Friedrich Wilhelm Nietzsche (1844 - 1900)

Sileno, Mida e il desiderio del mai-nato in La nascita della tragedia

di Claudio Simeoni

 

Cod. ISBN 9788891185808

 

Teoria della Filosofia Aperta - Volume tre (alle pagine sulla Nascita della Tragedia)

Teoria della Filosofia Aperta - Volume tre

 

Il desiderio del mai-nato come tragedia esistenziale

 

La disperazione nell'incapacità di vivere e nel trovar scopi razionali nella propria esistenza, come ha portato Schopenhauer ad abbracciare il pessimismo distruttivo e criminale buddista piegando la volontà dell'uomo alla funzione di strumento della distruzione dell'uomo stesso, così Nietzsche riproduce dentro di sé di guardare verso un futuro possibile e giustifica la propria inazione nella vita con la distruttività nell'impotenza.

A Nietzsche manca il concetto del: il Dioniso si costruisce dentro l'uomo attraverso le azioni dell'uomo.

Le infinite possibilità dell'uomo vengono selezionate dalla società in cui l'uomo vive e quando la società è una società che costruisce sé stessa nella dimensione di padrone-schiavo in padrone-schiavo la schiavitù in quella società è l'unica condizione esistenziale possibile.

Scrive Nietzsche:

Quasi ovunque il nocciolo di tali feste consisteva in una straripante sfrenatezza sessuale, che sommergeva sotto le sue onde ogni rispetto della famiglia e delle leggi venerabili; qui si scatenavano le bestie più selvagge della natura fino a quell'orrido miscuglio di piacere e di crudeltà che a me è sempre sembrato il "filtro delle streghe". Sembra che i greci per lungo tempo siano stati protetti e guardati dalle febbrili eccitazioni di quelle feste, di cui ad essi arrivava notizia per ogni via di terra e di mare, dalla immagine di Apollo fieramente dritto in mezzo a loro, e che mai oppose la testa di Medusa a nessuna potenza più pericolosa di questo tripudio dionisiaco. L'arte Dorica ha appunto immortalato questo atteggiamento maestosamente deprecante di Apollo.

Più difficile e anzi impossibile divenne poi la resistenza quando alla fine istinti consimili emersero dalle radici più profonde dell'ellenismo: adesso l'azione del dio delfico si limita a sottrarre le armi distruttrici al potente avversario mediante una conciliazione tempestivamente conclusa. Questa conclusione è il momento più importante della storia del mondo greco: e dovunque si guardi sono visibili le trasformazioni seguite a tali avvenimenti. Fu la conciliazione di due avversari con una rigorosa delimitazione dei territori entro i quali ciascuno dovrà tenersi e dei donativi che periodicamente dovranno scambiarsi a titolo d'onore; in fondo l'abisso non era colmato. Ma se poi guardiamo al modo in cui per l'influenza di quel patto si manifestò la potenza dionisiaca, vediamo che adesso, in confronto con le feste sacre di Babilonia, che respingevano l'uomo fino alla tigre e alla scimmia, le orge dionisiache greche assumevano il significato di feste di redenzione universale e di giorni di trasfigurazione. In loro per la prima volta la natura raggiunge la sua gioia artistica, per la prima volta il dilaceramento del principium individuationis si trasforma in fenomeno artistico. L'orribile filtro magico distillato dalla lussuria e dalla crudeltà qui non ebbe più forza: ancora ne sentiamo il ricordo, come le medicine ci ricordano i veleni, nel meraviglioso miscuglio e nella duplicità d'affetti dei tripudianti dionisiaci, nel fenomeno per cui la gioia risveglia il dolore e il giubilo strappa dai petti grida angosciose. Dal fondo della maggiore allegria esce il grido dello spavento o il nostalgico lamento per una perdita irreparabile. In quelle feste greche irrompe per così dire un tratto sentimentale della natura, quasi sospirasse sopra quella sua frantumazione in altrettanti individui. Il canto e la mimica di questi frenetici per una duplice esaltazione, fu per il mondo omerico greco cosa nuova e inaudita, e specialmente rabbrividì e si spaventò nel sentire la musica dionisiaca.

Pag. 31-32

Siamo all'idea del sesso e droga.

Cosa comporta l'accettazione del pessimismo buddista di Schopenhauer da parte di Nietzsche? Comporta definire "depravazioni immorali" ogni atto sessuale che non sia ammesso e approvato dal dio padrone.

Nietzsche aveva un dio padrone? Eppure la morale per la quale definisce le pratiche sessuali orgiastiche uno "scatenarsi di bestie più selvagge della natura" implicava l'acquisizione di una morale, dalla quale partiva per formulare il suo giudizio, che ha, per la sua educazione, origine nel sistema educazionale cristiano del dio padrone che si è imposto su Nietzsche.

Tutto il discorso sul dionisiaco che fa Nietzsche è legato alle pratiche sessuali prive di inibizione e prive di moralità che egli immagina fra le baccanti e gli iniziati dei riti dionisiaci. Che le baccanti e i partecipanti ai riti dionisiaci praticassero sesso sfrenato è una cosa, che Nietzsche proietti il suo giudizio morale cristiano su ciò che cristiano non è, è dovuto al desiderio sopito di una sessualità che desidera e immagina. Una sessualità alimentata dal desiderio e resa morbosa dall'ascetismo che cristianesimo e buddismo gli hanno imposto.

Quando Nietzsche definisce le pratiche sessuali come "...quell'orrido miscuglio di piacere e di crudeltà che a me è sempre sembrato il "filtro delle streghe"." , è il suo desiderio che parla. Un desiderio che reprime in nome di un Apollo che identifica come un Gesù dell'ellenismo.

Un Gesù dell'ellenismo che davanti al desiderio sessuale, che le persone esprimevano nelle orge, opponeva la morale cristiana della famiglia e delle leggi venerabili evitando di definire la famiglia e le leggi venerabili nell'ambito di chi praticava le orge: come se praticare le orge non fosse un rispetto di quella che Nietzsche chiama famiglia e leggi venerabili. In Grecia mica c'era una legge sull'astinenza sessuale.

Gesù è il modello con cui i cristiani hanno immortalato l'atteggiamento "maestosamente deprecante" contro le attività sessuali delle persone. Ma Gesù è un pederasta! Apollo è il principio maschile della vita; identificato spesso col Sole degli Esseri Umani. Voler rendere Apollo asessuato e portatore della morale di dominio delle pulsioni sessuali come il pederasta Gesù, è necessaria una fantasia al limite del grottesco.

Dioniso è l'azione in funzione della vita che può agire sia in presenza di una descrizione che chiamiamo ragione sia in assenza di ragione, ma l'assenza di ragione nel cristiano porta al delirio del dio padrone considerandosi padrone egli stesso.

Il concetto di Babilonia di Nietzsche non era il concetto della cultura della città di Babilonia, ma era la diffamazione di Babilonia messa in atto dagli ebrei e fatta propria dai cristiani. Una diffamazione che serviva agli ebrei e ai cristiani per legittimare lo sbattere la testa dei bambini degli avversari religiosi contro la pietra.

Anche l'idea che ha Nietzsche "dell'animalità" è espressione nell'immaginazione secondo cui le feste a Babilonia spingevano l'individuo allo stadio evolutivo della scimmia o della tigre, cioè all'animalità immaginata dal cristiano, viene contrapposta alla "redenzione cristiana" che viene attribuita alle feste "orgiastiche" dionisiache della tarda Grecia.

Nietzsche afferma che in tali feste il "dilaniamento" di Dioniso ad opera dei Titani si trasforma in fenomeno artistico. Esattamente dove il fenomeno artistico serve a mascherare attraverso una rappresentazione estetica la realtà della vita che Dioniso presentava. Il dilaniamento, lo smembramento, viene operato dai Titani in ogni uomo o donna viventi. E' la morte del loro corpo fisico, la fine del processo di divenire dell'uomo. La ricomposizione può avvenire o non avvenire. Quel "non avvenire" è fonte di disperazione per l'uomo. Una disperazione che Nietzsche vuole attribuire a "l'orribile filtro magico distillato dalla lussuria e dalla crudeltà..." che, secondo lui, in Grecia non ebbe forza e che alle sue narici appare come un veleno che in lui, nel tripudio di come immagina la festa dionisiaca, risveglia il dolore e strappa gridi d'angoscia.

Nietzsche non vede il sesso come piacere. Come diletto. Come passione che inizia e che finisce nel sesso. Per la sua educazione cristiana la lussuria sessuale è solo legata al dolore e l'allegria, che l'attività sessuale manifesta, nel suo desiderio sofferente, irrompe il suo grido d'angoscia.

E' difficile per un cristiano come Nietzsche capire che il trionfo di Dioniso si realizza nel dilaniamento dei Titani. Il dilaniamento del corpo fisico da parte dei Titani è il trionfo di Dioniso: è la sua trasformazione in un dio. Lui, nato dalla mortale Selene, ha vissuto con passione i passaggi della propria esistenza e il dilaniamento dei Titani ha aperto la porta per il suo infinito.

In questi passi si concentra tutta la contraddizione psicologica e concettuale di Nietzsche. Da un lato non coglie il senso delle feste di Dioniso e dall'altro lato vede sé stesso come un Dioniso dilaniato dai Titani. Solo che mentre Dioniso ha la consapevolezza di aver vissuto con passione e di aver, attraverso le sue passioni che si rappresentano con le feste orgiastiche irrefrenabili, costruito il proprio corpo luminoso che sarà ricomposto da Rea o da Hermes dopo il dilaniamento del corpo fisico, Nietzsche, che si identifica con Dioniso, vive questo momento con sofferenza in quanto la sua psiche è consapevole di non aver costruito il proprio corpo luminoso. Da qui il grido di dolore che Nietzsche immagina si levi dalle feste Dionisiache.

Quando Nietzsche elaborerà l'idea dell'eterno ritorno lo farà proprio in risposta a questo dolore impellente. Non ha fatto abbastanza azioni appassionate nella sua vita per poter costruire il proprio corpo luminoso, ha obbedito a troppi doveri morali come la società gli ha imposto. E' consapevole che non c'è un paradiso che lo attende. Non c'è una reincarnazione, e per questo immagina un "eterno ritorno" condannato a vivere innumerevoli vite nelle quali ripete le medesime azioni in un delirio di eternità che si svolge in un eterno presente in cui la sua volontà sceglie il già scelto.

In questa disperazione a Nietzsche non resta che l'arte che consentiva ai greci, secondo Nietzsche, di resistere agli impulsi sessuali quando anche ai greci, come agli immaginati Babilonesi, la lussuria emerse dai "loro istinti profondi".

Scrive Nietzsche:

Se la musica era evidentemente già conosciuta come un'arte apollinea, tuttavia era, esattamente intesa, solo un'onda ritmica, la cui forza figurativa veniva svolta a rappresentare stati d'animo apollinei. La musica apollinea era architettura dorica in suoni, ma in suoni appena accennati come avviene per la chitarra. Era da evitar si con cura, come non apollineo, quell'elemento che costituisce il carattere della musica dionisiaca e con ciò il carattere della musica in genere, la potenza squassante dei suoni, la corrente continua della melodia e il mondo assolutamente incomparabile dell'armonia. Nel ditirambo dionisiaco l'uomo è spinto al culmine di tutte le sue attitudini simboliche: qualcosa di non mai provato fa forza per venir fuori, ed è la distruzione del velo di Maia, è l'identificazione col genio della specie, anzi con la natura. Adesso l'essenza della natura si deve esprimere simbolicamente; è necessario un nuovo mondo dei simboli e non solo la simbolica della bocca, del viso, del gesto, della parola, bensì la piena mimica della danza a cui partecipano ritmicamente tutte le membra. Subito dopo irrompono impetuosamente le altre forze simboliche, quelle della musica, ritmiche, dinamiche e armoniche. Per abbracciare questo simultaneo sprigionamento di forze simboliche, l'uomo deve aver già raggiunto la suprema vetta dell'abnegazione e dell'oblio di sé, che in quelle forze simbolicamente si esprime: e perciò il servo ditirambico di Dioniso non può essere compreso che dal suo compagno servo! Con quale stupore dovettero guardarlo i Greci apollinei! Con uno stupore tanto più grande in quanto vi si mescolava l'orrore per il presentimento che ciò in fondo non gli fosse totalmente estraneo, anzi che la sua coscienza apollinea ricoprisse soltanto come un velo il mondo dionisiaco.

P. 32-33

La musica ordinata entro una morale determinata viene attribuita da Nietzsche ad Apollo, mentre una musica caotica che incita a "spezzare le membra" o a "sciogliere i legamenti" viene attribuita a Dioniso. Il passaggio che fa Nietzsche è un passaggio tutto cristiano dove la morale d'ordine è attribuita a Gesù mentre il comportamento caotico e compulsivo legato alla struttura emotiva viene associato a Satana.

Lo stesso discorso fra Apollo e Dioniso appaiono una sorta di satanismo cristiano. Immagini alle quali Nietzsche vuole associare comportamenti e stili di vita come pensati e considerati nel cristianesimo.

Tutto è ordinato in Gesù, come suoni della musica dorica, stati d'animo apollinei. In Gesù ci sono suoni morali appena accennati dall'individuo sottomesso che guarda al padrone con timore reverenziale. Era da evitare con cura, come non apollineo, quell'elemento emotivo che caratterizza la musica morale dionisiaca e con esso il carattere della musica morale, la sessualità, in genere. La potenza sessuale dei suoni che sconquassano, la corrente continua delle emozioni che attraversano la vita e il mondo incomparabile delle emozioni della vita.

Nel satanismo immaginato da Nietzsche suona il ditirambo dionisiaco e l'uomo è spinto al culmine delle sue passioni: "cosa di non mai provato – dice Nietzsche – fa forza per venir fuori, ed è la distruzione dell'illusione di un mondo razionale identificabile col Genio della specie o con la Natura stessa".

Il Gesù di Nietzsche, Apollo, ha imbrigliato la forza della natura umana e tale forza non si può più esprimere nel reale, ma solo come simbolo. Solo come estetica di una rappresentazione teatrale in cui viene mostrata agli spettatori ma si impedisce agli spettatori di diventare attori della propria esistenza. Rappresentazione simbolica nella mimica o nella danza, ma non coinvolgimento nella vita.

Gli spettatori devono essere costretti a perdurare nel dolore perché le loro emozioni non possono dispiegare tutta la loro potenza nella quotidianità, Devono desiderare di farlo. Il desiderio deve essere bloccato e lo si blocca mediante la rappresentazione simbolica in cui gli spettatori compartecipano psicologicamente ad una rappresentazione della veicolazione dei loro desideri dalla quale loro sono esclusi nella vita reale.

Gli spettatori appaiono a Nietzsche come servi sottomessi, coinvolti in una musica ritmica, dinamica, armonica. Sono come servi del "padrone" che hanno annientato sé stessi e hanno sviluppato abnegazione nella schiavitù. Dice Nietzsche che solo lo schiavo che ha annientato sé stesso in una totale abnegazione può capire un altro schiavo coinvolto nelle dinamiche emotive dionisiache.

Eppure i Titani a Dioniso spezzano le membra o, se preferite, sciolgono i legamenti della forma e della ragione. Questo trasforma Dioniso in un dio e, certamente, l'uomo rinchiuso nella ragione, che Nietzsche identifica come "apollineo", vive un sentimento di separazione e di cacciata da un mondo, la sua trasformazione in un dio, che avrebbe potuto essere, ma che lui si è negato.

L'osservatore, lo spettatore, osserva il coinvolgimento emotivo della scena dionisiaca in cui le emozioni si manifestano in maniera sfrenata e lo assale da un lato la malinconia di non essere parte della scena e dall'altro lato la difesa della propria separazione che Nietzsche identifica con la condanna morale della lussuria sfrenata.

La separazione che Nietzsche vive come spettatore apollineo di uno spettacolo dionisiaco viene vissuta con una sofferenza autodistruttiva.

Scrive Nietzsche:

Per capire tutto questo, dobbiamo abbattere pietra per pietra l'edificio estetico della civiltà apollinea, fino a poter vedere le fondamenta su cui è costruito. In primo luogo vi troviamo le figure solenni delle divinità olimpiche che stanno sul frontone dell'edificio e le cui gesta sono rappresentate in bassorilievi. Fra di esse Apollo sta come una divinità accanto alle altre, senza pretendere il primo posto, ma questa sua posizione non deve trarre in errore. Lo stesso istinto che si è incarnato in Apollo, ha partorito tutto il mondo olimpico, e in questo senso si può dire che Apollo sia il padre di tutti. Quale fu il bisogno prodigioso dal quale scaturì la splendente compagnia delle creature olimpiche?

Chi si accosta agli Olimpici con un'altra religione nel cuore, chiedendone altezza morale, anzi santità, spiritualità incorporea e amorevolezza misericordiose, presto volterà le spalle disanimato e deluso. Nulla qui richiama l'ascetismo, la spiritualità, il dovere: qui non vediamo che una lussureggiante esistenza, in cui ogni cosa non sia visibile, non importa se buona o se cattiva, è deificata. E dunque lo spettatore deve fermarsi davvero stupito davanti a questa straordinaria effusione di vita, domandandosi quale sia stata la magica pozione bevuta da quegli uomini sfrenati per poter talmente godere della vita, sicché dovunque loro volgano gli occhi a loro sorrida Elena, l'immagine ideale della loro propria esistenza, «librata nella dolcezza della sua semplice apparenza».

Pag. 33-34

L'edificio della razionalità che forma l'apparenza esistenziale in cui Nietzsche ha rinchiuso le sue modalità con cui affrontare la vita, deve essere abbattuto per accedere alla vita stessa e alle forze con cui questa si esprime.

Il primo mattone che Nietzsche vuole abbattere sono "le figure solenni delle divinità olimpiche".

Queste divinità per Nietzsche stanno sul frontone, come bassorilievi, figure di contorno, dell'edificio che vuole abbattere. Gli Dèi Olimpi non sono "ciò che Nietzsche è", ma sono un oggetto diverso da sé, oggetti esterni che si rappresentano in simboli estetici di una raffigurazione apollinea della sua esistenza.

Nello sforzo di identificarsi con Gesù, Apollo nella sua idea, Nietzsche non può ritenersi un "un DIO fra DEI", ma il signore e padrone degli DEI! Un po' come il dio padrone dei cristiani. Nietzsche parte dall'ideologia religiosa cristiana per osservare gli Dèi. Vede gli Dèi come degli estranei e proietta su Apollo l'immagine di un Gesù che vorrebbe, anziché quello che è, ed agisce di fronte agli Dèi come il dio padrone cristiano che giudica un mondo che calpesta ed umilia.

Il principio maschile della vita, Apollo, si generò da un insieme di Dèi e di Titani e tale spirito, con Artemide, si calarono nella Natura come potere maschile e potere femminile dando vita ai bisessuati e alla relativa diversificazione delle specie che ha nel Titano Latona la forza dirompente della vita. Nei figli di Zeus la forma e le condizioni in cui la vita si veicola e la costruzione della coscienza del soggetto che si arricchisce nel corso della vita, ha la volontà figlia di Latona. Sia quando questa volontà si lega ad Artemide sia quando si lega ad Apollo.

L'insieme di forze che forgiano la vita viene ignorato di Nietzsche che separa sé stesso, come creatore degli Dèi, identificandosi con Apollo che sottomette gli Dèi pensandoli come figli, un prodotto, di Apollo.

Fatta questa operazione di riduzione al semplice di una realtà complessa che annebbia la capacità di giudizio del reale, Nietzsche si chiede "quale fu il bisogno prodigioso dal quale scaturì..." questo annebbiamento che separa Apollo dall'insieme di cui Apollo è parte. Atena non è Dioniso. Ares non è Dioniso. Demetra non è Dioniso. Estia non è Dioniso e nemmeno Ade o Poseidone. E nessuno di loro è Apollo e Apollo non è nessuno di loro.

E allora perché Nietzsche si pone una domanda la cui risposta sta solo nella sua soggettività? E' come quando un cristiano afferma che il suo dio padrone ha creato il mondo e che, anziché motivare e giustificare la sua affermazione, chiede ai suoi interlocutori "Quale fu il bisogno prodigioso dal quale scaturì l'idea di dio di creare il mondo?". La stessa operazione la fa Nietzsche. Data un'interpretazione soggettiva di un reale immaginato, chiede all'interlocutore da qual mistero sorge tale realtà.

Gli Dèi Olimpi sono la vita che si dispiega nella Natura. Voler applicare le regole morali e sociali di religioni che negano la vita e negano la centralità della Natura da cui anche l'uomo è divenuto trasformandosi prodotto di essa, significa voler negare sia l'uomo che la natura e la vita. Non si può vedere distruzione della vita nelle trasformazioni della vita: questo lascia Nietzsche sgomento.

L'ascetismo è separazione dell'individuo dalla vita; la vita è relazioni e l'ascetismo è negazione della vita. La vita è espansione di sé stessa mediante l'espansione di ogni singolo soggetto che la manifesta, Dèi Olimpi compresi. Il dovere, all'interno della vita, è relativo a sé stessi. Pretendere di mettere un padrone alla vita per imporre alla vita sottomissione mediante dei doveri è un atto illusorio di chi lo immagina e un atto criminale nel presente in cui agisce.

Il cristiano deve fermarsi davanti alla vita stupito dal fatto che questa non solo lo ha manifestato, ma non corrisponde alle sue illusioni morali o etico-sociali. Il cristiano, sottomesso al suo dio padrone che vive il dolore di un'esistenza davanti alla quale è stato disarmato, si stupisce degli uomini che vivono del piacere della vita, che alimentano le relazioni e le condizioni di appartenenza al punto tale da costringere Nietzsche a vedere Elena sorridere.

Nietzsche vorrebbe trovare il dolore, la sofferenza fra gli uomini. Immagine gli spettatori della rappresentazione dionisiaca alzarsi e andarsene in una disperata ricerca dell'annullamento di sé stessi perché incapaci e impotenti di affrontare la vita e il suo eterno gorgogliare e scorrere in un infinito che Nietzsche coglie come un abisso.

Scrive Nietzsche:

Ma a questo spettatore, che già volge le spalle, dobbiamo rispondere: «Non andartene, e ascolta invece quanto la saggezza popolare dei Greci dice di questa vita che ti si stende davanti con una serenità tanto inesplicabile. Racconta l'antica leggenda che il re Mida aveva un giorno lungamente inseguito nella selva il savio Sileno, il compagno di Dioniso, senza poterlo afferrare. Quando finalmente lo ebbe fra le mani, il re gli chiese quale fosse per gli uomini la cosa migliore e preferibile. Il demone taceva rigido e immobile, finché, costretto dal re, proruppe in una risata stridula con queste parole: «Stirpe misera ed effimera, figlia del caso e dell'ansia, perché mi costringi a dirti quello che non potrà esserti di nessun giovamento sentire? La cosa per te migliore ti è del tutto impossibile raggiungerla: non essere nato, non essere, non esser nulla. La seconda cosa migliore, dopo questa irraggiungibile, è di morir subito ... ».

In quale rapporto vediamo questa saggezza popolare e il mondo degli dei olimpici? Nello stesso rapporto che si ha fra il martire suppliziato e la sua visione estatica.

Ecco, davanti a noi si apre la montagna incantata dell'Olimpo, che finalmente ci mostra le sue radici. Il greco conosceva e provava gli orrori e gli spaventi dell'esistenza: precisamente per poter vivere egli dovette porsi dinanzi la splendente creazione del mondo olimpico.

Pag. 35

Mentre il cristiano, davanti agli Dèi Olimpi è sgomento incapace di prendere decisioni per la propria vita senza ordini di un dio padrone, Nietzsche lo rassicura. Calmati cristiano, dice Nietzsche e guarda quanta saggezza popolare di questa vita hanno i greci che ti si stende davanti con la serenità dell'obbedienza e della sottomissione.

L'obbedienza e la sottomissione implicano la rinuncia di espandere sé stessi nelle condizioni dell'esistenza. Nell'obbligo di obbedire, come socialmente imposto e la necessità di veicolare il proprio sistema pulsionale nel mondo, sta la costruzione del dolore che annienta il cristiano davanti alla vita. Il cristiano, così annientato e sofferente, esalta il proprio dolore sublimandolo nell'ideale del dolore di Gesù.

A Nietzsche non resta che raccontare la "saggezza della disperazione". Si narra che Sileno figlio di Pan fosse il precettore e l'istruttore di Dioniso. Plutarco usa Sileno per raccontare il dolore a Mida.

La vita degli Esseri della Natura, di ogni Essere della Natura, è il cammino di chi, sfida dopo sfida, trasforma la sua forma fisica nel dio che nascerà dopo lo smembramento dei Titani. La sfida, la relazione fra ognuno di noi con ognuno di noi non comporta dolore, solo piaceri e asperità che vengono superati mediante gli Dèi che si fanno "regole" o "metodi" con cui alimentare quel dio dentro di noi. Atena, Ares, Estia, Ilizia, Giunone, Era, Demetra, Ade, ecc. sorgono di volta in volta dentro di me mentre affronto le relazioni che vivo nella mia vita. Questi Dèi, quando si esprimono dentro di me, tendono ad essere totalizzanti ed io devo riuscire a passare dall'uno all'altro a seconda delle condizioni che quotidianamente affronto.

Il cristiano ha terrore degli Dèi. Per lui demoni lussuriosi si agitano dentro di lui. Il cristiano usa la volontà per combatterli, reprimerli e allontanarsi dal consesso sociale in un isolamento emotivo che distrugge la sua esistenza. Per il cristiano, distruggere la propria esistenza è un dovere perché ogni volta che costruisce una relazione che non sia col suo dio padrone, entra in sofferenza e il cristiano rimedia alla sofferenza vissuta con la violenza della strage, del genocidio, del delitto con cui mette in atto azioni di prevaricazione rispetto all'altro e a tutti i suoi simili. Egli è il dio padrone e come tale non tollera che altri costruiscano delle relazioni con lui a meno che lui non sia il padrone di altri come immagina sia il suo dio padrone.

Per il cristiano la vita si incarna nella sofferenza della croce a cui deve condannare tutta l'umanità. Quando l'umanità reagisce, il cristiano si ritira nella sofferenza intima e desidera di non essere mai nato. In quel desiderio di non essere mai nato condanna la società distribuendo dolori alle persone affinché non alimentino, evocandoli, gli Dèi dentro loro stessi.

Nietzsche non si avvede dell'incongruenza nel racconto di Plutarco sulla vicenda di re Mida e Sileno. Re Mida, come il suo Gesù, ha fatto la stessa scelta: poteva dare la caccia alla saggezza e, invece, ha dato la caccia al saggio per appropriarsi dell'uomo saggio. Poteva scegliere di sviluppare la propria saggezza e invece ha scelto di catturare altri uomini che riteneva saggi e trasformali in schiavi al fine di disporre della loro saggezza. Ha scelto di rubare anziché di costruire.

Mida è un personaggio di cui si raccontano aneddoti autodistruttivi, come quello in cui ciò che tocca si trasforma in oro finendo per morire.

Mida, incapace di dare la caccia alla saggezza ha dato la caccia a Sileno e Sileno parla a Mida, alla sua disperazione al suo bisogno di gloria e di potere che annienta tutta la sua esistenza. Sileno parla a Platone, parla al cristiano, parla agli Stoici: "Stirpe misera ed effimera, figlia del caso e dell'ansia, perché mi costringi a dirti quello che non potrà esserti di nessun giovamento sentire? La cosa per te migliore ti è del tutto impossibile raggiungerla non essere nato, non essere, non essere nulla. La seconda cosa migliore, dopo questa irraggiungibile, è di morir subito..."

Sileno non sta parlando in generale, da come riporta Nietzsche, sta parlando a Mida: alle scelte esistenziali fatte da Mida con cui Nietzsche si identifica.

Sarebbe stato meglio che Mida non fosse mai nato dal momento che ha usato la sua esistenza non per cercare la saggezza, ma per catturare o circuire coloro che hanno cercato la saggezza. Cosa avrebbe risposto alla stessa domanda Sileno se a porla non fosse stato Mida ma un uomo che per la saggezza non era disponibile a possedere altri uomini perché la coltivava come un suo modo di affrontare la vita? Forse quest'uomo non avrebbe mai fatto la domanda a Sileno perché la saggezza sta nel vivere e la cosa migliore è vivere, non chiedere il migliore di un oggetto esterno a sé chiamata "vita". Chi fa la domanda si è estraniato dalla vita.

La dissoluzione nel nirvana è la soluzione della vita del cristiano: nulla oltre lo smembramento dei Titani. Lo smembramento dei Titani mette fine alle sofferenze da fallimento del cristiano.

Qual è il rapporto della "saggezza popolare", come la chiama Nietzsche, con gli Dèi Olimpi? Gli Dèi Olimpi, alimentati dall'uomo, portano l'uomo oltre la soglia dello smembramento dei Titani. Dopo aver trasformato la vita in un percorso di costruzione della conoscenza e del piacere, che tanta paura genera in Nietzsche, aprono a quest'uomo e a questa donna le porte dell'Olimpo.

L'Olimpo, la montagna incantata che l'Essere della Natura scala scelta dopo scelta nel corso della sua vita. L'Olimpo, la montagna incantata dove la partecipazione nella vita e la lussuria sfrenata sono appigli attraverso i quali l'uomo si trasforma in un dio. Quel divino Apollo che incocca la freccia presentandosi agli Dèi per essere accolto dopo le sue azioni coraggiose.

Quanta paura incute in Nietzsche la montagna dell'Olimpo. Quanta paura di doverla scalare scegliendo nella propria vita senza dover o poter obbedire ad un dio padrone che dettando le sue regole morali lo rassicura da bravo schiavo.

La montagna incantata dell'Olimpo mostra agli uomini la via per diventare Dèi fra Dèi!

Quale greco conosceva gli orrori e gli spaventi dell'esistenza?

Per costruire la paura dell'esistenza era necessario l'arrivo di Socrate che preferiva la morte alla vita mentre il mondo Olimpo, prima che Platone trasformasse gli Dèi in idee, indicava la via del coraggio con cui affrontare la vita. Poi venne Platone e rassicurò gli uomini falliti con la reincarnazione. Poi venne il cristianesimo e prese la trasformazione della morte del corpo fisico in nascita del corpo luminoso trasformandola nella resurrezione del suo dio padrone al quale sacrificare la vita e il futuro degli uomini. Dalla prospettiva di vivere questo sacrificio, di cui Nietzsche si pensa la vittima già sacrificata, Nietzsche proietta sul mondo greco le sue paure, i suoi terrori di persona educata nel fallimento cristiano che sogna un'onnipotenza esistenziale con cui dissetare il proprio spirito.

Sileno descrive l'unica possibilità per Mida: meglio per lui sarebbe non essere mai nato. E questo stato migliore per Mida è lo stato che Sileno indica ad ogni cristiano che non ha risposto al richiamo degli Dèi. Gli Dèi hanno chiamato uomini e donne a partecipare alla battaglia della loro vita, alla battaglia di Ilio, ma il cristiano ha rifiutato preferendo rifugiarsi nell'obbedienza e nella sottomissione ad un padrone portando sé stesso e i propri figli alla distruzione della loro esistenza: ora capiamo la fonte del dolore del cristiano! Ora capiamo Sileno.

Per il lavoro, le citazioni sono tratte da:

Friedrich Wilhelm Nietzsche, La nascita della tragedia, scritto 1872 Pubblicato da Orsa Maggiore Editrice 1993

Marghera, 14 giugno 2014

 

Teoria della Filosofia Aperta - Volume tre (alle pagine sulla Nascita della Tragedia)

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Marghera, 14 giugno 2014

Claudio Simeoni

Meccanico

Apprendista Stregone

Guardiano dell'Anticristo

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e-mail: claudiosimeoni@libero.it

La Teoria della Filosofia Aperta

Le idee si presentano alla ragione come dei lampi intuitivi. Illuminano per un attimo la ragione e poi tendono a sparire annullate da una ragione che tende a riprendere il controllo sull'individuo. Le idee sono un'emozione che insorge con violenza dentro di noi e modifica la nostra descrizione del mondo, una descrizione che la ragione tende a ripristinare ma che l'emozione ha definitivamente compromesso. Una nuova descrizione, una nuova filosofia emerge dentro di noi e noi, qualunque sia il nostro grado di cultura, dobbiamo comunque confrontarla con la cultura del mondo in cui viviamo.