Parmenide
la filosofia metafisica nel
Poema sulla Natura

Parmenide (VI sec. a.c. - 450 a.c.)

di Claudio Simeoni

Settimo volume:
cristianesimo, nazi-fascismo, identitarismo e sovranismo
la genesi dell'assolutismo

capitoli del settimo volume della Teoria della filosofia aperta

Riflessioni di filosofia metafisica sul
Poema sulla Natura di Parmenide

Non si può pensare ai filosofi come signori gentili che discutono di "cose elevate" fornendo i loro argomenti alle loro tesi. Li si devono pensare come persone che armate di spada tentano di scannare i loro avversari in nome delle loro affermazioni che hanno la facoltà di imporre gioghi feroci e crudeli agli uomini o di allentare i gioghi nella speranza di rimuoverli definitivamente.

La contesa filosofica è arte della guerra e lo sterminio consiste nel distruggere le idee avversarie e, qualche volta, distruggere gli uomini che quelle idee incarnano.

Parmenide è in guerra contro Eraclito e contro i democritei.

Una guerra feroce che non vuole fare prigionieri, ma solo distruzione.

Alle idee del divenire e della trasformazione di Eraclito, Parmenide oppone l'immobilità assoluta del presente come emanazione dell'Essere. Alla realtà composta di atomi, Parmenide oppone la realtà del monismo. In sostanza, se vogliamo leggere lo scontro in chiave moderna, la lotta filosofica consiste nella necessità di alcuni filosofi di imporre il "Dio padrone" che, dal di fuori della realtà vissuta dall'uomo, domina l'uomo e la necessità di altri filosofi di opporre l'uomo e la realtà fattuale a verità apodittiche affermate e mai dimostrate.

Scrive Parmenide:

Mai sarà dimostrato che esista ciò che "non è":
tieni lontana la mente da questa via di ricerca,
vezzo di molto sapere non t'induca su questa strada,
a mettere in opera occhio accecato, orecchio rombante,
lingua, razionalmente valuta invece la sfida polemica
da me proferita.

Mai sarà dimostrato ciò che non è. Dunque, l'Essere, in quanto Essere, non può essere dimostrato in quanto l'Essere non è.

Questa è la premessa al passo metafisico di Parmenide nelle sue elucubrazioni sull'Essere (che, nell'epoca attuale, è il Dio dei cristiani).

Come non si può dimostrare l'Essere in quanto l'Essere non esiste, così non si possono dimostrare gli oggetti affermati nel vaneggiamento della malattia psichiatrica quando quegli oggetti sono il prodotto della malattia e non rientrano sotto i sensi.

Il fatto che tali oggetti non sono oggettivamente dimostrabili, ciò non toglie che tali oggetti non possano essere definiti mediante le opinioni del soggetto malato ed imposti all'uomo nella struttura psico-emotiva come oggetti di "fede".

L'Essere non esiste e, dal momento che non esiste, è indimostrabile. Tuttavia qualcuno crede che esista come oggetto di fede e procede, alterando la realtà in cui vive, come se l'Essere esistesse pretendendo che l'oggetto di fede venga considerato come un oggetto reale, tale da condizionare le scelte della vita delle persone.

L'oggetto di fede ha la caratteristica di non esistere se non come desiderio di un soggetto che argomenta del proprio oggetto di fede per difendere l'oggetto dalla negazione dello stesso.

In questi termini Parmenide afferma che è necessario parlare dell'oggetto, ma non chiedere o indagare della realtà dell'oggetto.

Continua Parmenide:

Allora di via resta soltanto
una parola, che "è". Su questa ci sono segnali
molteplici, che senza nascita è l'Essere e senza morte,
tutto intero, unigenito, immobile, ed incompiuto
mai è stato o sarà, perch'è tutt'insieme adesso,
uno, continuo.

La soluzione di Parmenide è che l'Essere è. L'oggetto indimostrabile deve necessariamente essere. Più o meno come Babbo Natale o Cappuccetto Rosso.

Questa affermazione apodittica deve non richiedere spiegazione in quanto deve essere accettata come reale, come verità, a fondamento di ogni altra argomentazione che ne deve seguire.

Questo atteggiamento sta alla filosofia come i roghi dell'inquisizione cattolica stanno alla cultura.

Stabilita l'affermazione apodittica, Dio è, inizia la ricerca di segnali, nel mondo reale, che vengono fatti risalire all'esistenza di Dio e che, dal punto di vista soggettivo dell'individuo che ha interiorizzato Dio come oggetto reale, confermano l'esistenza dell'oggetto in sé chiamato Dio. Una volta stabilito che l'oggetto di fede è indimostrabile si può parlare dell'oggetto di fede, l'Essere, Dio, che, secondo Parmenide, è "senza nascita è l'Essere e senza morte, tutto intero, unigenito, immobile, ed incompiuto mai è stato o sarà, perch'è tutt'insieme adesso, uno, continuo." L'oggetto di fede viene alimentato attraverso l'immaginazione di un assoluto prodotto dal desiderio di assolutezza di Parmenide come difesa psicologica della consapevolezza dell'impotenza personale nell'affrontare la realtà vissuta. La fuga dalla realtà vissuta porta l'individuo a rifugiarsi in una realtà immaginata, virtuale, che, attraverso la fede, per lui diventa l'unica realtà esistente.

Se vuoi immaginare l'Essere, perché non immaginarlo con due gambe? Quali sono la diversità delle condizioni per le quali necessariamente Parmenide pensa all'Essere senza nascita, senza morte, immobile e incompiuto, ecc.? Perché non pensarlo che nasce, potrebbe morire o in trasformazione continua? Quali sono i fattori per i quali si pensa che l'Essere sia in un modo anziché in un altro se non perché quel modo, anziché un altro, è il desiderio che ciò sia per Parmenide? I cristiani, ad esempio, diranno che il loro Dio è ad immagine e somiglianza dell'uomo. Pertanto, con due gambe, un viso e molte caratteristiche dell'uomo attraverso le quali i cattolici lo raffigureranno e lo dipingeranno invitando i loro fedeli a prostrarsi davanti all'immagine.

Continua Parmenide:

Quale sua nascita andrai ricercando?
Come, da dove fruttato? Non lascerò che tu dica
o pensi dal nulla, perché né dire si può né pensare
ch'esso non sia. Che bisogno l'avrebbe mai spinto a nascere
dopo piuttosto che prima, se fosse nato dal nulla?
Deve perciò in assoluto essere oppure non essere.
Forza di prova neppure consente che nasca dal nulla
altro accanto ad esso; per cui non lascia Giustizia
né che nasca né muoia, né lo scioglie dai ceppi,
dà invece di freno; su questo in questo è il cimento:
"è" oppure "non è"; secondo Destino è deciso
l'una lasciare impensabile anonima, infatti vera
strada non è, che l'altra esista e sia verace.

Come puoi andare a cercare qualche cosa che esiste solo nella fantasia desiderante di chi la afferma?

Dice Parmenide: "Non ti permetto di dire che l'Essere nasce dal nulla!". Ma in realtà è l'unica cosa reale in quanto l'idea dell'Essere nasce dal nulla della fede di un soggetto che, proprio per la nascita dell'Essere, di Dio, cessa di essere il "nulla della fede" per diventare il "fedele dell'idea di Dio".

Se l'individuo vive nel reale dell'esistenza e l'oggetto chiamato Essere o Dio è indimostrabile perché non esiste, si può riconoscere che quest'idea possa nascere, in un certo momento, nell'uomo e da quel momento nasce l'Essere o Dio come idea aprioristica che l'uomo antepone alla realtà vissuta.

Dunque, nasce dal nulla perché prima della nascita di quell'idea non dimorava fede nella mente dell'uomo che affrontava il reale quotidiano.

Appare quasi superflua la domanda di Parmenide: "Che bisogno l'avrebbe mai spinto a nascere dopo piuttosto che prima, se fosse nato dal nulla?". Ovviamente il desiderio di onnipotenza di Parmenide sviluppa l'idea dell'Essere per difendersi dalla propria inadeguatezza rispetto al reale. Difende sé stesso attraverso l'immaginazione di un onnipotente. In quel momento l'Essere nasce, non prima. Nasce quando Parmenide ha bisogno che nasca per difendere sé stesso dall'angoscia dell'inadeguatezza.

Ovviamente, come dice Parmenide: "Deve perciò in assoluto essere oppure non essere. E allora, perché affermare che sia piuttosto che non sia? Perché, affermare che non sia, provoca dolore in Parmenide. E' come se si affermasse che Parmenide non è, data l'identificazione soggettiva di Parmenide con l'Essere. L'Essere, indimostrato e indimostrabile, è un prodotto della fantasia di Parmenide e se Parmenide non fosse, l'Essere non sarebbe nemmeno come affermazione.

Se Parmenide non prova che l'Essere esiste, come può Parmenide affermare che "Forza di prova neppure consente che nasca dal nulla altro accanto ad esso;". Come non esiste la possibilità di provare l'esistenza dell'Essere, così non esiste la possibilità di provare se nasce dal nulla altro accanto a lui. Se non si può provare il fondamento dell'oggetto dal quale procede il discorso logico, tutto il discorso non è logico, ma è costruito sul nulla. Un nulla che prende corpo dal desiderio di Parmenide di identificare un Essere assoluto nel quale specchiarsi o identificarsi.

A questo punto Parmenide invoca un "agente esterno" all'Essere: Giustizia. Giustizia, secondo Parmenide, determina le condizioni dell'esistenza dell'Essere che lui immagina. Ma se Giustizia determina le condizioni dell'Essere, Giustizia produce un progetto, una volontà e, con essa, un'intelligenza che ha proceduto l'Essere e determina tempi e modi dell'Essere.

Introducendosi in questo inghippo, Parmenide preferisce rifugiarsi nell'affermazione che l'Essere, Dio, è, negando dignità all'affermazione che l'Essere, Dio, non è. La negazione dell'Essere assume il carattere di conoscenza quando, definito fideisticamente l'Essere, questo pretende di anteporre la fede alla ricerca di una realtà che l'affermazione dell'esistenza dell'Essere nega.

Scrive Parmenide:

Come poi potrebbe sussistere l'Essere? Come rinascere?
Poni ch'è nato, non è, se pure è sul punto di essere.
Tolta è così di mezzo nascita e morte oscura.
Mai potresti distinguerlo in parti, è tutto omogeneo;
non più qui, meno lì, per cui non potrebbe consistere,
è invece all'opposto tutto pieno di Essere.

Una volta che Parmenide afferma l'esistenza dell'Essere, evitando la responsabilità di dimostrarlo, preferisce portare il suo interlocutore a fantasticare sull'Essere. Sul fatto che è impossibile che nasca, che non è possibile distinguerlo nelle sue parti. Solo che le affermazioni di Parmenide, riferite all'Essere, hanno lo stesso valore del contrario dell'affermazione.

Dopo di che, l'Essere di Parmenide assume la connotazione del tutto. Tutto l'esistente, conosciuto e sconosciuto.

Scrive Parmenide:

E' dunque tutto continuo: si stringe l'Essere all'Essere.
Immobile allora nei ceppi delle sue grandi catene,
è privo d'inizio, di fine, dato che nascita e morte
sono respinte lontano, certezza verace le esclude.
Resta identico sempre in un luogo, giace in se stesso,
dunque rimane lì fermo; potente distretta lo tiene
nelle catene del ceppo, che tutto lo chiude all'intorno.
Lecito quindi non è che l'Essere sia incompiuto:
d'ogni esigenza è privo; sennò, mancherebbe di tutto.
Stessa cosa è capire e ciò per cui si capisce:
senza l'"essere" mai, in cui diviene parola,
puoi trovare intelletto; nulla esiste o sarà
altro al di fuori dell' "Essere", ché l'ha legato il Destino
ad essere un tutto immobile; tutte gli fanno da nome
le cose supposte dagli uomini, fidenti che siano vere,
nascano, muoiano, "siano" una cosa, "non siano" quest' altra,
cambino posto, mutino la loro pelle apparente.
Dunque se c'è un limite estremo, è circoscritto
da tutte le parti, simile a curva di sfera perfetta,
ovunque d'identico peso dal centro: perch'è necessario
ch'esso non sia maggiore o minore in questo o quel punto.
Parte non v'ha il non essere, fine sarebbe questo
del suo equilibrio, neanche l'Essere in modo che sia
d'Essere qui più che lì, perché tutto è inviolabile:
ovunque eguale a se stesso, egualmente sta nei confini.
Qui ti concludo il discorso sicuro nonché il pensiero
di verità, e adesso impara le opinioni mortali,
delle mie parole ascoltando il costrutto ingannevole.

Parmenide non può mettere in discussione sé stesso. L'Essere deve esistere nella descrizione che ne dà Parmenide perché, in caso contrario, Parmenide non esisterebbe.

Parmenide viola la regola fondamentale della filosofia: chi afferma l'esistenza di un oggetto che non ricade sotto i sensi comuni è tenuto a dimostrare o l'esistenza dell'oggetto o l'utilità della concezione dell'esistenza dell'oggetto nelle relazioni fra l'uomo e il mondo o, ancora, indicare oggetti o relazioni che fanno, dell'oggetto affermato, l'essere assolutamente necessario per la loro manifestazione.

Parmenide getta le fondamenta per il concetto di "verità". La sua affermazione dell'Essere diventa "verità" perché lo ha detto Parmenide e gli uomini devono sottomettersi alla verità in quanto la verità è l'oggetto manifestato da Parmenide.

Il meccanismo usato da Parmenide è lo stesso meccanismo usato da Platone e da Gesù nei vangeli cristiani: il soggetto che afferma l'oggetto filosofico è il portatore della realtà dell'oggetto filosofico e quest'ultimo diventa realtà oggettiva perché lo ha detto il soggetto che si fa autorità (Socrate, Platone, Gesù, ecc.).

In Parmenide gli effetti della malattia mentale, dell'illusione, della farneticazione, dei desideri irrealizzati si trasformano in oggetto. Un puro oggetto dell'immaginazione che, nel momento stesso in cui viene affermato, deve essere considerato, pensato, come un oggetto in sé. Un dato di verità oggettiva che non mette in discussione l'oggetto espresso dalla farneticazione, ma deve produrre conseguenze logiche data l'accettazione della realtà dell'oggetto come oggetto in sé.

Il delirio non può essere considerato una "verità filosofica" perché, se così fosse, ogni paziente psichiatrico che vagheggia dovrebbe essere considerato non un malato da seguire, ma un filosofo che rivela verità ad altri sconosciute.

Parmenide è come i drogati che vagheggiano di realtà altre e non può essere considerato in maniera diversa. Molti filosofi nel corso della storia usano la fantasia per descrivere meccanismi metafisici o prospettive sociali. Un conto è usare oggetti di fantasia come elementi simbolici per descrivere una realtà in essere e altro conto è affermare una realtà altra da sostituire alla realtà vissuta dalle persone.

Ora si può comprendere quanta ferocia Parmenide investì nella guerra filosofica contro sia i fisici democritei che contro i filosofi del divenire e della trasformazione (Eraclito). Per Parmenide si trattava di imporre una realtà apodittica immobile che costringeva il genere umano nell'immobilità, agli ordini di un assoluto di cui, Parmenide e i suoi seguaci, diventavano i profeti dominando gli uomini in funzione di quella verità. Platone riprenderà questo tipo di meccanismi. In Platone, i "filosofi" diventavano i dominatori e i dittatori di una società idealizzata divisa in classi rigidamente separate in nome della razza e dell'eugenetica.

Marghera, 05 aprile 2023

NOTA: Le citazioni di Parmenide sono tratte da:

Parmenide, Poema sulla Natura, Editore BUR, 2000, p. 151-155

 

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Claudio Simeoni

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Ultima formattazione 07 ottobre 2021

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