello stesso tempo un dominio che deve essere condiviso dagli astanti mediante un'esposizione chiara.

Siamo davanti ad affermazioni che Platone stesso riconosce come inverosimili, ma che, con la complicità degli Dèi e una chiara esposizione, intende imporre a chi lo sta ascoltando.

Scrive Platone:

Secondo la mia opinione, in primo luogo bisogna distinguere le cose che seguono.
Che cos'è ciò che è sempre e non ha generazione? E che cos'è ciò che si genera [28 A] perennemente e non è mai essere? Il primo è ciò che è opinabile con l'intelligenza mediante il ragionamento, perché è sempre nelle medesime condizioni. Il secondo, al contrario, è ciò che è opinabile mediante la percezione sensoriale irrazionale, perché si genera e perisce, e non è mai pienamente essere.
Inoltre, ogni cosa che si genera, di necessità viene generata da qualche causa. Infatti, è impossibile che ogni cosa abbia generazione, senza avere una causa.

Secondo Platone esiste un qualche cosa che "…è opinabile con l'intelligenza, mediante il ragionamento perché è sempre nelle medesime condizioni".

L'affermazione è semplicemente arrogante. Platone può dire che, essendo lui un soggetto che "… si genera e perisce…" può osservare soltanto soggetti che "si generano e periscono" sia pur in tempi e mutamenti diversi dai suoi.

Platone non può proiettare ciò che egli non è immaginando un soggetto che corrisponda al suo desiderio di essere. Non può immaginare un soggetto eterno e immutabile se non come suo personale desiderio di persistere nelle condizioni nelle quali sta vivendo.

Quella che Platone chiama "…ciò che è opinabile mediante la percezione sensoriale irrazionale…" è esattamente ciò che egli è nella sua esistenza e ciò che sono gli oggetti del mondo in cui vive e nelle relazioni dei quali ha costruito la sua "intelligenza".

Siamo davanti ad una contraddizione in Platone. Da un lato desidera l'esistenza di un Artefice, dall'altro lato l'Artefice è tale solo se risponde agli aggettivi con i quali Platone definisce il mondo. Nello stesso tempo l'Artefice non è ciò che è, o potrebbe essere, ma ciò che Platone vuole che sia.

Per questo motivo Platone non usa l'intelligenza per argomentare attorno all'Artefice, ma trasforma il suo desiderio in oggettivo da cui argomentare. Platone chiama il suo desiderio, intelligenza. E questo qualifica l'arroganza di Platone che trasforma il suo desiderio in un oggetto reale.

Scrive Platone:

E quando l'Artefice di qualsivoglia cosa, guardando sempre a ciò che è allo stesso modo e servendosi come di esemplare ne porta in atto l'Idea e la potenza, è necessario che, [B] in questo modo, riesca tutta quanta bella; quella cosa, invece, che l'Artefice porta in atto servendosi di un esemplare generato, non sarà bella.
Ora, per quanto concerne tutto il cielo o il mondo, o se si trova qualche altro nome adeguato lo si chiami con questo, bisogna considerare ciò che fin da principio si deve esaminare riguardo ad ogni cosa, ossia se fu sempre, non avendo mai alcun principio di generazione, oppure se fu generata, incominciando da un qualche principio.
Esso fu generato. Infatti è visibile e tangibile ed ha un corpo; ma tutte le cose di questo tipo sono sensibili, e le [C] cose sensibili si apprendono con l'opinione mediante la sensazione, ed è risultato che sono generate e sono in divenire.
E ciò che è generato abbiamo detto che è necessario che sia generato da una causa.
Ma il Fattore e il Padre di questo universo è molto difficile trovarlo e, trovatolo, è impossibile parlarne a tutti.

La definizione di bello, attribuito all'Artefice, è una vera e propria necessità che ha Platone.

Perché non dire che quanto fa l'Artefice sono cose brutte e cattive? In fondo, se si attribuisce la realtà del mondo e delle cose ad un ipotetico Artefice, dovremmo attribuire tutto quanto è brutto e malvagio della realtà nella quale viviamo allo stesso Artefice.

Però il bello dell'Artefice, a cui Platone pensa, è Platone stesso. Un Platone che risulterebbe brutto e malvagio se Platone attribuisse il brutto e il malvagio all'Artefice.

Tutto ciò che è "malvagio", secondo Platone, dovrebbe procedere dall'Artefice, ma dal momento che Platone identifica sé stesso con l'Artefice, tutto quanto procederebbe dalla fantasia di Platone sarebbe necessariamente buono. Dal momento che Platone fa procedere dall'Artefice solo il bello e il buono, va da sé che ogni malvagità deve essere necessariamente bella e buona perché procede dall'Artefice che può fare solo il bello e il buono. Esattamente come i cristiani, che hanno preso da Platone, che chiamano buono il macellaio di Sodoma e Gomorra.

Perché immaginare che sia tutto bello quello che procede dall'Artefice se non per il fatto stesso che l'Artefice è frutto di immaginazione determinata dall'incapacità o dall'impossibilità, da parte di Platone, di comprendere il venir in essere del mondo e della vita?

Però, detto in questo modo, appare evidente che Platone desidera essere l'Artefice dell'universo mettendo in moto lo stesso meccanismo psicologico per il quale gli spettatori di un film si immedesimano nell'eroe della storia a cui stanno assistendo. Immedesimarsi nella storia è un transfert psicologico in cui lo spettatore soggettiva delle possibilità che ritiene oggettive e nelle quali proietta sé stesso.

Le affermazioni di Platone non appaiono come le affermazioni di un filosofo, ma sono piuttosto quelle del bambino che delira di onnipotenza.

Come può dire Platone "Ora, per quanto concerne tutto il cielo o il mondo, o se si trova qualche altro nome adeguato lo si chiami con questo, bisogna considerare ciò che fin da principio si deve esaminare riguardo ad ogni cosa, ossia se fu sempre, non avendo mai alcun principio di generazione, oppure se fu generata, incominciando da un qualche principio" se non con l'uso del desiderio soggettivo immesso nell'immaginazione?

E per quale motivo non considera né il contrario, che l'universo come il cielo è nato e avrà una fine, e neppure mette in conto il fatto che siano divenuti in sé, per sé e da sé?

Questo perché le idee di un uomo non sono il prodotto di un sistema di Idee oggettivo, come asserisce Platone nella teoria delle Idee, ma sono il prodotto della sua vita, della sua attività. Le idee altro non sono che giustificazione delle sue scelte esistenziali e dal momento che le sue scelte esistenziali consistono nel pensare sé stesso il padrone degli uomini, altro non può pensare che ad un sistema che certifichi il suo essere il padrone degli uomini: l'Artefice!

Altra forzatura di Platone è quella di chiamare "padre" o "fattore" ciò che egli immagina abbia costruito l'esistente. Da qui il debito, che Platone attribuisce, all'esistente nei confronti di chi ritiene il padre. In sostanza, Platone impone un obbligo di obbedienza affinché tutto il mondo sia deferente a "suo padre".

Tutto il discorso di Platone attorno all'universo parte dal presupposto che l'universo abbia avuto un artefice che lo ha costruito.

Data questa premessa immaginativa, non è possibile sviluppare nessun altro discorso se non partendo dal presupposto che l'universo abbia un Artefice e che a quell'Artefice sia dovuto rispetto ed obbedienza.

Chi immagina l'Artefice dell'universo, Platone, è in realtà l'Artefice del proprio discorso che fa coincidere sé stesso con l'Artefice che altro non è che una proiezione di sé stesso, di Platone, nel suo delirio di onnipotenza.

In questo modo, come l'Artefice dell'universo ha guardato a sé stesso come modello eterno, così Platone, artefice della morale di sottomissione e obbedienza guarda al suo desiderio di sottomettere gli uomini per elaborare la sua morale che attribuisce all'Artefice dell'universo.

Non c'è discussione con Platone. Non ci sono grigi e nemmeno possibilità diverse. L'Artefice è oggettivamente buono come il tiranno è buono mentre macella gli indifesi e deve essere buono perché macellare gli indifesi è bello.

Ma se questo mondo è bello e l'Artefice è buono, è evidente che Egli ha guardato all'esemplare eterno; e se, invece, l'Artefice non è tale, ciò che non è neppure permesso a qualcuno di dire, ha guardato all'esemplare generato. Ma è evidente a tutti che Egli guardò all' esemplare eterno: infatti l'universo è la più bella delle cose che sono state generate, e l'Artefice è la migliore delle cause.

Pertanto, agli altri, Platone non consente nulla, nemmeno desiderare di vivere davanti alla bellezza con cui l'Artefice li macella.

Per Platone il macellaio è la migliore delle cause.

Nel suo delirio declamatorio, che Platone fa attraverso Timeo, Platone non prende in considerazione le implicazioni delle sue affermazioni e nemmeno l'aberrazione delle implicazioni di quanto dice. E' talmente preso dal suo delirio da estraniarsi dal mondo e, come l'Artefice si erge al di sopra e al di là degli uomini, così Platone pensa che tutti debbono pensare alle sue affermazioni nel contesto delirante in cui lui le pensa. Platone ritiene il proprio delirio un delirio oggettivo, comune agli uomini, per cui le sue affermazioni, derivate da quel delirio, devono apparire ovvie, scontate e condivise.

Le cose non stanno come afferma Platone. L'Artefice non esiste se non nell'immaginazione di Platone e tutta la sua logica cozza contro una realtà che lo considera ammalato di onnipotenza.

Ma se le cose non stanno così e l'Artefice non esiste, di che cosa stiamo parlando? Di che cosa discutiamo?

Stiamo parlando e discutendo del delirio di Platone.

Delle sue farneticazioni attraverso le quali vuole farsi passare per il padrone del mondo in quanto lui farnetica e spaccia le sue farneticazioni come saggezza.

Discutiamo della realtà della nascita dell'idea dell'Artefice attraverso i bisogni e i desideri di Platone che, estraniato dal mondo, pretende di esserne il padrone.

E quando Platone dice:

Ora, in ogni questione è della massima importanza incominciare dal suo principio naturale. Pertanto, anche intorno all'immagine e all'esemplare di essa, bisogna riconoscere questo, che i discorsi hanno una affinità con le cose stesse di cui sono espressione.

E' esattamente ciò di cui stiamo parlando.

Il principio naturale da cui nasce l'idea dell'Artefice è il delirio della malattia mentale.

Questo è l'inizio.

La retorica con cui si giustifica la nascita di quest'idea è una retorica volta a convincere la ragione che ella è la padrona del mondo perché il mondo non può che esistere se non mediante una ragione assoluta di cui, la ragione che pensa l'assoluto, l'Artefice, ne è sicuramente parte.

Che cos'è stabile e saldo attorno a Platone se attorno a lui tutto si muove? Lui stesso è oggi ciò che non era ieri e non sarà domani ciò che è oggi. Perché? Non è forse uscito dalla vagina di sua madre? E che cos'è l'idea di "stabile" se non il prodotto di un desiderio che si distacca dalla vita e si proietta in un infinito di un'esistenza che, al contrario, dopo essere stata vissuta tende a morire? A perire. Ad annullarsi?

E in alternativa? Cosa propone Platone attraverso i discorsi fatti da Timeo?

Dunque, o Socrate, se dopo molte cose dette da molti intorno agli dèi e all'origine dell'universo, non riusciamo a presentare dei ragionamenti in tutto e per tutto concordi con se medesimi e precisi, non ti meravigliare. Ma se presenteremo ragionamenti verosimili non meno di alcun altro, allora dobbiamo accontentarci, ricordando- ci che io che parlo [D] e voi che giudicate abbiamo una natura umana: cosicché, accettando intorno a queste cose la narrazione probabile.", conviene che non ricerchiamo più in là.

Se i nostri discorsi sono stupidi, dice Platone, come è stupido il nostro desiderio di onnipotenza che delira attorno all'Artefice, non ti devi meravigliare. Però, in compenso, se presentiamo ragionamenti che ti possano apparire verosimili, come sono verosimili quelli di qualcun altro, allora dobbiamo accontentarci perché io, dice Platone, che deliro, ho una natura umana. Dovete accettare la narrazione probabile e, una volta accettata, non conviene più che indaghiate. Accontentatevi di pensare come buono e probabile il mio delirio che definisce la verità del mondo. "Io sono la verità" dice Gesù per impedire agli uomini di indagare il mondo.

Bene, fa dire Platone a Socrate, ora che abbiamo ammirato la tua introduzione, sviluppa il tuo discorso.

Ma che cosa c'era da ammirare?

C'erano solo delle affermazioni da accettare.

Affermazioni drastiche nate dal delirio di Platone e che ora diventa necessario argomentare e dimostrare. Platone non le dimostra. Parte dal presupposto che l'affermazione sia una dimostrazione in sé e continua il discorso attraverso le parole che mette in bocca a Timeo.

Platone ci dice che il Demiurgo era buono. Io ho conosciuto Gianni in un bar, ho bevuto con lui un caffè, ho chiacchierato un po' e ho desunto che Gianni era buono. Ho difficoltà a pensare che Platone abbia fatto la stessa cosa col Demiurgo di cui parla.

L'affermazione del soggetto "Demiurgo" altro non è che l'affermazione del soggetto "Platone" che non può esistere, o non ritiene di non poter esistere, senza un'identificazione di sé stesso con il "Demiurgo".

Dice Platone:

Essendo dunque lungi dall'invidia, Egli volle che tutte le cose diventassero il più possibile simili a lui.

Quanti Demiurghi esistevano? Se Platone avesse ammesso l'esistenza di molti Demiurghi avrebbe potuto ammettere l'esistenza di quella che chiama "invidia", ma ammettendo un solo Demiurgo, va da sé che difficilmente si può pensare che il Demiurgo di Platone fosse invidioso di sé stesso.

E qui Platone ci parla di ciò che vuole il Demiurgo. Cosa vuole il Demiurgo? Ciò che ci racconta Platone che del Demiurgo si fa portavoce.

Dal momento che Platone pensa a sé stesso come alla perfezione della saggezza vuole che tutti i filosofi siano uguali a lui e questo, per transfert viene proiettato su ciò che vuole il Demiurgo pensato da Platone. In sostanza, pensando il Demiurgo, Platone pensa sé stesso. Ma, ad esempio, Pirrone non è Platone e Pirrone è un saggio ignoto a Platone.

Dal momento che Platone non tollera le relazioni o il conflitto dialettico, ma ammette solo accondiscendenza, così nel Demiurgo scorge la sua stessa attività nell'eliminare le contraddizioni dell'esistente e di imporre un ordine che sa solo di violenza non tollerando le scelte soggettive degli oggetti del mondo. In Platone il suo Demiurgo non tollera il caos. Il caos lo infastidisce. Non è in grado di muoversi o di agire nel caos, è costretto a mettervi ordine esattamente come la sua ragione tenta di mettere ordine nella descrizione del mondo negando l'esistenza di ogni oggetto che non tollera quell'ordine o che in quell'ordine potrebbe essere dissonante creandogli confusione.

Platone considera l'ordine migliore di ogni disordine non perché l'ordine è una dimensione migliore da quella che lui definisce disordine, ma solo perché Platone non è in grado di vivere in un ordine che la sua ragione non è in grado di padroneggiare. Come un tiranno, che deve distruggere ogni cosa che non coincide con la sua idea di ordine sociale.

Il Demiurgo di Platone distrugge un ordine per costruire il proprio ordine. Quello adatto alla sua comprensione, esattamente come Platone intende distruggere la società Greca per ricostruirla in quell'ordine della tripartizione che definisce nell'organizzazione sociale degli atlantidei. La società greca, per Platone, è disordine perché democratica mentre, la dittatura, è l'ordine a cui Platone, come padrone, agogna.

La soggettività del Demiurgo, dell'Artefice, di Platone viene sostituita da un'oggettivazione di ciò che Platone ritiene bello, che diventa "il Bello", ciò che Platone ritiene buono, che diventa "il Buono"; ciò che Platone ritiene intelligente, che diventa "l'intelligenza". Dove la soggettività di Platone diventa l'oggettività della quale discutere perché Platone è il Demiurgo, l'Artefice.

Seguendo questo ragionamento, l'intelligenza non è il modo con cui il soggetto pensa ed agisce nel mondo discriminando, ma è un "oggetto in sé" che viene messo nell'anima che diventa, nel pensiero Platonico, l'agente di controllo del soggetto vivente e dell'uomo in particolare.

Continua il ragionamento sulla distruzione dell'uomo di Platone per bocca di Timeo.

Scrive Platone (sempre nella traduzione di Reale):

Seguendo questo ragionamento, mettendo insieme l'intelligenza nell'anima, e l'anima nel corpo, compose l'universo, affinché l'opera che Egli realizzava fosse per sua natura la più bella possibile e la più buona. Così, secondo un ragionamento probabile, si deve dire che questo mondo è un essere vivente, dotato di anima e di intelligenza, generato ad opera della provvidenza di Dio.

Oggetti che vengono assemblati dove l'ultimo oggetto, il corpo, è il vero soggetto che deve essere controllato e che ha una dimensione reale. Mentre l'anima in Platone è un concetto per fini criminali, il controllo dell'uomo, mentre l'intelligenza in Platone è un'astrazione oggettivata di sé stesso e del suo modo di pensare il mondo, il corpo è il corpo degli uomini che devono essere portati dal "disordine", della loro richiesta di democrazia, all'ordine della dittatura sotto il controllo dei tiranni o dei filosofi, come Platone, che non sono i filosofi come Pirrone.

Questa operazione delirante di Platone viene contrabbandata da Giovanni Reale come un'operazione delirante che giustifica la realtà del suo dio. E' facile l'accostamento del dio padrone cristiano al Demiurgo o l'Artefice di Platone. Lo fece duemila anni or sono Filone d'Alessandria e lo fa oggi Giovanni Reale per conto del cristianesimo.

L'importante è rubare all'uomo le sue condizioni d'esistenza. L'importante è rubare all'uomo le sue emozioni chiamandole anima e attribuendone la proprietà al proprio dio padrone. L'importante è rubare all'uomo l'intelligenza e trasformarla in un oggetto immodificabile sottraendolo alla gestione dell'uomo e della sua volontà nella sua attività esistenziale. L'intelligenza non è ciò che ogni singolo uomo costruisce vivendo la sua esistenza e modificandola, esperienza dopo esperienza, ma è una realtà, un'oggetto immutabile, voluto dall'Artefice che l'Artefice distribuisce in base al proprio capriccio trasformando l'uomo in schiavo del suo dono.

Concludiamo il delirio platonico espresso nel Timeo da Platone con le sue stesse parole.

Scrive Platone:

Stando così le cose, bisogna che diciamo ciò che segue, cioè a somiglianza di quale dei viventi l'ha composto Colui che l'ha composto. Dovremo ritenere che lo abbia composto non certo a somiglianza di quelli che per loro natura hanno forma di parti, perché nulla che assomigli a cosa imperfetta potrebbe essere bello. Dovremo considerarlo, invece, come sopra ogni cosa somigliantissimo a quello di cui gli altri animali considerati nella loro singola individualità e nelle loro specie sono parti. Infatti, quello contiene in sé tutti i viventi intelligibili ", così come questo [D] mondo contiene noi e tutti gli altri viventi visibili. Pertanto, volendo Dio farlo simile al più bello e compiuto per ogni rispetto dei viventi intelligibili, lo compose come un unico vivente visibile, [31 A] avente dentro di sé tutti quanti gli altri viventi, che per loro natura sono a lui congeneri.

Stanno così le cose?

No! Le cose non stanno così!

Così sta il delirio di Platone.

Platone ci ha dimostrato che non esiste un Artefice o un Demiurgo che crea un mondo, ma esiste solo il suo desiderio di essere il padrone del mondo e degli uomini.

Dobbiamo ritenere che Platone abbia elaborato la sua fantasia partendo dal suo desiderio di dominio, dal suo delirio di onnipotenza, che la realtà quotidiana ha frustrato continuamente dimostrando che gli uomini preferiscono la democrazia alla sua dittatura.

Platone, l'onnipotente, contiene in sé "tutti i viventi intellegibili" a cui ha tolto la vita, i sentimenti, le emozioni, i progetti di esistenza e le possibili trasformazioni nella loro vita.

Nel Timeo, Platone non ci espone una "teoria filosofica", ci espone i contenuti del suo delirio. Un delirio buono per tutti i deliranti. Un delirio che giustifica ogni delirio di chiunque si estragga dalla vita e va a raccontare agli uomini che cosa pensa il dio padrone e creatore dell'universo.

In questa mostruosità delirante incontriamo anche il delirio di Giovanni Reale teso a cogliere una giustificazione della propria fede nel dio padrone di cui si ritiene guardiano e agente.

Io capisco che ogni filosofo deve essere arrogante. Deve ritenere che quanto scrive, di quanto intuisce e su quanto ragiona, sia il massimo possibile dell'intelligenza della cultura del suo tempo. Se un filosofo pensasse che oltre a ciò che pensa ci fosse dell'altro, quell'altro diventerebbe parte di ciò che pensa perché, nella sua arroganza culturale, non può permettersi di ignorare ciò che si presenta alle sue possibilità a meno che non cancellasse quanto si presenta perché troppo in conflitto con quanto afferma.

Per questo, l'arroganza in campo filosofico è tollerata. Non è tollerata quando l'arroganza supera il confine con il delirio che trasforma la malattia psichiatrica in condizione filosofica. L'arroganza culturale è permessa; l'arroganza di chi si pensa il padrone degli uomini in nome del dio padrone, non è permessa. E' in sé un delitto. Un crimine contro l'umanità.

Questi deliri non possono essere discussi in un contesto filosofico, ma vanno ricondotta alla manifestazione della malattia mentale. Vanno considerati come il delirio di un malato mentale che sconfitto nella sua vita attende la sua morte, delirio dopo delirio.

Marghera, 08 maggio 2017

NOTA: Le citazioni del Timeo di Platone sono tratte da "Platone – tutti gli scritti" a cura di Giovanni Reale traduzione di Giovanni Reale edito da Bompiani Editore edizione 2014. Le citazioni vanno da pag. 1361 a pag. 1363.

 

 

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Marghera, 08 maggio 2017

Claudio Simeoni

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Le idee si presentano alla ragione come dei lampi intuitivi. Illuminano per un attimo la ragione e poi tendono a sparire annullate da una ragione che tende a riprendere il controllo sull'individuo. Le idee sono un'emozione che insorge con violenza dentro di noi e modifica la nostra descrizione del mondo, una descrizione che la ragione tende a ripristinare ma che l'emozione ha definitivamente compromesso. Una nuova descrizione, una nuova filosofia emerge dentro di noi e noi, qualunque sia il nostro grado di cultura, dobbiamo comunque confrontarla con la cultura del mondo in cui viviamo.