Pasquale Galluppi (1770 - 1846)

Il principio del dovere

Riflessioni sulle idee di Galluppi.

di Claudio Simeoni

 

Cod. ISBN 9788891185785

Teoria della Filosofia Aperta - Volume due

 

Il figlio del barone don Vincenzo Galluppi e della moglie, della stessa casa, Lucrezia Galluppi, allievo del prete cattolico Giuseppe Antonio Ruffa, scrisse la sua morale filosofica al solo fine di legittimare il suo possesso di schiavi in piena epoca della restaurazione della monarchia assoluta.

Se dimentichiamo questa esigenza soggettiva di Pasquale Galluppi, allora non siamo in grado di collocare la sua teoria sulla morale, sul dovere e sulla volontà nelle esigenze sociali e nella prassi quotidiana che Galluppi viveva.

Il principio del dovere di Galluppi è perfettamente funzionale alla restaurazione della monarchia assoluta in quel periodo che va dal 1815 al 1830-40.

Galluppi condanna la ricerca del piacere intesa come ricerca del benessere e della libertà dell'uomo. L'uomo, per Galluppi, è portatore di doveri nei confronti del suo padrone, della chiesa cattolica e della nobiltà che rappresenta.

Scrive Eugenio Garin di Galluppi a proposito del principio del dovere:

L'uomo non è solo conoscenza, è anche azione; nel campo dell'agire conviene nettamente distinguere fra attività compiuta in vista del piacere e attività morale, compiuta in vista del dovere. Ora Galluppi rifiuta alla morale del piacere il nome di morale umana. Cercare di essere felici, e tutto subordinare a tal fine, è piuttosto da bestie che da uomini; è felicità, non vita morale. La moralità è altrove, nell'ascoltare la voce del dovere che suona nella nostra coscienza. "Io convengo col filosofo di Koenisberg, che vi sono nell'uomo due principi determinanti della nostra volontà, il piacere ed il dovere ... lo convengo che il dovere determina per se stesso, indipendentemente dal piacere, e che esso non può subordinarsi alla felicità senza distruggersi". Principio del dovere derivato "da noi, non dagli oggetti"; verità evidente, "essenziale alla nostra ragione", non innata, ma tale che scaturisce necessariamente dalla costituzione stessa dello spirito umano. "L'uomo è costituito di tal natura, che la nozione del dovere, sorte, nelle occasioni, dal suo proprio fondo: ella, riguardo alla sua origine, è una nozione soggettiva venendo dal soggetto che dee agire. La nozione del dovere sorte dall'interno di noi medesimi, ed applicandosi alle azioni che si presentano allo spirito costituisce quei giudizi, che sono precetti o comandi".

Il dovere d'obbedienza, per Galluppi, è un dovere naturale. La ricerca del piacere, per Galluppi, è una ricerca bestiale. Per Galluppi, essere felici è da bestie; obbedire e sottomettersi alla morale imposta è la felicità dell'uomo.

Subordinare il dovere alla ricerca di felicità si distrugge il dovere.

La libertà dell'uomo, del singolo individuo, terrorizza il Galluppi. Il dovere viene imposto dal dio padrone all'uomo e l'uomo può trovare la sua felicità sono ottemperando al dovere di sottomissione al dio padrone e alla gerarchia che lo rappresenta.

Secondo Galluppi, il dovere "deriva da noi". Peccato che Galluppi imponga il dovere a livello così profondo da violentare la natura umana che non può più cercare il piacere se non con i sensi di colpa del peccato che la violenza educazionale impone nell'individuo. Il dovere non deriva dall'uomo, ma dalla violenza educazionale che stupra la struttura psichica dell'uomo privandolo della libertà nella ricerca del piacere in una società che dovrebbe avere la felicità come ideale per cui attrezzare i propri figli.

Il dovere, a differenza della violenza con cui il Galluppi vuole imporlo, non nasce dall'uomo, ma è subita dall'uomo mediante la violenza di una società che cerca la sottomissione schiavista ad un dio padrone mediante la violenza sull'infanzia. Dal momento che Galluppi si identifica con chi può beneficiare della sottomissione schiavista, ritiene del tutto legittimo imporre il senso del dovere e distruggere la struttura psichica delle persone in funzione della riaffermazione del suo diritto di proprietà sugli uomini.

Scrive Eugenio Garin su Galluppi e il suo concetto di libertà:

Al dovere è strettamente connessa la libertà; la presenza in noi dell'uno implica l'altra: "la coscienza della legge interiore contiene la coscienza della propria libertà. Il comando suppone in colui a cui è diretto il potere di eseguirlo o di non eseguirlo". Siamo al kantiano "devi, dunque puoi" dal Galluppi appoggiato alla testimonianza della coscienza, che ci dà il senso del potere proprio della volontà di bene. "La libertà è dunque una verità primitiva della coscienza".

La libertà, libertà dagli ostacoli che impediscono la vita o da violenze che sottomettono l'uomo, sono un bisogno inalienabile di ogni Essere della Natura. Uomo compreso!

Il comando presuppone la violenza della pena se non è eseguito.

La libertà di obbedire è l'unica libertà concepibile dal Galluppi. Per lui la libertà degli individui trasformati in schiavi è la loro scelta "spontanea" di essere schiavi. Se scelgono di essere schiavi, sono liberi nella schiavitù.

Galluppi è un fiero oppositore alle libertà proposte ed imposte dalla Rivoluzione Francese. Un nobile che ha seminato sofferenza per i propri interessi e che vede nella libertà della Rivoluzione Francese, che tende alla felicità dei cittadini contro il potere del dio padrone e dei nobili, il nemico da condannare.

Afferma Robespierre nel suo discorso sulla Costituzione del 10 maggio 1793:

"L'uomo è nato per la felicità e la libertà e dovunque è schiavo e infelice. La società ha per scopo la conservazione dei suoi diritti e il perfezionamento della sua personalità; e dovunque la società lo degrada e lo opprime. E' arrivato il tempo. E' arrivato il tempo di ricordarlo ai suoi veri destinatari: i progressi ella ragione umana hanno preparato questa grande rivoluzione, spetta a voi ora in modo particolare il compito di accelerarla. Per adempiere alla vostra missione dovete fare precisamente il contrario di ciò che è esistito prima di voi. Fino ad ora l'arte di governare è stata l'arte di derubare e di asservire un grande numero di persone a vantaggio di un piccolo numero di persone [di una sola, il dio padrone]; e la legislazione è stata il mezzo per trasformare questi soprusi in sistema. I re e gli aristocratici hanno fatto molto bene questo mestiere; spetta ora a voi di fare il vostro, ovvero di rendere, per mezzo delle leggi, gli uomini felici e liberi.

A questo si oppone il Galluppi affermando che lo schiavo comandato presuppone nello schiavo la possibilità di non eseguire il comando ricevuto. Come se galere, torture e roghi fossero indipendenti dal comando che ordina e che non agiscono sullo schiavo al fine di permettergli di scegliere. La miseria costruita dal cristianesimo e il terrore sparso dal cristianesimo, da un lato spinge l'uomo ad anelare alla libertà e dall'altro lo terrorizza per poterlo comandare, controllare e sottomettere.

Un uomo, violentato nell'infanzia, per Galluppi è un uomo libero che serve liberamente il suo padrone riproponendo l'ideologia di Paolo di Tarso come se fosse una condizione naturale:

"Schiavi, obbedite in ogni cosa ai vostri padroni secondo la carne, non solo quando vi vedono, come per piacere agli uomini, ma con sincerità di cuore, per timore del signore. tutto quello che fate, fatelo di cuore, come per il signore e non per gli uomini, sapendo che riceverete in ricompensa l'eredità dalle mani stesse di dio. E' a cristo signore che voi servite. Chiunque, invece, commette ingiustizia, commetterà secondo l'ingiustizia commessa: non vi sarà accettazione di persone."

Paolo di Tarso, lettera ai Colossesi 3, 22-25

"Servi siate sottomessi con ogni rispetto ai vostri padroni, non solo a quelli che sono buoni o ragionevoli, ma anche a quelli di carattere intrattabile. poiché piace a dio che si sopportino afflizioni per riguardo verso di lui, quando si soffre ingiustamente. Infatti che gloria vi è nel sopportare di essere battuti, quando si ha mancato? Ma se voi, pur avendo agito rettamente, sopportate sofferenze, questo è gradito davanti a dio. Anzi è appunto a questo che voi siete stati chiamati, perché Cristo pure ha sofferto per voi, lasciandovi un esempio affinché ne seguiate le orme."

I lettera di Pietro 2, 18-21

Questo odio e questa violenza di Paolo di Tarso, che la chiesa cattolica e il cristianesimo in generale ha fatto proprio legittimando la schiavitù, viene riproposto da Galluppi per il benessere e la felicità dei padroni che ritengono "naturale" che i loro schiavi obbediscano ai loro ordini.

Quando noi consideriamo i pensatori della storia della filosofia, il loro pensiero viene collocato nella dimensione dell'umano o nella dimensione dell'inumano, del bestiale, dell'aberrante, a seconda se quel pensiero favorisce lo sviluppo dell'uomo o se il loro pensiero nega le prerogative dell'uomo costringendo l'uomo in una gabbia, sia fisica che emotiva, entro la quale è un prigioniero. Prigioniero di una morale, di una condizione emotiva, di una condizione sociale, di una condizione giuridica che nega le possibilità dell'uomo di veicolare sé stesso nella vita.

Il pensiero di Galluppi non era un pensiero per sé e in sé. Era un pensiero che manifestava principi sociali antagonisti ad altri principi sociali. L'etica del dovere di Galluppi giustificava delle condizioni dell'uomo. Le condizioni che la filosofia del dovere di Galluppi giustificavano, in contrapposizione ad altre teorie, come quella del Romagnosi, avevano una qualche corrispondenza con i bisogni dell'uomo che la scienza ha rilevato nel corso degli ultimi due secoli?

Leggiamo da un settimanale:

La mente assegna un valore a ogni cosa, a seconda della felicità che può darci

09 gennaio 2013 - Il Venerdì di Repubblica

Non siamo nati per soffrire, anzi. Siamo portati a cercare ciò che ci dà gioia, e la ricerca può essere persino più piacevole che ottenere il risultato. D'altra parte, per motivi di sopravvivenza, l'euforia non dura. Come spiegherà uno psicologo della Cornell University al Festival delle Scienze di Roma.

Di Giuliano Aluffi

"L'uomo è nato per la felicità come l'uccello è nato per il volo. Da bambino, un Unione Sovietica, sentivo spesso citare questo aforisma di Maxim Gorky. Ma sembrava solo propaganda. Oggi vedo questa frase in una luce nuova: non più come uno slogan, ma come un'anticipazione dell'attuale conoscenza scientifica di come l'evoluzione ci abbia indirizzati verso la felicità". Così esordisce Shimon Edelman che, nato nell'allora Unione Sovietica da una famiglia ebrea, ha studiato in Israele e quindi si è trasferito negli Stati Uniti. Ingegnere elettronico approdato alla psicologia attraverso lo studio dell'intelligenza artificiale, oggi insegna psicologia cognitiva alla Cornell University. Con il saggio La felicità della ricerca (Codice Edizioni), nelle librerie a fine gennaio, vuole trasmettere l'idea che la felicità sia un percorso più che un traguardo. E di questo parlerà a Roma il 19 gennaio, al Festival delle Scienze, quest'anno dedicato proprio alla felicità.

Giuliano Aluffi: Lei sostiene che l'evoluzione ci ha indirizzati verso la felicità. In che senso?

Shimon Edelman: Immaginiamo che la nostra mente contenga una mappa, cioè una rappresentazione del mondo intorno a noi. A ogni oggetto, per esempio una mela, la mente assegna un valore a seconda della felicità che può darci. Il valore lo decidiamo guardando, sentendo, toccando e annusando. Questo fa sì che la mappa non sia piatta, ma dotata di avvallamenti e rilievi, che ci attraggono o respingono, quasi come se fossimo una biglia dentro un flipper. Anche i topolini nei labirinti seguono una mappa simile: il loro panorama dei valori, costruito in gran parte attraverso il fiuto, suggerisce loro la strada giusta verso il formaggio. Nel nostro labirinto le ricompense non sono dappertutto: la ricerca della felicità è la ricerca del percorso che può massimizzare il numero di ricompense.

La ricerca scientifica ha dimostrato che l'uomo, come ogni altro Essere della Natura procede verso la propria felicità. Il massimo della felicità possibile data la situazione in cui vive ed opera. Il dovere è violenza nei confronti della libertà dell'uomo nel ricercare la propria felicità. Il dovere sottomette la felicità dell'individuo al fine di soddisfare un individuo diverso da lui. La felicità è il piacere e il piacere, come sensazione, certifica il grado di felicità raggiunto dal soggetto. Non c'è felicità senza piacere, non c'è libertà senza ricerca del piacere. La felicità, come percorso della vita dell'uomo, attraversa un piacere dopo un piacere.

Scrive Eugenio Garin su Galluppi e il suo concetto di felicità:

Il terzo punto della morale galluppiana è la felicità, che se non è l'oggetto primario dell'attività morale, ne costituisce tuttavia la ricompensa ad essa sempre indissolubilmente legata. Già nel 1816, nel discorso accademico di celebrazione di sant'Alfonso de' Liguori, il Galluppi esclamava: "Io rientro nel santuario del mio cuore; io vi leggo queste verità primitive, e fondamentali del mio essere normale. Io voglio necessariamente esser felice. Io debbo vivere la vita del dovere. La virtù merita la felicità. Il vizio merita la pena. Queste verità sono di sentimento: esse sono indelebili: esse costituiscono il mio essere morale; io sarei in contraddizione con me stesso non ammettendole tutte nella loro integrità". Dopo aver riferito la famosa apostrofe di Kant al dovere, riconduceva la felicità alla consapevolezza del dovere compiuto. Negli Elementi, credendo di combattere il rigorismo kantiano, ma in realtà senza contrastarvi, affermerà: "Alcuni filosofi alemanni hanno preteso che l'ubbidienza al dovere dee esser l'effetto del puro rispetto della ragione per la legge, senza alcuna specie di piacere, né di amore. Una tal dottrina è falsa, e contraria alla testimonianza irrefragabile della coscienza". Infatti se "non si dee essere giusto e benefico, per esser felice ... più la virtù sarà pura e disinteressata, più vivo sarà il piacere, che risulta dalla coscienza di averla praticata ... L'uomo virtuoso vuole il dovere per se stesso: e questo è il fine ultimo della sua volontà; egli, in conseguenza, non fa il dovere per lo piacere; ma il piacere non lascia di accompagnare la pratica del dovere".

La negazione del piacere e della felicità in funzione del dovere imposto viene legittimata con un piacere e un dovere oltre il dolore dell'obbedienza per dovere.

La felicità, per lo schiavista Galluppi, non è l'oggetto cercato dall'uomo mediante la sua attività, né, come per Robespierre un dovere delle Istituzioni da garantire all'uomo, ma è il premio del padrone, del dio padrone, all'obbedienza imposta ed ottenuta. Le verità primitive di Galluppi sono le verità imposte dal dio padrone che ha creato l'uomo (primitive) non dalla violenza cristiana che stupra l'infanzia. Una volta che i cristiani hanno stuprato l'infanzia, lo stuprato deve comunque sopravvivere con una psiche deteriorata, con emozioni violentate, con una capacità di affrontare i problemi della vita priva di energia e di determinazione. Lo stuprato è sottomesso allo stupro subito per tutta la vita, come sa molto bene la chiesa cattolica.

Galluppi esalta lo stupro delle persone anche nel discorso accademico celebrando Alfonso de' Liguori dove il suo essere normale è il suo essere che ha rinunciato alla vita per essere soggetto di obbedienza. Un'obbedienza che il Galluppi trova soddisfacente in quanto gli permette di costringere all'obbedienza i più deboli, dato il potere nobiliare che dispone.

Il vizio dei bambini merita la pena di preti stupratori e di suore cattoliche. Bambini violentati che abitano il mondo con una struttura psichica devastata dove la devastazione psichica, che Galluppi chiama virtù, era la pena comminata per il vizio di quei bambini.

Come in questo caso che non fa altro che "pittare" spaccati delle violenze contro l'infanzia messe in atto dalla chiesa cattolica al fine di imporre la sua fede e il dovere di obbedienza. Le informazioni sono da indagini contemporanee e scendono fino al 1928, ma dal momento che la violenza sull'infanzia è regola e norma nella chiesa cattolica, è facile estendere la violenza di cui questa commissione ha sentito parlare, moltiplicandola per 1000 ed estendendola lungo tutti i secoli nei quali è stato permesso alla chiesa cattolica di violentare l'infanzia in nome del suo padrone Gesù:

23/01/2013 - 16:04

Suore accusate di abusi, la superiora: "Chiedo perdono alle vittime"

Una commissione di esperti ha rilevato ripetuti maltrattamenti in un arco di oltre 40 anni negli istituti gestiti dalle Suore di carità della Santa Croce

INGENBOHL - Bambini sono stati ripetutamente maltrattati tra il 1928 e il 1970 in istituti gestiti dalle Suore di carità della Santa Croce, che hanno la loro casa madre a Ingenbohl (SZ). A questa conclusione è giunta una commissione di esperti indipendente, che ha presentato oggi il suo rapporto.

Dall'indagine, commissionata due anni fa dal convento stesso, è emerso che non soltanto le suore, ma anche autorità, organi di controllo e direttori degli istituti non si sono comportati come avrebbero dovuto. Per quanto riguarda le responsabilità individuali rimangono tuttavia aperte molte domande, a causa delle lacune delle fonti.

Una delle difficoltà in cui si è imbattuta la commissione, diretta dall'avvocato di Wettingen Magnus Küng, è stato il fatto che non tutte le testimonianze di ex ospiti degli istituti hanno potuto trovare riscontro, ha detto il pedagogo Martin Strittmatter, membro della commissione.

[...]

Tratto da:

http://www.tio.ch/News/Svizzera/717989/Suore-accusate-di-abusiFinché il link permane

Nei campi di concentramento dell'infanzia istituiti dai cattolici in duemila anni speso si trovano registri su quanti bambini entrano nei campi di concentramento gestiti da preti e suore (a volte solo per i registri di battesimo quando non sono stati distrutti), ma non si trovano registri su quanti sono usciti come ragazzi.

La pena che le suore hanno inflitto ai bambini per i loro vizi li induceva alla necessità di compiere il dovere loro ordinato (sotto minaccia di altre eventuali pene) in cambio avevano la felicità per aver scansato altre e dure pene se avessero scelto di disubbidire. Come nell'idea di Galluppi secondo cui, obbedendo al dio padrone, si accede alla felicità della vita eterna.

L'odio per l'uomo di Galluppi lo porta a negare l'ovvietà: alla legge si obbedisce con ragione quando la legge è fatta con ragione. La legge sociale è la misura e il limite delle relazioni fra le persone. Il nobile e miliardario che non spala il fango per un tozzo di pane parla di virtù violentando chi spala il fango che, secondo lui, deve trovare un vivo piacere nella consapevolezza di aver praticato la virtù.

Così Galluppi va nei bassifondi o fra i miserabili e dice loro che "...più la virtù sarà pura e disinteressata, più vivo sarà il piacere che risulta dalla coscienza di averla praticata...". Appare del tutto evidente, almeno a mio avviso, che Galluppi non stia facendo filosofia, ma stia prendendo in giro le persone in una situazione soggettiva di delirio patologico.

Che Galluppi stia solo prendendo in giro le persone nascondendosi dietro a delle farneticazioni pseudo-filosofiche appare evidente quando afferma: "L'uomo virtuoso vuole il dovere per sé stesso...". Il padrone va dai suoi schiavi che devono volere il dovere per sé stessi e dice ai suoi schiavi che il fine ultimo della loro volontà non deve essere quello di spezzare le loro catene, ma quello di ottemperare al volere del loro padrone. Devono impegnarsi con tutta la volontà affinché il loro padrone sia soddisfatto. Infatti, lo schiavo non deve servire il padrone per il piacere, ma sicuramente il piacere del padrone non abbandona lo schiavo che pratica il dovere.

Farneticazioni?

Esattamente quelle che abbiamo visto sopra fatte da Paolo di Tarso:

"Schiavi, obbedite in ogni cosa ai vostri padroni secondo la carne, non solo quando vi vedono, come per piacere agli uomini, ma con sincerità di cuore, per timore del signore. tutto quello che fate, fatelo di cuore, come per il signore e non per gli uomini, sapendo che riceverete in ricompensa l'eredità dalle mani stesse di dio. E' a cristo signore che voi servite. Chiunque, invece, commette ingiustizia, commetterà secondo l'ingiustizia commessa: non vi sarà accettazione di persone."

Paolo di Tarso, lettera ai Colossesi 3, 22-25

Il principio del dovere di Galluppi è solo una brutta copia dell'odio e della violenza dei vangeli della chiesa cattolica riproposti in una diversa forma nel momento in cui la storia ha appena tagliato la testa al dio padrone, nelle vesti de re di Francia, ed il dio padrone, nella forma dell'assolutismo monarchico, tenta di riprendere il controllo degli Esseri Umani per ricacciarli nell'oscurantismo.

Tutto questo è così riassunto dal Bignami di Filosofia per la III^ Liceo:

1) La coscienza testimonia anche l'attività del soggetto nella volontà, e la presenza in questa di insegnamenti etici universali.

2) La felicità è il fine ultimo dell'uomo, considerato agente fisico della natura.

3) Ma se si considera l'uomo come agente morale, allora "il principio dell'interesse e della sua felicità è subordinato a quello del dovere, perché il principio del dovere è assoluto e annuncia una necessità".

Nota: Le citazioni su Galluppi, quando non citato o citato in maniera parziale sono tratte da Storia della Filosofia Italiana di Eugenio Garin edito da Einaudi nel 1978 e pubblicato per concessione dalla CDE spa 1989 Terzo volume pag. 138-139

 

Teoria della Filosofia Aperta - Volume due

 

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Marghera, 06 gennaio 2013

Claudio Simeoni

Meccanico

Apprendista Stregone

Guardiano dell'Anticristo

Tel. 3277862784

e-mail: claudiosimeoni@libero.it

La Teoria della Filosofia Aperta

Le idee si presentano alla ragione come dei lampi intuitivi. Illuminano per un attimo la ragione e poi tendono a sparire annullate da una ragione che tende a riprendere il controllo sull'individuo. Le idee sono un'emozione che insorge con violenza dentro di noi e modifica la nostra descrizione del mondo, una descrizione che la ragione tende a ripristinare ma che l'emozione ha definitivamente compromesso. Una nuova descrizione, una nuova filosofia emerge dentro di noi e noi, qualunque sia il nostro grado di cultura, dobbiamo comunque confrontarla con la cultura del mondo in cui viviamo.