Umberto Galimberti (1942 - vivente)

Le condizioni del Mito - capitolo uno

di Claudio Simeoni

Cod. ISBN 9788827811764

La Teoria della Filosofia Aperta: sesto volume

 

Filosofia Aperta - seconda parte (del volume)

Le condizioni del Mito
da "Cristianesimo, la religione dal cielo vuoto"

 

La prima obiezione che deve essere fatta a Umberto Galimberti, quando si permette di insultare il Mito, è chiedergli se è nato prima l'uovo o la gallina. Oppure, se preferisce, se la ragione con la quale sproloquia del mondo era un oggetto in essere mentre era nella pancia di sua madre.

Galimberti vive una dimensione delirante in cui viene annullato il tempo. Galimberti non conosce il tempo come oggetto in sé, ma nemmeno la trasformazione del soggetto che diviene manifestando una descrizione del mondo razionale dopo una descrizione del mondo razionale patendo dalle condizioni soggettive una volta uscito dalla vagina di sua madre. Non basta affermare la negazione della negazione se non si vive la negazione della negazione come apertura verso un futuro di rappresentazione soggettiva.

Umberto Galimberti vive una condizione delirante in un assoluto razionale che tende ad annullare ogni dato di realtà vissuto. La sua esperienza si riduce in una totale separazione dal mondo. Una condizione che lo rende estraneo al mondo e, per conseguenza, incapace di distinguere il Mito dalle farneticazioni fantastiche che vengono spacciate per mito.

Nel suo immaginario i due aspetti si confondono. I deliri non separano realtà da fantasia e alla realtà vissuta sostituisce ciò che viene proiettato sulla realtà da un individuo desiderante, ma separato dalla realtà stessa.

Afferma Galimberti:

Creando un senso adiacente rispetto al senso stabilito, il mito rivela quella potenza creativa responsabile del mutamento inconsapevole della storia. Non si deve chiedere che cosa significano i miti, perché i miti non significano, operano. Quando, a distanza, ne avvertiamo il senso, i miti si sono già allontanati e il loro posto è stato occupato dai codici che, di volta in volta, ordinano il nostro modo di vivere e di parlare. Del resto, come ci ricorda Henry Corbìn, uno dei maggiori orientalisti del Novecento, il linguaggio mitico sfugge sia allo schema concettuale, che costituisce la violenza prima di ogni commento, sia al rapimento poetico che, anche quando va al di là dell'abuso retorico, non lascia mai alle sue spalle le scansioni determinanti del discorso.

Pag. 56 di "Cristianesimo – La religione dal cielo vuoto" di Umberto Galimberti

Che cosa significa il Mito? Il significato del Mito è quanto io riesco ad usare per leggere la realtà nella quale vivo. La Terra è un Essere Vivente che esercita la sua coscienza, la sua volontà, le proprie determinazioni e i propri scopi. Non ho bisogno di misurare la Terra, di analizzarne i composti chimici, di "pensarla", io la vivo. E' dentro di me. Dentro di me c'è la sua intelligenza i suoi scopi, i suoi progetti e i tempi dei suoi mutamenti. Dentro di me c'è la Terra che scopa con Giove e con tutte le condizioni attraverso le quali nascono i viventi che costruiscono la Natura. Il Mito è questo vivere che si è sedimentato nel corso del tempo e che si agita nelle mie emozioni, nelle mie necessità d'azione, nei miei desideri in relazioni continue nel mondo. Con tutto ciò che forma il mio abitare il mondo.

Per un miliardo di anni la mia specie si è trasformata senza conoscere la descrizione chimica della Terra.

Il Mito non ha parole. Nella ragione il Mito si esprime per simboli capaci di attivare i desideri, le necessità, le emozioni e le tensioni attraverso le quali mi espando nel mondo in cui sono nato.

Zeus scopa [ha rapporti sessuali]? Il suo scopare è l'atto di costruzioni delle condizioni affinché il mondo venga in essere. Zeus scopa, fa all'amore, costruisce le condizioni per la germinazione del presente. Il far l'amore di Zeus è veicolazione del desiderio, è manifestazione di una necessità emotiva che modificando le condizioni del suo presente vissuto permette ad altre coscienze di venir in essere.

Il Mito è simbolo anche quando usa le parole per definire la realtà vissuta. Non esiste un senso stabilito, come afferma Galimberti. Il "senso stabilito" è stabilito mediante il farneticare onnipotente attraverso il quale Galimberti si separa dal mondo e, come il dio padrone onnipotente dei cristiani, "stabilisce un senso", il suo "senso", a cui pretende un riconoscimento oggettivo.

Ed è scorretta l'affermazione di Umberto Galimberti secondo cui "Quando, a distanza, ne avvertiamo il senso, i miti si sono già allontanati e il loro posto è stato occupato dai codici che…". Si tratta di un'affermazione delirante. Non è il Mito che si allontana dall'uomo che ricorre ai codici, alla descrizione mediante parole, numeri e quantità, del mondo. Piuttosto è l'uomo che si è allontanato dal mito, dal suo corpo desiderante, della sua stessa struttura emotiva cessando di percepire il mondo attraverso il suo essere nel mondo, attraverso la sua azione, per rifugiarsi in una dimensione descrittiva che nega il suo corpo desiderante e le relazioni con un mondo composto da corpi desideranti.

I corpi desideranti tacciono. Ma i corpi desideranti non si allontanano dall'uomo. E' l'uomo che ha cessato di desiderare e di veicolare il suo desiderio nel mondo per vivere una dimensione razionale di distacco dal mondo e dalla dimensione nella quale per centinaia di milioni di anni è divenuto come specie.

Le parole del Mito sono simboli perché le parole stesse assumono il ruolo di simbolo emotivo con cui presentarsi alla ragione. Non è poesia, non è retorica, è significato esistenziale che si esprime in mondi a cui la parola non ha accesso, come il mondo delle emozioni e il mondo dell'azione.

Così, l'Essere Umano che è vissuto per centinaia di milioni di anni espandendo sé stesso nel mondo delle emozioni e per centinaia di milioni di anni ha trasferito le sue emozioni, le sue necessità, i suoi desideri in azione con cui costruire le relazioni in un mondo di soggetti che vivevano di emozioni, di necessità e di desideri, si trova in una nuova condizione umana in cui le parole prendono il sopravvento sulle sue emozioni e sulle sue azioni.

Le parole, i codici, come dice Galimberti, piegano e costringono, emozioni e azioni, alle proprie descrizioni.

La ragione tende a spiegare l'una e l'altra, ma la ragione soccombe all'insorgere dell'emozione e alle relazioni emotive. Sospende il controllo sulla coscienza dell'uomo che può disgregarsi. In quel momento, emozione o azione, prendono il controllo dell'uomo che affronta la contraddizione vissuta e solo una volta superata la contraddizione, la ragione riprende il controllo riaggregando la coscienza che ha fagocitato il nuovo dall'esperienza. Nella coscienza disgregata, quell'uomo vive il Mito; il Mito che si dispiegava nell'uomo quando l'azione precede il pensato della ragione.

Scrive Galimberti:

Con l'insistenza infinita dell' onda sulla spiaggia, il racconto mitico è, nell'ininterrotta ripresa letteraria, come il ritorno della stessa onda sulla stessa riva, dove però ogni volta tutto il senso si rinnova e si arricchisce, riassumendosi in un'esperienza che, indescrivibile nella concettualità occidentale, si rivolge allo spazio dell'interrogazione, in cui però, è sempre Corbin a ricordarcelo a interrogare non siamo noi, ma il mito che già ci ha sorpreso nel dialogo dell'interrogazione su di noi e con noi. E' uno spazio che occorre rispettare senza farsi tentare dall'ambizione di esplorarlo dall'esterno o di descriverlo come solitamente si descrivono le cose, perché, quando a promuovere l'interrogazione è il mito, la domanda non è ancora abbastanza determinata perché l'ipocrisia di una risposta si sia già introdotta sotto la maschera dell'interrogazione.

Pag. 56 di "Cristianesimo – La religione dal cielo vuoto" di Umberto Galimberti.

Il Mito racconta un'immagine. L'immagine diventa emozione SOLO nei soggetti che allineano con essa le loro emozioni. Solo negli individui che abitano il mondo attraverso le loro emozioni e le loro azioni. Gli altri individui, farneticano.

Gli uomini non sono uguali, creati uguali da un dio pazzo, cretino e deficiente, come affermano i cristiani. L'uomo diviene e si trasforma, fin dalla pancia della madre, e ad ogni azione subisce un mutamento e una trasformazione negando la verità della propria rappresentazione precedente e presentando continuamente una nuova coscienza e una nuova capacità di percepire il mondo. Il Mito si colloca fra la coscienza negata e la coscienza che la nega. Lo spazio del Mito non è quello di un presente che segue un presente, ma è nello spazio fra un presente e l'altro, fra un ieri ed un oggi. Lo spazio del Mito è nella trasformazione che viene cancellata, con la sua percezione, la sua azione, le emozioni coinvolte, affinché il nuovo presente si presenti alla ragione nella restrizione con cui numeri e parole lo misurano.

Il Mito non descrive una realtà vissuta dall'uomo; il Mito descrive l'uomo che vive la sua realtà.

E' l'Essere Umano, Urano Stellato che prende coscienza nell'inconsapevole Gaia. E' l'Essere Umano, Cronos che evira Urano Stellato per mettere in moto i mutamenti delle sue trasformazioni. E' l'Essere Umano, Afrodite, Ares, Efesto, Demetra, Hera, ecc. Quando parliamo del Mito parliamo dell'Essere Umano che vive il proprio mondo, la propria vita, le condizioni della sua esistenza. Sono le azioni, sono le emozioni, che costruiscono le relazioni definite dal Mito, non il giudizio di una ragione separata dal mondo, dai suoi oggetti, dalle sue emozioni.

Il dio padrone cristiano, come Umberto Galimberti, si erge come assassino e distruttore del mondo della vita perché è separato dal modo della vita. Come Heidegger e Jaspers, attraverso la visione ontologica nella quale affermavano l'esistenza delirante del loro dio padrone, furono autori e artefici dei campi di sterminio nazisti, così Umberto Galimberti, affermando la separazione dell'uomo dal Mito e riaffermando una visione ontologica dell'esistenza si fa mandante ideologico del terrorismo di Pietro Calogero, Carlo Mastelloni, Michele Dalla Costa, Ugolini Rita con cui la visione ontologica viene imposta agli uomini mediante il terrore, la tortura e la violenza: diversa per quantità è la violenza, uguale è la sua manifestazione sociale e i suoi fini.

O l'uomo vive il Mito e si fa Mito in ogni sua azione, in ogni sua relazione vivendo nel mondo, o l'uomo farnetica attorno al Mito riempiendo il Mito di immaginazione farneticante con cui sopravvivere al suo vuoto esistenziale.

Posso conoscere gli Dèi del Mito se io divento quegli stessi Dèi del Mito. Vedremo come le farneticazioni ideologiche di un'ontologia delirante, all'uomo e alla donna che di volta in volta si faranno quel dio, opporrà l'idea platonica della "possessione diabolica" o la "possessione del dio". L'ontologia strappa all'uomo il suo essere soggetto che abita il mondo per farlo diventare un oggetto posseduto da un padrone. Un qualunque padrone.

Padrone dell'uomo è il concetto di anima di Platone: l'uomo non è sé stesso, ma è un corpo posseduto dalla sua anima che impone a quel corpo una morale criminale. Una volta che il corpo dell'uomo è schiavo della morale o della virtù della sua anima, diventa schiavo nella sua esistenza umana ed oggetto da infilare nei campi di sterminio che tanto piacciono a Galimberti.

Non conosci la Terra se nella terra non infili le mani; non conosci Efesto se non infili le mani nel fuoco; non conosci Urano Stellato se non rendi vive e non veicoli le emozioni nel mondo sospendendo la ragione; non conosci le contraddizioni se non ti fai Ares né la libertà se non ti fai Demetra.

Non conosci l'esistente se non partecipi alle trasformazioni dell'esistente modificando te stesso in un esistente che si modifica.

"Gli Dèi hanno abbandonato Umberto Galimberti e il mondo ha perso il suo incanto."[pag. 55] Dov'eri quando la schiena del lavoratore del porto si piegava dal peso? Dov'eri quando era necessario rimuovere dalla società gli impedimenti affinché le persone potessero farsi Afrodite? Dov'eri quando gli adoratori del pederasta in croce violentavano i bambini per rubare loro il futuro? Hai scelto il padrone contro gli uomini che abitano il mondo.

Dov'eri, squallido uomo che pretendevi di possedere gli Dèi, mentre gli Dèi dentro e fuori di te ti supplicavano di partecipare al gioco della vita? Dov'eri mentre le urla sotto le mura di Ilio ti mostravano contraddizioni mentre tu ti ritiravi nella follia ontologica che ti separava dalla vita e dall'esistenza trasformandoti nel dio padrone cristiano che giudicava il mondo e che pretendeva che il mondo coincidesse con la forma della tua immaginazione?

Si strugge l'ontologista del vissuto perduto. Si è erto a padrone degli Dèi e gli Dèi lo hanno abbandonato. Ha cessato di ascoltare le loro voci e si rifugia nell'angoscia di una psiche che non potendo veicolarsi nel mondo, come un dio fra Dèi, si rinchiude in sé stessa in un delirio di onnipotenza. Sorda alle voci del mondo, sorda alle stesse voci dell'uomo, della sua percezione, del suo corpo. L'ontologista si è rinchiuso in una dimensione delirante in cui egli è il dio padrone cristiano che "dal nulla crea tutte le cose" e, una volta create, le proietta come significazione del mondo in cui vive. Un'oscura prigione dalla quale emerge la violenza dell'annientamento come unico strumento per ridurre il mondo alla sua dimensione.

Non sono gli Dèi che hanno abbandonato Umberto Galimberti o Platone; sono loro che si sono separati dagli Dèi ergendosi a padroni degli Dèi. Nel farlo hanno partecipato al genocidio, alle torture, alle ingiurie a tutti gli uomini che affrontano con passione la loro esistenza.

Ci sono due tipi di uomini.

Un tipo sono coloro che si ritengono creati ad immagine e somiglianza di un dio padrone e che, come tali, si ritengono padroni di uomini o di una verità. Io sono la verità, dice Gesù, io come persona, io come tuo padrone, dice Gesù "Io sono la via, la verità e la vita" Giov. 14, 6. Lo stesso delirio è espresso da Socrate nell'apologia: "Io sono l'uomo più saggio del mondo, lo ha detto il dio, tutti gli altri uomini che "io" interrogo in giro per Atene sono delle "merde"." Apologia di Socrate.

L'altro tipo di uomini sono coloro che affrontano le condizioni e le contraddizioni dell'esistenza. Fondono le proprie emozioni con le emozioni dei soggetti del mondo, modificano sé stessi e il mondo in cui vivono.

Questa è la condizione nella quale rifletterò sui deliri di Umberto Galimberti.

Ognuno di noi è sempre responsabili delle scelte che fa. Non scegliere è scegliere. Scelte e non scelte trasformano l'uomo, generano le sue idee, modificano la sua percezione del mondo, modificano la percezione che dal suo corpo giunge alla coscienza, modificano la veicolazione dei suoi desideri nel mondo, modificano, per brevità, l'uomo, il suo corpo, le sue connessioni neuronali, la sua capacità di percepire le emozioni nel mondo e di agire nel mondo.

Non pensiamo il mondo in maniera uguale; lo pensiamo per come lo abbiamo vissuto.

Marghera 15 maggio 2016

NOTA: Le citazioni sono tratte da "Cristianesimo – La religione dal cielo vuoto" di Umberto Galimberti editore Feltrinelli 2012

 

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Marghera, 15 maggio 2016

Claudio Simeoni

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La Teoria della Filosofia Aperta

Le idee si presentano alla ragione come dei lampi intuitivi. Illuminano per un attimo la ragione e poi tendono a sparire annullate da una ragione che tende a riprendere il controllo sull'individuo. Le idee sono un'emozione che insorge con violenza dentro di noi e modifica la nostra descrizione del mondo, una descrizione che la ragione tende a ripristinare ma che l'emozione ha definitivamente compromesso. Una nuova descrizione, una nuova filosofia emerge dentro di noi e noi, qualunque sia il nostro grado di cultura, dobbiamo comunque confrontarla con la cultura del mondo in cui viviamo.