Ludwig Andreas Feuerbach – 1804 -1872

L'essenza della religione

di Claudio Simeoni

 

Cod. ISBN 9788891185808

Teoria della Filosofia Aperta - Volume tre

 

Pensare l'uomo creato o pensare l'uomo divenuto nella natura, significa pensare due modelli di uomo che non hanno nulla in comune. Non solo la loro struttura fisica è diversa, ma è diversa la struttura psichica, la struttura emotiva, il modo di pensare il mondo e la vita.

Parlare di "origine della religione" significa parlare di "origine dell'uomo". Per origine dell'uomo, in campo religioso, possiamo parlare solo di creazione dell'uomo come cristianamente intesa. Anche se noi pensiamo all'uomo attuale come una trasformazione in Homo Sapiens di una specie precedente, non possiamo parlare di "origine della religione" in quanto la trasformazione che ha portato alla nascita dell'Homo Sapiens è avvenuta su un bagaglio di conoscenze, su un bagaglio di esperienze, che si sono accumulate in centinaia di milioni di anni di trasformazioni e che si riassumono nei soggetti che, facendo un'ulteriore trasformazione, hanno dato vita all'Homo Sapiens.

Il termine religione è un termine che non è mai esistito prima dell'avvento della filosofia greca neoplatonica e stoica in quanto, fino ad allora, non c'era mai stata la necessità di separare le pratiche rituali di relazione fra l'uomo e il mondo dalle pratiche politiche, sociali e civili. Le pratiche costituivano un corpo comune e indivisibile.

Cicerone e Lattanzio si sono preoccupati di costruire il significato del termine "religione" perché costoro avevano la necessità di separare l'uomo emotivo dall'uomo sociale per poter controllare l'uomo sociale mediante il controllo della struttura emotiva.

Il pensiero sulla religione di Feuerbach si muove all'interno della trappola creazionista. Feuerbach avrebbe potuto analizzare la condizione religiosa delle persone nel suo momento presente. Il presente ricade sotto i suoi sensi ed è oggetto d'analisi. Invece ha preferito immaginare una sorta di "origine" della religione. Questa "origine della religione" non ricade sotto i suoi sensi, né è frutto di deduzioni data l'analisi del presente. L'origine della religione in Feuerbach appartiene all'immaginario collettivo che il cristianesimo ha imposto mediante la sua violenza.

Feuerbach anziché analizzare il presente e risalire le trasformazioni che hanno portato a questo presente, preferisce immaginare un passato capace di giustificare le credenze in questo presente. In Feuerbach il passato non è diverso dal presente, ma è il presente in un tempo passato che giustifica questo presente in quanto nulla è cambiato fra il presente passato e il presente vissuto.

Come Feuerbach pensa il ruolo della religione nel tempo presente, così Feuerbach immagina che le stesse ragioni fossero a fondamento di religioni passate che si sono riprodotte o evolute nella religione del presente.

Scrive Feuerbach a pag. 53-54 di "L'essenza della religione" ed. Newton 1994:

La religione - almeno originariamente e in rapporto alla natura - non ha altro compito e altra tendenza se non quella di trasformare l'essere impopolare e inquietante della natura in un essere noto, familiare, di ammorbidire alla fiamma del cuore la natura, di per se stessa inflessibile e dura come il ferro, al fine di raggiungere scopi umani - ha dunque lo stesso fine della cultura o civiltà, la cui tendenza non è altro che quella di fare della natura un essere teoricamente comprensibile, praticamente arrendevole e disposto a soddisfare i bisogni umani, con la sola differenza che ciò che la civiltà tende a raggiungere ricorrendo a dei mezzi, e invero a mezzi presi a prestito dalla natura stessa, la religione cerca invece di ottenere senza mezzi o, il che è lo stesso, con i mezzi sovrannaturali della preghiera, della fede, dei sacramenti, della magia. Quindi tutto ciò che nel progresso della civiltà del genere umano è diventato oggetto della cultura, dell' attività autonoma, dell' antropologia, era inizialmente oggetto della religione o della teologia, come ad esempio la giurisprudenza (ordalie, prove dinnanzi al cadavere, oracoli giudiziari dei germani), la politica (oracoli dei greci), la farmacologia, che ancora oggi presso i popoli primitivi è una faccenda religiosa. Senza dubbio la civiltà non riesce mai a corrispondere ai desideri della religione; poiché non può sopprimere i limiti dell'uomo che hanno fondamento nel suo essere. Così la civiltà arriva, ad esempio, fino al prolungamento della vita, ma non potrà mai arrivare fino all'immortalità. Questa rimane come un desiderio illimitato, irrealizzabile della religione.

Le religioni, dice Feuerbach, rappresentano il desiderio di arrivare fino all'immortalità. La deduzione è fatta da Feuerbach analizzando il cristianesimo e la sua promessa di resurrezione della carne in un'immortalità che si realizzerebbe con l'avvento di Gesù sulle nubi con grande potenza alla fine dei tempi.

Feuerbach non realizza che questa è un'operazione fideistica cristiana, riprodotta dall'ebraismo, dall'islam e dal buddismo. Si tratta di una malattia dell'uomo e non della funzione della religione nella vita dell'uomo. Il dominatore, il padrone di uomini per eccellenza quale fu Platone, anelava ad essere il "sapiente" padrone di uomini per l'eternità. Platone si è inventato la reincarnazione quale forma di eternità che gli consentisse di dominare nello stato presente, ma prima di Platone, prima degli ebrei a Babilonia, quest'idea non apparteneva alle religioni né alle civiltà umane.

Le religioni del dominio devono detenere una forma di premio da concedere in cambio dell'obbedienza alla propria morale, ma le religioni di libertà hanno nelle scelte dell'uomo e della responsabilità con cui affronta la vita, il premio in sé stesso. Nelle religioni di libertà il premio è la scelta, nelle religioni di possesso il premio è elargito dalla religione in cambio dell'obbedienza e della sottomissione.

Feuerbach ritiene che l'obbiettivo dell'immortalità, offerto dalla religione, sia un obbiettivo ragionevole, razionale, come se fosse ovvio che tutte le religioni promettono la stessa cosa o come se l'immortalità fosse un'aspirazione naturale umana e non fosse indotta dall'angoscia esistenziale imposta mediante l'educazione. Feuerbach non conosce nessun altro modo in cui vivere e ritiene naturale l'aspirazione all'immortalità e alla giovinezza eterna che mediante l'angoscia sono imposti dal cristianesimo.

L'angoscia imposta dall'educazione a Feuerbach lo fa fuggire dall'unica felicità inevitabile: la morte del corpo fisico. L'educazione cristiana ha trasformato la felicità della morte del corpo fisico in un'idea di disperazione, esattamente come ha trasformato il parto in dolore. Feuerbach fugge dalla realtà: la morte del corpo fisico è un momento di felicità umana. E' una felicità da costruire giorno dopo giorno vivendo con passione. Il cristianesimo distrugge questa costruzione di felicità imponendo all'uomo di vivere per sottomissione e angoscia. Quando la disperazione avvolge l'individuo e l'angoscia esistenziale supera il livello di sopportabilità, l'uomo ricerca la sua felicità nel suicidio.

L'arte della religione monoteista è quella di diffondere l'angoscia senza che la maggior parte dei fedeli superi il livello d'angoscia in cui andrebbero a cercare il proprio suicidio. L'arte del cristianesimo, dell'ebraismo, dell'islam e del buddhismo è quella di mantenere i propri fedeli sufficientemente angosciati da dover rimanere nella fede per attenuare il dolore dell'angoscia, ma non tanto angosciati da portarli a trovare sollievo nel suicidio.

Feuerbach vuole che le persone ignorino che la religione cristiana è la costruttrice dell'angoscia nell'uomo, esattamente com'è la costruttrice della miseria sociale. Feuerbach capovolge i termini delle scelte umane per favorire la religione cristiana.

Dice Feuerbach:

La religione - almeno originariamente e in rapporto alla natura - non ha altro compito e altra tendenza se non quella di trasformare l'essere impopolare e inquietante della natura in un essere noto, familiare, di ammorbidire alla fiamma del cuore la natura, di per se stessa inflessibile e dura come il ferro, al fine di raggiungere scopi umani -

Questa affermazione di Feuerbach è una proiezione soggettiva del suo immaginario. Feuerbach immagina sé stesso nelle condizioni in cui immagina un ipotetico antico uomo che egli definisce come "primitivo" e immagina come lui sarebbe stato senza i confort della società in cui sta vivendo.

L'uomo cristiano è un uomo andicappato nella psiche e nelle emozioni, è un individuo impotente davanti alla vita. L'uomo cristiano è un uomo capace solo a ricorrere alla violenza, alla tortura, alla prevaricazione per costruire miseria e angoscia in uomini che non si sottomettono al suo stesso padrone. In quelle condizioni di violenza ideologizzata l'uomo cristiano non ha nella sua teoria religiosa nessun mezzo e nessun sistema con cui affrontare coerentemente la propria vita e la propria esistenza. Come il macellaio di Sodoma e Gomorra macella tutti gli abitanti di Sodoma e Gomorra perché non fanno sesso come lui vuole che facciano sesso, così il cristiano non ha ragioni sufficienti per diffondere la propria morale e come il macellaio di Sodoma e Gomorra è costretto a ricorrere alla violenza criminale perché solo con la violenza criminale può imporre la propria morale.

L'uomo che Feuerbach pensa come primitivo, non ha paura della natura. Non ne è angosciato. Sa come proteggersi e sa leggere i segnali che dalla Natura giungono a lui. Quello che Feuerbach chiama "uomo primitivo" è un uomo che non ha rinunciato alla conoscenza e alla sapienza nelle relazioni fra sé e gli oggetti del mondo. E' un uomo che non si è ancora "elevato" al di sopra del proprio mondo pretendendo di essere il padrone del mondo. L'uomo che Feuerbach chiama "primitivo" è un uomo nel circuito della vita capace di leggere la vita e le sue trasformazioni in quanto parte di esse e divenuto con esse.

L'uomo primitivo si protegge dalla tempesta e dal fulmine ma conosce la tempesta e il fulmine come parte del mondo in cui è nato ed è divenuto. L'uomo cristiano ignora il mondo, ignora i segnali provenienti dal mondo e aspetta solo i segnali del proprio di padrone in un delirio di onnipotenza che lo porta ad ignorare ciò che dal mondo giunge verso di lui. L'uomo cristiano, legato al suo Dio padrone, è slegato dalla Natura. L'uomo cristiano confida nella provvidenza del Dio padrone. La madre e il padre dell'uomo cristiano hanno separato il figlio dal mondo e dalla vita; al contrario del padre e della madre dell'uomo primitivo che vivevano assieme e in compartecipazione i fenomeni del mondo e le manifestazioni della vita interpretandole in funzione del loro possibile futuro.

Quando Feuerbach scrive:

con la sola differenza che ciò che la civiltà tende a raggiungere ricorrendo a dei mezzi, e invero a mezzi presi a prestito dalla natura stessa, la religione cerca invece di ottenere senza mezzi o, il che è lo stesso, con i mezzi sovrannaturali della preghiera, della fede, dei sacramenti, della magia.

Non fa altro che estendere la separazione del cristiano dal mondo a tutti i sentimenti emotivi che l'uomo prova vivendo nel mondo. Ciò che è proprio della malattia cristiana, Feuerbach vuole che sia proprio della malattia dell'uomo.

Scrive Feuerbach a pag. 53-54 di "L'essenza della religione" ed. Newton 1994:

Nella religione naturale l'uomo si rivolge a un oggetto che contraddice addirittura la volontà e il senso vero e proprio della religione; poiché egli sacrifica qui i propri sentimenti a un essere in sé privo di sentimenti, il proprio intelletto ad un essere che, in sé, ne è privo; egli pone al di sopra di sé ciò che vorrebbe avere sotto di sé; egli serve ciò che vuole dominare, venera ciò che in fondo disprezza, implora l'aiuto proprio di ciò contro cui egli cerca aiuto. Così i greci a Titane offrivano sacrifici ai venti per calmare la loro furia; così i romani consacrarono un tempio alla febbre, per renderla innocua; così i tungusi, in tempo di epidemia, pregavano con devozione e con inchini cerimoniosi la malattia di andare oltre le loro tende (Pallas); così i widai della Guinea offrono sacrifici al mare in tempesta per indurlo a placarsi e a non impedire loro la pesca; così gli indiani, all'avvicinarsi di una tempesta o di un temporale, si rivolgono al Manitù (spirito, dio, essere) dell'aria e in occasione di un viaggio per via d'acqua, al Manitù dei corsi d'acqua perché allontani da loro tutti i pericoli; così molti popoli, in generale, venerano espressamente non l'essenza buona della natura, bensì quella cattiva o, almeno, quella che appare loro tale. Nella religione naturale l'uomo fa le proprie dichiarazioni d'amore ad una statua, ad un cadavere; nessuna meraviglia quindi che egli, per farsi ascoltare, ricorra ai mezzi più disperati e folli, nessuna meraviglia che egli si disumanizzi per rendere umana la natura, che egli versi addirittura sangue umano per istillare in essa sentimenti umani. Così i germani del Nord credevano espressamente che "i sacrifici di sangue potessero dare voce e sensibilità umana a idoli di legno e, ugualmente, voce e la capacità di formulare oracoli alle pietre venerate nei luoghi dei sacrifici cruenti". Ma tutti i tentativi di animarla sono inutili: la natura non risponde ai lamenti e alle domande dell'uomo; essa lo rigetta inesorabilmente in se stesso.

L'idea di Feuerbach di "religione naturale" non è altro che un'estensione dell'ignoranza relazionale propria del cristianesimo. Gli uomini antichi, secondo Feuerbach, sono stupidi, ignoranti e superstiziosi. Feuerbach non si rende conto che sta riproducendo i parametri di giudizio propri dell'ideologia integralista cristiana. Quella stessa ideologia cristiana che sta procedendo da secoli al massacro di indios, nativi americani, africani e asiatici in nome di una cultura cristiana che si esprime mediante lo stupro dei bambini e il genocidio del non cristiano. Quello cristiano è un modello ideologico che nega la conoscenza in ciò che non è affermato (o si pretende che abbia affermato) cristo, il Dio padrone e la bibbia.

Feuerbach riproduce non il modello evoluzionistico darwiniano come tenta di fare Engels, ma riproduce il sistema dell'evoluzione creazionista messo a punto dai cattolici e dai filosofi positivisti in cui il "progresso" dell'uomo è una trasformazione che va dalla creazione del Dio padrone e dalla cacciata dal paradiso terrestre alla "civiltà superiore" che, in quanto civiltà superiore, macella tutti gli altri in quanto popolo eletto del padrone.

Io non pretendo che Feuerbach realizzi che tutti i viventi sono strategie diverse con cui la coscienza si arricchisce e che tutti i viventi sono variazioni su un modello unico che è germinato in un ipotetico brodo primordiale. Ciò che io pretendo da Feuerbach è la condanna del razzismo cristiano fomentato dalla bibbia e alimentato dal delirio di onnipotenza di un padrone che pretende di essere il padrone dell'uomo. Pretendo che consideri quello che chiama "uomo primitivo" come un soggetto portatore di cultura e conoscenza. Non pretendo che Feuerbach disquisisca sull'intelligenza dei pesci o sulla consapevolezza degli insetti, pretendo che non separi l'uomo dal mondo in cui è germinato e di cui è parte, legato con tutti gli Esseri e divenuto con tutti gli Esseri. Pretendo che nel suo sistema di pensiero sia cancellato il concetto di "uomo primitivo" sinonimo di "stupido"e non attribuisca all'uomo antico tutte le paure e le angosce che il terrorismo cristiano impone ai bambini al fine di imporre la fede.

I cristiani si rivolgono agli idoli: gli uomini delle religioni preplatoniche si rivolgono alle forze della vita e parlano il linguaggio proprio delle forze della vita.

Questo aspetto sfugge a Feuerbach in quanto egli eleva le categorie cristiane a metodo del proprio giudizio.

Quando Feuerbach afferma:

Così i greci a Titane offrivano sacrifici ai venti per calmare la loro furia; così i romani consacrarono un tempio alla febbre, per renderla innocua; così i tungusi, in tempo di epidemia, pregavano con devozione e con inchini cerimoniosi la malattia di andare oltre le loro tende (Pallas); così i widai della Guinea offrono sacrifici al mare in tempesta per indurlo a placarsi e a non impedire loro la pesca; così gli indiani, all'avvicinarsi di una tempesta o di un temporale, si rivolgono al Manitù (spirito, dio, essere) dell'aria e in occasione di un viaggio per via d'acqua, al Manitù dei corsi d'acqua perché allontani da loro tutti i pericoli; così molti popoli, in generale, venerano espressamente non l'essenza buona della natura, bensì quella cattiva o, almeno, quella che appare loro tale.

Feuerbach ignora che tutte le manifestazioni che cita, come i venti, febbre, il mare, sono tutte consapevolezze che con la loro presenza hanno fatto sorgere la vita sul pianeta e hanno contribuito a modificare il divenuto della vita costringendola ad adattarsi in continuazione.

Il cristiano vede soltanto "la preghiera ai venti per calmarli", esattamente come lui pregherebbe il suo Dio affinché non lo ammazzi: ma è un meccanismo proprio della superstizione cristiana! Non è più importante oggi discutere se quel meccanismo psicologico ha contribuito a fissare e descrivere il comportamento della superstizione cristiana e se la superstizione cristiana, facendo proprio anche quel meccanismo, si è imposta sugli uomini. Sta di fatto che, oggi come oggi, quel meccanismo, la sua diffusione, la sua descrizione ideologica alla quale il cristianesimo impone quelle risposte, è un meccanismo proprio della religione cristiana.

Il cristiano vede soltanto "la preghiera a febbre", esattamente come lui prega il suo Dio padrone di salvarlo con il miracolo dalle malattie: è un meccanismo proprio della religione cristiana!

I missionari cristiani imposero ai nativi americani Manitù in modo da avere un Dio unico creatore in cui incarcerare le idee religiose dei nativi nord-americani. Lo attribuirono alla loro cultura, lo imposero mediante la violenza e in questo modo aprirono lo spazio psico-emotivo da i nativi americani per imporre la fede nel loro Dio padrone: il macellaio di Sodoma e Gomorra creatore e padrone del mondo che a loro era consentito chiamare "Manitù". A Feuerbach non interessa il fatto che i missionari cristiani mediante la violenza abbiano manipolato le concezioni culturali degli altri popoli: sembra che sia un diritto del popolo eletto stuprare gli altri popoli per imporre il loro Dio padrone, lo dice la bibbia.

La stessa operazione di sincretismo per distruggere le culture religiose i missionari cristiani l'hanno fatta con tutti i popoli dell'Africa e dell'Asia imponendo una serie di idee religiose di transizione fra la cultura religiosa incontrata e le necessità di sottomettere quei popoli al Dio padrone della bibbia (lo avevano già fatto con gli stoici, i neoplatonici, i germani, i celti, ecc.).

Fare il sacrificio al mare in tempesta perché si plachi è un'idea religiosa di transizione col fare il sacrificio o la messa al Dio padrone affinché plachi la sua furia che si esprime nel mare.

Le tecniche di distruzione della cultura scompagnate dalla violenza fisica fino al genocidio, sono state messe a punto dai cristiani fin dal terzo secolo d.c. e praticate dagli ebrei apocalittici e zeloti (che diventeranno poi i cristiani) fin dal primo secolo d.c. Non vederle, è una scelta culturale ben precisa da parte di Feuerbach.

Quando Feuerbach afferma:

Nella religione naturale l'uomo fa le proprie dichiarazioni d'amore ad una statua, ad un cadavere; nessuna meraviglia quindi che egli, per farsi ascoltare, ricorra ai mezzi più disperati e folli, nessuna meraviglia che egli si disumanizzi per rendere umana la natura, che egli versi addirittura sangue umano per istillare in essa sentimenti umani. Così i germani del Nord credevano espressamente che "i sacrifici di sangue potessero dare voce e sensibilità umana a idoli di legno e, ugualmente, voce e la capacità di formulare oracoli alle pietre venerate nei luoghi dei sacrifici cruenti". Ma tutti i tentativi di animarla sono inutili: la natura non risponde ai lamenti e alle domande dell'uomo; essa lo rigetta inesorabilmente in se stesso.

I cristiani fanno le proprie dichiarazioni d'amore davanti all'immagine patologica del proprio delirio di onnipotenza che proiettano su immagini, statue o principi di morte.

Ciò che fanno i cristiani, non lo fecero i popoli preplatonici.

I cristiani fanno le proprie dichiarazioni d'amore davanti all'immagine del cadavere che chiamano Gesù indicando nell'attività di ridurre gli uomini in cadavere il fine della loro attività religiosa.

Ciò che fanno i cristiani non lo fecero i popoli preplatonici.

Per quei popoli le immagini, le storie, i miti, sono simboli di un vissuto che andava ricordato per fondare il presente. Nella statua era scolpito il principio da alimentare attraverso le proprie azioni sia quando il principio coinvolgeva le singole persone sia quando erano principi collettivi che coinvolgevano una nazione o uno Stato.

Il simbolo non veniva pregato allo stesso modo con cui pregano i cristiani; il simbolo veniva evocato e ricordato, portato alla memoria e se ne rinnovava l'attenzione, affinché potesse essere praticato e vissuto. Quando la memoria del principio svaniva, svaniva anche il simbolo che lo rappresentava. E' il caso del tempio a Teseo ad Atene. Era il tempio dedicato ad Efesto. Il principio rappresentato da Efesto era un principio fondante la città di Atene. E' lo sperma di Efesto che caduto sulla gamba di Atena fa nascere il mitico fondatore di Atene.

Perché lo sperma? Perché Efesto? Perché Atena? Quando i perché vengono dimenticati e i principi non possono più essere riportati all'attenzione e alla memoria, anche il tempio del figlio di Hera viene abbandonato e dedicato a Teseo che rappresenta principi più attuali e più vicini.

A Feuerbach non interessa sapere perché gli antichi sollevavano statue agli Dèi o che cosa fossero gli Dèi per gli antichi. A Feuerbach interessa argomentare di ciò che i cristiani sostengono.

La stessa cosa vale per la "discendenza di sangue". Chi è che si è inventata la discendenza di sangue se non gli ebrei? Attraverso la discendenza di sangue gli ebrei santificano Abramo con la genealogia dei patriarchi. Attraverso la discendenza di sangue l'ebreo Giuseppe Flavio afferma di essere legittimato come gran sacerdote discendente dalla più "nobile" delle ventiquattro famiglie sacerdotali legata agli Asmonei. Discende da "Simone il balbuziente" al tempo del primo Ircano fra i sommi sacerdoti. Costui ebbe nove figli ecc. In questo modo Giuseppe Flavio, tramite l'esaltazione del sangue, si ritiene potente fra gli ebrei. Lo stesso vale per Gesù in Matteo che rivendica una linea di sangue come discendenza reale.

Perché gli altri popoli dovevano rivendicare una discendenza di sangue quando non hanno mai avuto l'idea della discendenza di sangue in quanto discendenza di sangue? Non è che il re non favorisse i propri figli, ma fino agli ebrei non era elevato a metodo. Fra i mitici re di Roma credo esista solo un caso di "figlio di re", forse Tarquinio il superbo e non divenne re perché figlio di re, ma per un colpo di Stato.

Feuerbach, come fecero molti predecessori, assume a modello dei germani i modelli imposti dai missionari cristiani. Come fu mposto il Manitù ai nativi americani, così fu imposta la discendenza di sangue di origine ebrea ai germani.

Gli stessi sacrifici "cruenti". Feuerbach non si chiede quanto di vero ci sia. I cristiani macellano i popoli per la gloria del loro Dio padrone. Ogni cristiano è convinto che tutti abbiano sempre macellato i popoli per la gloria dei loro Dèi. Ma non è vero, solo gli ebrei e i cristiani avevano questa pratica. Gli ebrei sacrificavano i loro figli al loro Dio padrone Jahve, i seguaci di Baal non sacrificavano i loro figli a Baal, usavano Baal per fortificare i loro figli. Feuerbach non si chiede quanto i cristiani e gli ebrei abbiano mentito nei loro libri sacri. Feuerbach certifica e santifica una menzogna e questa menzogna, propria di cristiani ed ebrei, diventerà fondamento di ben altre menzogne che aggredendo ogni sentimento religioso delle persone servirà a condannare ogni percorso di libertà.

I sentimenti della persona oppressa dalla discendenza di sangue o dal Dio padrone ebreo e cristiano, continueranno ad essere sentimenti oppressi perché nulla di diverso può nascere da quei sentimenti che non sia una ripetizione delle categorie religiose cristiane. Quando una persona dirà "Non è così" sarà accusata da Feuerbach di volere ripristinare il potere di dominio e Feuerbach non saprà scorgere gli impulsi di libertà che attraversano la persona i cui sentimenti sono offesi. Come i cristiani torturano le donne per far dire alle donne che cosa le donne facevano e loro erano convinti che facessero, così Feuerbach offende gli antichi per costringere gli antichi a non affermare il loro sentimento religioso contro e in opposizione alle categorie di dominio ebree e cristiane.

E' l'assoluto ebreo e cristiano che Feuerbach mette a fondamento dell'idea religiosa in generale.

Gli ebrei a Babilonia non erano schiavi come noi intendiamo oggi il termine schiavo. In quella condizione di funzionario, impiegato e artigiano a Babilonia, gli ebrei davano degli "idioti" ai Babilonesi. Loro, gli ebrei, sì che saprebbero imporre una vera schiavitù, non come i Babilonesi che invitavano i popoli ad integrarsi per formare la città.

La schiavitù che gli ebrei pensarono era la schiavitù assoluta. La schiavitù ad un Dio padrone, un Dio schiavista che poteva vantare il possesso di tutto il popolo. Questa idea di schiavitù assoluta fu imposta a Roma dai cristiani e ha guidato il significato di schiavitù, come oggi lo intendiamo, dal terzo secolo d.c. al 1850, cosa del resto che era a conoscenza di Feuerbach.

L'elaborazione di questo concetto assolutista, mai esistito prima degli ebrei, divenne il modello assoluto del Dio dei cristiani come aspirazione assoluta del potere di ebrei e cristiani.

Scrive Feuerbach a pag. 53-54 di "L'essenza della religione" ed. Newton 1994:

Come i limiti, o almeno i limiti come l'uomo se li rappresenta e li percepisce dal punto di vista della religione, come, ad esempio, il limite di non conoscere il futuro, di non vivere in eterno, di non essere felice in modo ininterrotto e incontrastato, di non avere un corpo privo di peso, di non volare come gli dèi, di non tuonare come Geova, di non poter ingrandire a piacere o rendere invisibile la propria figura, di non poter vivere come un angelo, senza bisogni e impulsi sensibili, insomma, di non potere ciò che vuole o desidera, sono limiti soltanto per la rappresentazione e per la fantasia ma, in verità, non sono limiti, poiché hanno il proprio fondamento necessariamente nell'essenza, risiedono nella natura stessa della cosa; così anche l'essere divino svincolato da questi limiti, illimitato, è soltanto un essere della rappresentazione, della fantasia e del sentimento o dell'animo dominato dalla fantasia. Ciò che quindi è oggetto della religione, si tratti pure di una conchiglia o di un sassolino, è oggetto della religione solo in quanto essere dell'animo, della rappresentazione, della fantasia. In questo ha il proprio fondamento l'affermazione secondo cui gli uomini non venerano le pietre, gli animali, gli alberi e i fiumi per se stessi, ma soltanto gli dèi presenti in essi, i Manitù, i loro spiriti. Ma questi spiriti degli esseri naturali non sono altro che le rappresentazioni, le immagini di essi, ovvero essi in quanto entità rappresentate,come esseri dell'immaginazione, a differenza di essi in quanto esseri reali, sensibili; proprio come gli spiriti dei morti non sono altro che le rappresentazioni e le immagini dei morti che non scompaiono dalla memoria - gli esseri un tempo reali in quanto esseri rappresentati, ma che per l'uomo religioso, cioè incolto, incapace di distinguere fra l'oggetto e la rappresentazione di esso, hanno il valore di esseri reali, esistenti di per se stessi. La pia, involontaria autoillusione dell'uomo religioso diventa dunque nella religione naturale una verità visibile ed evidente, poiché l'uomo fa qui egli stesso occhi e orecchi al suo oggetto religioso, sa, vede che si tratta di occhi e orecchi fabbricati, di pietra o di legno, e tuttavia crede che si tratti di occhi e orecchi reali. Così l'uomo nella religione ha gli occhi soltanto per non vedere, per essere completamente cieco ha la ragione soltanto per non pensare, per essere completamente sciocco. La religione naturale è la palmare contraddizione fra la rappresentazione e la realtà, fra l'immaginazione e la verità. Ciò che in realtà è solo una morta pietra o un tronco privo di vita, nella rappresentazione della religione naturale è un essere vivente, alla vista non è un dio, bensì qualcosa di completamente diverso, eppure nella sfera dell'invisibile, secondo la fede è un Dio. Per questo la religione naturale è costantemente in pericolo di subire le più amare delusioni, poiché basta un semplice colpo d'ascia per convincerla, ad esempio, che dagli alberi che essa venera non sgorga sangue, e che, quindi, in essi non abita alcun essere vivente, divino. Ma ora, come può la religione sfuggire a queste grossolane contraddizioni e delusioni, a cui si espone nella venerazione della natura? Solo facendo del proprio oggetto un essere invisibile, del tutto inaccessibile ai sensi, un essere che è solo oggetto della fede, della rappresentazione, della fantasia, insomma dello spirito, un essere che è dunque, in se stesso, spirituale.

Feuerbach interpreta le aspirazioni religiose degli uomini di ogni tempo come se fosse un'estensione delle aspirazioni religiose di ebrei e cristiani. Il loro assolutismo, la loro onnipotenza, frutto della malattia mentale dell'ebreo e del cristiano, viene attribuita ad ogni uomo religioso e alla aspirazione religiosa di ogni popolo. Secondo Feuerbach è più furbo indicare il Dio in un invisibile che non nell'attività dell'albero.

Ciò che è aberrazione umana vien trasformata da Feuerbach in normalità dell'espressione religiosa di ogni individuo.

In questa logica ideologica, la religione cristiana e l'ebraismo cessano di essere un'aberrazione inumana, frutto di una patologia psichiatrica, e diventano espressione culturale dell'umanità "astuta". Feuerbach, in sostanza, legittima le aberrazioni cristiane in quanto non di aberrazioni si tratterebbero, ma di idee comuni a tutte le religioni.

Feuerbach pensa che gli ideali di una relazione fra l'uomo e il mondo che, dopo Cicerone assume il nome di religione, siano:

Come i limiti, o almeno i limiti come l'uomo se li rappresenta e li percepisce dal punto di vista della religione, come, ad esempio, il limite di non conoscere il futuro, di non vivere in eterno, di non essere felice in modo ininterrotto e incontrastato, di non avere un corpo privo di peso, di non volare come gli dèi, di non tuonare come Geova, di non poter ingrandire a piacere o rendere invisibile la propria figura, di non poter vivere come un angelo, senza bisogni e impulsi sensibili, insomma, di non potere ciò che vuole o desidera, sono limiti soltanto per la rappresentazione e per la fantasia ma, in verità, non sono limiti, poiché hanno il proprio fondamento necessariamente nell'essenza, risiedono nella natura stessa della cosa; così anche l'essere divino svincolato da questi limiti, illimitato, è soltanto un essere della rappresentazione, della fantasia e del sentimento o dell'animo dominato dalla fantasia.

Per Feuerbach gli ideali della religione sono i deliri di onnipotenza propri della fede cristiana che egli vive e con cui si conforta. Anziché vedere in questo un'anomalia dell'esistenza, la considera parte dell'esistenza, manifestazione dell'individuo desiderante che si rivolge all'offerta religiosa per soddisfare i propri bisogni.

A Feuerbach sfugge che la miseria psicologica che si trasforma in patologia psichiatrica che delira per i desideri frustrati è una vera e propria costruzione nella struttura emotiva dell'uomo messa in atto dalla qualità di una risposta religiosa che si impadronisce del controllo dello sviluppo dell'infanzia. Un controllo che agisce su un doppio binario, sia come controllo della famiglia in cui vengono imposti i doveri morali di sottomissione e sofferenza ai bambini, sia della struttura pubblica che fa della sofferenza il modello da imporre all'infanzia affinché cresca malata, sofferente e bisognosa di una provvidenza emanata da un assoluto capace di illudere di modificare la condizione della propria esistenza.

I deliri di fede dei cristiani potano i cristiani a desiderare di conoscere il futuro che il loro Dio avrebbe in serbo per loro e non si chiedono se il Dio che immaginano abbia una realtà oggettiva nel significato che loro vorrebbero attribuire. Il cristiano che, fallito nella vita, vorrebbe un Dio che gli consentisse la resurrezione della carne. Proprio a lui che proprio per essere un fallito nella vita si sente tanto buono e pieno di comprensione per sé stesso e per il proprio fallimento esistenziale. Il cristiano, l'angosciato, costretto nella fede nel padrone, anela alla felicità come dono del padrone per il quale ha ucciso la propria possibilità di felicità e di eternità. Poteva costruire la propria felicità con un'esistenza da uomo libero e invece ha scelto di essere lo schiavo del proprio Dio padrone. Il delirio di Paolo di Tarso che aspettava, di lì a poco, di essere portato in cielo con tutto il corpo.

Il cristiano delira e si immerge nell'onnipotenza pensata dal suo Dio padrone. Feuerbach assolve il cristiano ed estende il delirio ad ogni religione come se i compiti di una religione fossero quelli di far delirare l'individuo sottomesso e non quelli di consentire una vita onorevole a uomini liberi. Il cristiano si genuflette umile davanti al suo Dio padrone; il contadino di Roma Antica invita Giove alla sua tavola e gli offre un bicchiere di vino. Abramo viene santificato dal suo Dio padrone perché era pronto ad ammazzare suo figlio; Giove elogia Numa perché si è comportato come un uomo e non si è prostrato.

Le religioni non sono uguali: solo ebraismo, cristianesimo, islam e buddhismo rappresentano la negazione dell'uomo, ma queste religioni non hanno una radice nel Mito, hanno la radice nel Platonismo e nell'ideale di schiavitù degli ebrei che considera l'uomo un oggetto posseduto da un'aristocrazia padrona.

Quando Feuerbach scrive:

Ciò che quindi è oggetto della religione, si tratti pure di una conchiglia o di un sassolino, è oggetto della religione solo in quanto essere dell'animo, della rappresentazione, della fantasia. In questo ha il proprio fondamento l'affermazione secondo cui gli uomini non venerano le pietre, gli animali, gli alberi e i fiumi per se stessi, ma soltanto gli dèi presenti in essi, i Manitù, i loro spiriti. Ma questi spiriti degli esseri naturali non sono altro che le rappresentazioni, le immagini di essi, ovvero essi in quanto entità rappresentate,come esseri dell'immaginazione, a differenza di essi in quanto esseri reali, sensibili; proprio come gli spiriti dei morti non sono altro che le rappresentazioni e le immagini dei morti che non scompaiono dalla memoria - gli esseri un tempo reali in quanto esseri rappresentati, ma che per l'uomo religioso, cioè incolto, incapace di distinguere fra l'oggetto e la rappresentazione di esso, hanno il valore di esseri reali, esistenti di per se stessi.

Oggetto della religione o oggetto a cui si rivolge la devozione?

L'oggetto della religione cristiana è il crocifisso; l'oggetto della devozione cristiana è la costruzione del dolore emotivo.

L'oggetto della devozione preplatonica è la qualità che emerge dalle relazioni dell'uomo col mondo; l'oggetto della religione preplatonica è il simbolo con cui l'uomo fissa e trasmette le relazioni.

Le relazioni che ha l'uomo col mondo e le trasformazioni che emergono da queste relazioni, non sono oggetto di fantasia. Sono esperienza di un vissuto che assume la forma della necessità di "collettivizzare" l'esperienza per essere trasformata in cultura mediante simboli. I simboli, fintanto che esiste il ricordo del loro significato, servono a spingere i singoli individui della comunità a vivere la medesima esperienza in cui coinvolgere le proprie emozioni.

Non si tratta di "immaginazione", si tratta di esperienza.

E' come dire, ai tempi di Feuerbach, che il gatto è intelligente assimilando l'intelligenza del gatto a quella dell'uomo. Oppure che l'elefante parla. Feuerbach avrebbe pesato il cervello del gatto e avrebbe deriso l'affermazione sull'intelligenza del gatto assimilabile all'intelligenza umana e avrebbe deriso chiunque avrebbe detto che l'elefante parla. Eppure, Kipling qualche decennio dopo Feuerbach, dimostrò che gli elefanti capivano il linguaggio umano. Oggi che sperimentatori hanno insegnato il linguaggio a gorilla e scimpanzé abbiamo un'idea diversa dell'intelligenza animale. Come nulla autorizzava Feuerbach ad attribuire agli antichi la stessa idea del mondo e della vita dei cristiani, così nulla autorizza Feuerbach a pensare che ciò di cui parlano gli antichi sia la stessa cosa di cui parlano i cristiani. Se oggi posso dimostrare che il gatto è intelligente e comprende il linguaggio umano, non posso pensare che gli antichi non ne fossero consapevoli mentre sono autorizzato a pensare che chi è educato cristianamente, come Feuerbach, non riesca a concepire che gli animali possano comunicare con l'uomo.

Il cristiano, nel suo delirio di onnipotenza, pensa che la sua vita sia eterna e pensa all'esistenza degli "spiriti dei morti". Gli antichi non avevano quest'idea dei morti. Al cristiano piace pensare che sia così. In questo modo il cristiano si pensa all'interno del circuito umano, ma, al contrario, la sua struttura di pensiero è inumana e il cristiano vorrebbe sottomettere la vita dell'uomo a questa inumanità, come agli "spiriti dei morti", esattamente come vuole violentare il corpo delle donne per sottometterlo alla dittatura del feto.

Il mondo è infinitamente diverso da quanto Feuerbach immagina. Per questo non analizza le diversità che stridono con la sua conoscenza del mondo ma preferisce proiettare sugli antichi dati di fantasia o dati di immaginazione là dove, negli antichi, era presente una conoscenza del mondo che il cristianesimo ha cancellato.

Per un uomo incolto come Feuerbach è impossibile distinguere una realtà che non rientri nel logos proprio del Dio padrone. per lui tutta l'esistenza della vita viene interpretata come necessaria proiezione del verbo della creazione cristiana. Il mondo e la vita viene limitata dalla ragione cristiana e dalla sua necessità di dominare l'uomo. Di questo, Feuerbach, se ne fa paladino. Feuerbach non combatte la limitazione ideologica e filosofica del cristianesimo, ma fa del cristianesimo limite in cui conchiudere la vita e la storia dell'uomo.

Quando Feuerbach scrive:

La pia, involontaria autoillusione dell'uomo religioso diventa dunque nella religione naturale una verità visibile ed evidente, poiché l'uomo fa qui egli stesso occhi e orecchi al suo oggetto religioso, sa, vede che si tratta di occhi e orecchi fabbricati, di pietra o di legno, e tuttavia crede che si tratti di occhi e orecchi reali. Così l'uomo nella religione ha gli occhi soltanto per non vedere, per essere completamente cieco ha la ragione soltanto per non pensare, per essere completamente sciocco. La religione naturale è la palmare contraddizione fra la rappresentazione e la realtà, fra l'immaginazione e la verità. Ciò che in realtà è solo una morta pietra o un tronco privo di vita, nella rappresentazione della religione naturale è un essere vivente, alla vista non è un dio, bensì qualcosa di completamente diverso, eppure nella sfera dell'invisibile, secondo la fede è un Dio. Per questo la religione naturale è costantemente in pericolo di subire le più amare delusioni, poiché basta un semplice colpo d'ascia per convincerla, ad esempio, che dagli alberi che essa venera non sgorga sangue, e che, quindi, in essi non abita alcun essere vivente, divino. Ma ora, come può la religione sfuggire a queste grossolane contraddizioni e delusioni, a cui si espone nella venerazione della natura? Solo facendo del proprio oggetto un essere invisibile, del tutto inaccessibile ai sensi, un essere che è solo oggetto della fede, della rappresentazione, della fantasia, insomma dello spirito, un essere che è dunque, in se stesso, spirituale.

E' evidente che io sono circondato dalla bellezza. Quello che mi piace lo schiamo bellezza. La bellezza che incontra il mio desiderio, io la chiamo VENERE. E quando devo costruire il simbolo di VENERE, lo faccio col bello che a me piace e in cui il mio desiderio viene veicolato.

Il simbolo diventa "una verità" che io manifesto nel mondo. Tanto più i caratteri del simbolo incontrano e stimolano le emozioni dei miei simili e tanto più quel simbolo diventa culturalmente oggettivo. Il simbolo parla da sé.

La statua l'ho fabbricata, ma non ho fabbricato le emozioni degli uomini che si riconoscono attive guardando quella statua.

Feuerbach ha occhi soltanto per non vedere la vita degli uomini, le contraddizioni che vivono, le trasformazioni che attraversano.

Feuerbach si ferma alla rappresentazione del simbolo e non vede le proprie emozioni né le emozioni dei suoi simili che si attivano alla vista di quel simbolo o che si identificano in quel simbolo. Qual è il significato della Falce Dentata che Gaia forgiata per Cronos? Feuerbach vede solo l'arma con cui evirare suo padre, il Pagano vede in essa la rivendicazione di Cronos per far nascere i suoi figli che si trasformano nel tempo. Che forse Feuerbach non si è trasformato nel tempo passando dallo stato di feto a quella di bambino e maturando a poco a poco in età adulta? E allora perché continua a pensare al mondo come se fosse stato creato ad immagine e somiglianza del suo Dio padrone?

L'uomo che non si fa emozionare dagli oggetti del mondo è un uomo completamente sciocco che ferma la sua attenzione alla forma che deve essere al servizio della propria onnipotenza.

Feuerbach non conosceva gli effetti della plasticità cerebrale scoperta recentemente dalla scienza. Tuttavia la plasticità cerebrale come adattamento della percezione dell'uomo alle condizioni di vita necessarie, è sempre stata in atto nell'uomo facendo scorgere all'uomo una realtà che la fissità cristiana dell'attenzione in Feuerbach impedisce di scorgere. Così da cristiano fondamentalista, Feuerbach afferma:

Così l'uomo nella religione ha gli occhi soltanto per non vedere, per essere completamente cieco ha la ragione soltanto per non pensare, per essere completamente sciocco.

E non si rende conto di essere lui lo sciocco che tenta di appiattire la percezione umana al proprio divenuto e alla propria assolutezza. Feuerbach eleva sé stesso a modello di percezione universale dell'uomo. Un uomo che agli occhi di Feuerbach appare sciocco quando percepisce una realtà diversa da quella percepita da Feuerbach.

Feuerbach non scorge l'intelligenza e la consapevolezza nelle trasformazioni in milioni di anni della specie e nelle decine di anni di vita dell'albero che ha davanti. Scorge solo la quantità di legna che può tagliare per scaldarsi in un freddo inverno. E' una sua scelta, ma è la scelta dello sciocco che si è separato dalla vita.

Scrive Feuerbach:

La religione naturale è la palmare contraddizione fra la rappresentazione e la realtà, fra l'immaginazione e la verità. Ciò che in realtà è solo una morta pietra o un tronco privo di vita, nella rappresentazione della religione naturale è un essere vivente, alla vista non è un dio, bensì qualcosa di completamente diverso, eppure nella sfera dell'invisibile, secondo la fede è un Dio. Per questo la religione naturale è costantemente in pericolo di subire le più amare delusioni, poiché basta un semplice colpo d'ascia per convincerla, ad esempio, che dagli alberi che essa venera non sgorga sangue, e che, quindi, in essi non abita alcun essere vivente, divino.

Scorgere gli Dèi e le coscienze di sé nel mondo è una contraddizione solo per i cristiani che, come atei, pensano a sé stessi come rappresentanti del Dio padrone in terra e padroni della Natura. Solo loro sono coscienti e consapevoli. Per i cristiani animali e piante agiscono per istinto o per riflesso, non per intelligenza.

So perfettamente che il simbolo con cui rappresento il principio religioso è una pietra o un pezzo di legno (al di là di come lo modello), ma il principio religioso che voglio rappresentare guida le mie azioni e le mie scelte e il simbolo rende collettivo quel principio. Anche uno scritto è solo un po' di inchiostro su un pezzo di carta, come il simbolo, lo scritto ha dei contenuti che vanno oltre la carta e l'inchiostro.

Il principio che rappresento è un DIO, non l'oggetto con cui io richiamo il ricordo. L'albero è un Dio che costruisce sé stesso nell'infinito. Con l'ascia distruggo l'albero; con un colpo di pistola distruggo un uomo. Quella coscienza cessa in quella forma, ma non è la forma il dio, è la sua coscienza. Ed è una coscienza che vive per sé stessa con la quale ricevo piacere nelle relazioni, non è il Dio onnipotente che fulmina chi usa l'ascia. E' il Dio che vive e abita il mondo costruendo le relazioni con ogni soggetto del mondo. L'ascia distrugge il soggetto, rende triste le mie emozioni qualora quel soggetto entrava in relazione con me, ma io non mi aspettavo che quel soggetto ti fulminasse, mi aspettavo che tu da quel soggetto traessi piacere e invece hai trasformato in deserto ciò che prima era un bosco. Lo so che dall'albero non sgorga sangue, ma sgorgano emozioni. Lo so che nell'albero non abita nessun essere "divino", è l'albero l'Essere Divino che il tuo disprezzo ha abbattuto senza considerare se abbatterlo ti era effettivamente utile.

Hai semplicemente ucciso un mio amico. Un amico che accarezzava le mie emozioni e mi offriva conforto nelle contraddizioni della vita. Anziché trarne tu stesso beneficio hai voluto dimostrarmi come tu, con l'ascia e col tuo esercito, potevate distruggerlo. E' questo che Feuerbach non capisce. Ci vorranno oltre 100 dopo Feuerbach prima che la scienza scopra che un albero è un insieme di emozioni che comunicano e che si legano al mondo che lo circonda, ma sarebbe bastato che Feuerbach fosse uscito dall'assolutismo cristiano liberando le proprie emozioni nel mondo e non era necessario aspettare la scienza per ricevere piacere dalle emozioni nel mondo. E' il motivo per cui gli antichi avevano i Boschi Sacri, ma in questo Feuerbach vede solo uno spreco di legna che si potrebbe ardere.

Scrive Feuerbach:

Ma ora, come può la religione sfuggire a queste grossolane contraddizioni e delusioni, a cui si espone nella venerazione della natura? Solo facendo del proprio oggetto un essere invisibile, del tutto inaccessibile ai sensi, un essere che è solo oggetto della fede, della rappresentazione, della fantasia, insomma dello spirito, un essere che è dunque, in se stesso, spirituale.

Gli Dèi non sono inaccessibili ai sensi, sono separati dalla descrizione della ragione. Gli Dèi non sono oggetti della fede. La fede, intesa come effetto della malattia di sottomissione educazionalmente imposta, può manifestare solo una condizione psicologica illusoria nella quale veicolare le pulsioni che sono impedite nelle relazioni quotidiane.

Le pulsioni dei soggetti, anziché essere veicolate nelle relazioni con i soggetti del mondo, vengono veicolate all'interno di un oggetto immaginario descritto mediante la fede. Proprio perché tale oggetto è descritto mediante le fantasie può essere considerato dalla ragione. Gli effetti della fede altro non sono che i guardiani della ragione che impediscono alle pulsioni dell'uomo di veicolarsi nel mondo. Questi effetti sono "l'oscurantismo della ragione" contro cui agì la Rivoluzione Francese.

La patologia psichiatrica stacca l'individuo dalla realtà vissuta e lo chiude nell'illusione, nel delirio allucinatorio, nell'attesa speranzosa della realizzazione del proprio oggetto con cui descrive la propria fede.

Questo è il cristianesimo. Gli Antichi riconoscevano gli Dèi nelle azioni e nelle pulsioni che costruivano delle relazioni fra sé e il mondo. Così nella crescita vedevano l'azione di Cerere e Demetra, nel desiderio emotivo vedevano l'espressione di Venere, nel furore della guerra vedevano Bellona, Ares ed Efesto, nella casa vedevano la stabilità di Vesta, ecc. Gli Dèi formavano il mondo sacro in cui vivevano.

Trovare gli Dèi nelle azioni del mondo non significa aver fede negli Dèi, significa vivere con passione la propria condizione di uomini in una società nelle cui azioni si individuavano le azioni degli Dèi. Noi stessi, quando agiamo nelle nostre condizioni di vita, esprimiamo questo o quel dio.

Le religioni degli Antichi erano tutte religioni senza fede che interpretavano la realtà nella quale gli antichi vivevano. La Religione Pagana è una religione senza fede che interpreta, appunto, la realtà nella quale viviamo e spinge gli uomini ad agire con consapevolezza in questa realtà. La fede, invece, sottomette gli uomini. Chiede agli uomini obbedienza, sottomissione e deferenza, cosa che non era nelle Antiche Religioni.

Feuerbach per poter giustificare le proprie affermazioni inverte i termini del divenuto religioso dell'uomo. Feuerbach vive in una società legittimata dall'assolutismo del Dio padrone a tal punto da legittimare lo schiavismo e la distinzione di classe che determina privilegi e doveri degli uomini in funzione del padrone. Feuerbach ritiene l'organizzazione classista sociale una condizione naturale propria di ogni religione e partendo da questa illusione giustifica il suo non agire sociale nel suo presente. Si nasconde, come se quello stato fosse proprio di ogni altra religione ingannando sé stesso oltre che i suoi lettori.

Scrive Feuerbach:

Come l'uomo da essere puramente fisico diventa un essere politico, che si distingue del tutto dalla natura e si concentra su se stesso, così anche il suo dio, da essere puramente fisico, diventa un essere politico, distinto dalla natura. All'inizio l'uomo arriva dunque a distinguere il proprio essere dalla natura e, di conseguenza, a porre un Dio distinto dalla natura solo grazie all'unione con altri esseri umani in una comunità. In essa oggetto della sua coscienza e del suo sentimento di dipendenza diventano le potenze distinte da quelle della natura, esistenti solo nel pensiero o nella rappresentazione, potenze politiche, morali, astratte, quali la potenza della legge, dell'opinione, dell'onore, della virtù; l'esistenza fisica dell'uomo è subordinata alla sua esistenza umana, civile o morale, la potenza della natura, il potere di vita e di morte, viene ridotto ad un attributo e ad uno strumento del potere politico o morale. Zeus è il Dio del fulmine e del tuono, ma egli dispone di queste temibili armi soltanto per abbattere quelli che trasgrediscono i suoi ordini, gli spergiuri, i violenti. Zeus è il padre dei re, "di Zeus sono i re". Per mezzo del fulmine e del tuono egli sostiene dunque il potere e la dignità dei re. "Il re", si legge nel codice di Manu, "brucia come il sole gli occhi e i cuori, per questo non c'è creatura umana sulla terra che possa guardarlo. Egli è fuoco e aria, sole e luna, è il Dio delle leggi penali. Il fuoco divora soltanto colui che per noncuranza gli si è avvicinato troppo, ma il fuoco di un re, quando è adirato, divora un'intera famiglia con tutto il suo bestiame e i suoi beni. Nel suo animo abita la conquista e nella sua ira la morte." Allo stesso modo, con fulmine e tuono, il Dio degli israeliti impone ai suoi eletti di andare per tutte le strade che egli ha loro ordinato di percorrere "affinché possano vivere e prosperare e vivere a lungo nel paese".

Feuerbach ritiene che il vivere in un regime a monarchia assoluta sia una condizione propria della natura degli uomini e quando analizza le situazioni religiose da cui fa discendere la monarchia assoluta non è in grado di andare oltre nel tempo della conosciuta era cristiana che va da Platone ai suoi giorni.

In tutto questo discorso Feuerbach cita Zeus, ma non lo cita in maniera corretta. Sarebbe stato corretto se avesse detto che Callimaco ha scritto:

"Ma da Zeus vengono i re"

Callimaco, Inno a Zeus 79 ed BUR vol 1 2001 pag. 75

Callimaco, alla corte dei Tolomei, una "leccatina" al re gliela poteva dare. Il re già c'era. Il regime era monarchico e l'elogio al re da parte di Callimaco ci poteva stare. Virgilio fece le stesse cose con Augusto. Bisogna pur portarsi a casa "la pagnotta" anche se, nonostante le leccatine Callimaco non riuscì mai ad avere la direzione della biblioteca di Alessandria.

Un conto è dire che un poeta si è "arruffinato" il capo e un altro conto è che tale arruffianamento sia una concezione religiosa.

Che dice in merito allo stesso tema la Teogonia di Esiodo?

"Ciò dunque le Muse cantavano, che abitano le Olimpie dimore,
le nove figlie dal grande Zeus generate,
Clio e Euterpe e Talia e Melpomene,
Tersicore e Erato e Polimnia e Urania,
e Calliope, che è la più illustre di tutte.
Essa infatti i re venerati accompagna:
quello che onorano le figlie di Zeus grande,
e quando nasce lo guardano, fra i re nutriti da Zeus,
a lui sulla lingua versano dolce rugiada,
e dalla sua bocca scorrono dolci parole; le genti
tutte guardano a lui che la giustizia amministra
con retti giudizi; mentre lui parla sicuro,
subito, anche una grande contesa, placa sapientemente;
perché è per questo che i re sono saggi, perché alle genti
offese nell'assemblea danno riparazione
facilmente, con le dolci parole placandole;
quando giunge all'assemblea come un Dio lo rispettano
con dolce reverenza, ed egli spende fra i convenuti.
Tale è delle Muse il sacro dono agli uomini.
Dalle Muse infatti e da Apollo lungisaettante
sono gli aedi sulla terra e i citaristi,
da Zeus i re; beato colui che le Muse
amano; dolce dalla sua bocca scorre la voce;
se c'è qualcuno che per gli affanni nel petto recente di lutto
disseca nel dolore il suo cuore, se un aedo
delle Muse ministro le glorie degli uomini antichi
celebra e gli Dèi beati signori d'Olimpo,
subito egli scorda i dolori, né i lutti
rammenta perché presto lo distolgono i doni delle Dee.

Esiodo, Teogonia 75 – 103 traduzione Graziano Arrighetti ed. BUR 1999

Feuerbach avrebbe dovuto dire, stando ad Esiodo, che da Zeus e le Muse viene l'eventuale saggezza dei re. In Esiodo il soggetto è la saggezza che Zeus e le Muse donano agli eventuali re. Non è il re, come padrone, il soggetto da attribuire a Zeus.

Il re come soggetto da attribuire a Zeus viene deformato nell'interpretazione di Callimaco che non disdegna di tessere le lodi al proprio re padrone. Siamo in età ellenistica, dopo l'assolutismo di Alessandro Magno, quando Platone, colui che scrive che Socrate avrebbe dovuto essere il padrone degli uomini perché il Dio aveva detto che Socrate era il più sapiente degli uomini, diffonde l'aristocrazia come il re che possiede le persone sia in Europa che in Asia.

All'idealismo tedesco piace l'affermazione di Callimaco? Ma non è un'affermazione religiosa. Non esiste un testo sacro che sancisca il predominio del re sugli uomini. E' un desiderio di Callimaco di far piacere al suo capo. In fondo, Callimaco era il maggior poeta del suo tempo e il suo capo si sentiva onorato delle attribuzioni di Callimaco.

Detto questo, quando qualcuno vuole il possesso degli individui, come Platone o come i capi ebrei a Babilonia, si inventa un Dio padrone e creatore assoluto dal quale far discendere il proprio "diritto" di dominare gli uomini. Feuerbach vive in questo Dio padrone assoluto e anziché ritenere di vivere in un'anomalia ritiene che ogni religione, naturalmente, abbia manifestato tale tendenza.

E' proprio dell'idealismo tedesco pensare che l'origine delle civiltà sia avvenuta in India, ma è un inganno. Come è in inganno l'idea di "un inizio dell'uomo".

Quando l'uomo ha distinto sé stesso dalla natura? Ogni essere si ritiene diverso e separato dall'insieme in cui è nato, ma solo l'uomo ebreo e cristiano si elevano sopra la Natura pretendendo che la natura sia una loro proprietà. Feuerbach non fa altro che riproporre come origine dell'uomo la Genesi della bibbia:

"poi il Dio padrone disse. "facciamo l'uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza: domini sopra i pesci del mare e gli uccelli del cielo, sugli animali domestici e su tutte le fiere della Terra e sopra tutti i rettili che strisciano sulla Terra."."

Genesi 1, 26

Questo sistema che Feuerbach ha imparato fin da bambino è lo schema che riproduce proiettando sulla propria idea di religione. Tutte le religioni sono uguali perché tutte le religioni sono come le religioni della bibbia. L'inganno in cui Feuerbach ha incluso Zeus, e in questo caso non si può dire che ai suoi tempi non avesse avuto i medesimi atti che avevo io, è l'assolutismo del Dio padrone ebreo col quale stupra la qualità religiosa di Zeus per giustificare l'assolutismo cristiano e assolvere sé stesso dal reato di codardia.

L'ordine del Dio padrone agli ebrei, a differenza di quanto sostiene Feuerbach, non è quello di:

di andare per tutte le strade che egli ha loro ordinato di percorrere "affinché possano vivere e prosperare e vivere a lungo nel paese".

Ma è quello di macellare uomini donne e bambini e di rubare loro le città in nome del loro Dio padrone. E' l'ordine di macellare chiunque non si metta in ginocchio davanti a lui. Il Dio degli ebrei è il monarca macellaio per eccellenza e in quel Dio e nella sua attività di macello gli ebrei, deportati a Babilonia, hanno fondato la loro ideologia:

Quando Mosè vide che il popolo era senza freno e che Aronne lo avea lasciato sfrenarsi esponendolo all'obbrobrio de' suoi nemici, si fermò all'ingresso del campo, e disse: "Chiunque è per l'Eterno, venga a me!" E tutti i figliuoli di Levi si radunarono presso a lui. Ed egli disse loro: "Così dice l'Eterno, l'Iddio d'Israele: Ognun di voi si metta la spada al fianco; passate e ripassate nel campo, da una porta all'altra d'esso, e ciascuno uccida il fratello, ciascuno l'amico, ciascuno il vicino!" I figliuoli di Levi eseguirono l'ordine di Mosè e in quel giorno caddero circa tremila uomini. Or Mosè avea detto: "Consacratevi oggi all'Eterno, anzi ciascuno si consacri a prezzo del proprio figliuolo e del proprio fratello, onde l'Eterno v'impartisca una benedizione". L'indomani Mosè disse al popolo: "Voi avete commesso un gran peccato; ma ora io salirò all'Eterno; forse otterrò che il vostro peccato vi sia perdonato". Mosè dunque tornò all'Eterno e disse: "Ahimè, questo popolo ha commesso un gran peccato, e s'è fatto un Dio d'oro; nondimeno, perdona ora il loro peccato! Se no, deh, cancellami dal tuo libro che hai scritto!" E l'Eterno rispose a Mosè: "Colui che ha peccato contro di me, quello cancellerò dal mio libro!

Esodo 32, 25-33

Questo monarca macellaio e assassino viene pensato da Feuerbach come il modello di ogni religione, ma vediamo come, nella citazione poco sopra in Esiodo, la funzione del "re" degli antichi era una funzione sociale, magari da magistrato, come Romolo o Numa, non quella del re padrone.

Nessuna antica religione aveva al suo centro la figura del re padrone per volontà di un Dio padrone a cui tutti si dovevano sottomettere. Chi è educato nel cristianesimo, come Feuerbach, anziché rimuovere la propria educazione e il pensiero imposto tende a giustificare la propria educazione e la violenza subita affermando che "è sempre stato così".

L'inganno nell'idealismo tedesco si manifesta al quadrato quando si spacciano le civiltà indiane come "molto antiche" e i loro testi come "antichi testi". E' il caso del Codice di Manu. Un codice sociale elaborato fra il II e il I secolo a.c. con grandi influenze della filosofia platonica della Grecia. Tutto il sistema di caste, tutto il sistema di dominio, la stessa concezione del re come padrone, è una concezione Platonica che ha i suoi riferimenti nell'ebraismo e nel Dio padrone di ebrei e cristiani.

Il platonismo, giunto in India con Alessandro Magno, imporrà il modello sociale della Repubblica di Platone, quella tripartizione che qualcuno metterà a fondamento e a modello sociale di popolazione antiche provenienti dall'India.

Il Codice di Manu è una riproduzione delle idee di Platone e tutto il sistema copia l'assolutismo platonico, quello legato al demiurgo, e ha forti riferimenti con le caratteristiche di dominio e di possesso degli uomini da parte del Dio degli ebrei:

"Il re", si legge nel codice di Manu, "brucia come il sole gli occhi e i cuori, per questo non c'è creatura umana sulla terra che possa guardarlo. Egli è fuoco e aria, sole e luna, è il Dio delle leggi penali. Il fuoco divora soltanto colui che per noncuranza gli si è avvicinato troppo, ma il fuoco di un re, quando è adirato, divora un'intera famiglia con tutto il suo bestiame e i suoi beni. Nel suo animo abita la conquista e nella sua ira la morte."

Nulla a che vedere con il mito greco, romano, ittita, sumero o egiziano.

Il Dio assoluto, il padrone assoluto, viene elaborato dagli ebrei e da Platone. Le due linee sono diverse e convergono in un'unica strategia di dominio dell'uomo sull'uomo? Questo non lo posso sapere, ma sta di fatto che le due elaborazioni appaiono come indipendenti pur rispondendo al medesimo disegno criminale mascherato da filosofia.

Questo disegno criminale, in cui Feuerbach viene educato, viene usato da Feuerbach come modello della religione. Là dove il Dio di ebrei e cristiani ordina la strage, la sottomissione, l'obbedienza e la morale di morte, Feuerbach ci vede gli Dèi di Grecia che impersonavano la giustizia, la bellezza e le relazioni per costruire una città di giustizia. Là dove Manu indica nell'attività di genocidio del re, in quanto adirato, la fonte del suo essere re, Feuerbach vuole vedere l'attività delle Muse che attraverso Zeus infonde la saggezza per il buon vivere civile. Feuerbach, immerso nell'ideologia di possesso dell'uomo sull'uomo, non concepisce una religione che liberi l'uomo dalla schiavitù.

Scrive Feuerbach:

Così la potenza della natura come tale e il sentimento di dipendenza da essa svaniscono dinnanzi al potere politico o morale! Mentre lo splendore del sole acceca lo schiavo della natura al punto che egli, come il tartaro, ogni giorno lo prega: "Non uccidermi", lo splendore della dignità regale abbaglia invece lo schiavo politico a tal punto che egli si prostra dinnanzi ad essa come se si trattasse di una potenza divina che abbia il dominio sulla vita e sulla morte. Gli appellativi degli imperatori romani, anche al tempo dei cristiani, erano ancora: "Vostra divinità", "Vostra eternità". E persino oggi presso i cristiani, santità e maestà, gli appellativi e le proprietà della divinità, sono ancora appellativi e proprietà dei re. I cristiani, certo, giustificano questa idolatria politica con l'idea che il re sia soltanto il rappresentante di Dio sulla terra, e Dio il re dei re. Ma questa giustificazione è soltanto un'autoillusione. A prescindere dal fatto che il potere del re è estremamente avvertibile, immediato, sensibile, e rappresenta se stesso, il potere del re dei re è solo mediato e rappresentato - Dio viene definito e considerato come reggitore del mondo, come essere regale o, in generale, politico, soltanto là dove l'essenza della regalità influenza, determina e domina l'uomo a tal punto da assumere per lui il valore di essenza suprema. "Brahma" dice Manu "all'inizio dei tempi fece a proprio uso il genio della punizione, rivestito di un corpo di pura luce, quale proprio figlio, e anzi quale autore della giustizia penale e custode di tutte le cose create. Per timore della punizione questo universo è in grado di godere della felicità." Così l'uomo trasforma addirittura le sanzioni del suo diritto penale in potenze divine che dominano il mondo, l'ordinamento giudiziario in ordinamento cosmico, il codice penale in codice della natura. Nessuna meraviglia, dunque, che egli coinvolga nel modo più appassionato la natura nelle sue sofferenze e nelle sue passioni politiche, e faccia addirittura dipendere la continuità del mondo dalla continuità di un trono regale o di seggio papale. Ciò che per lui è importante, lo è naturalmente anche per tutti gli altri esseri, ciò che offusca il suo occhio, offusca anche lo splendore del sole, ciò che muove il suo cuore, mette in movimento anche il cielo e la terra - il suo essere è per lui l'essere universale, l'essenza del mondo, l'essenza delle essenze.

L'uomo non ha paura della natura; l'uomo non ha paura della società che costruisce. L'uomo cristiano, dopo duemila anni di costrizioni dell'infanzia viene educato alla paura. Attraverso il terrore gli si insegna la sottomissione. Si manipola la sua struttura psichica in modo che non appena esce dalla prima infanzia sia un individuo timoroso, sottomesso e deferente ad un'autorità che gli è stata inculcata. Feuerbach, anziché combattere il terrore che gli è stato imposto preferisce giustificarlo affermando che l'uomo ha sempre avuto paura e terrore fin dalla creazione. Avvalla la creazione, fa risalire alla "natura" dell'uomo ciò che sono gli effetti dell'educazione imposta.

Eppure Feuerbach conosceva molto bene le tecniche della manipolazione della struttura psichica dell'infanzia per imporre la fede, le aveva lette sulla bibbia.

"E questi comandamenti che oggi ti dono rimangano ben impressi nel tuo cuore, inculcali ai tuoi figli, parlane loro e quando te ne stai in casa tua, e quando cammini per via, e quando ti corichi, e quando ti alzi. Legali come segnale alla tua mano e ti siano come frontali tra i tuoi occhi; scrivili sugli stipiti della tua casa e sopra le tue porte."

Deuteronomio 6, 6-9

Lo splendore del Sole non ha mai accecato l'uomo. L'uomo se ne compiaceva come si compiaceva della pioggia. Non esiste uno "schiavo della natura" se non nell'immaginario dello schiavo cristiano sottomesso al suo Dio padrone. Lo schiavo cristiano sottomesso al suo Dio padrone, anziché anelare alla libertà, cerca motivi per cui altri uomini siano schiavi.

"Schiavo della Natura" è una contraddizioni in termini: la natura può costringere l'uomo a grandi fatiche di adattamento soggettivo, ma non può possedere l'uomo con tutto il suo cuore e con tutta la sua "anima". Solo un cristiano che si sottomette ad un padrone immagina che anche gli altri uomini siano sottomessi ad un padrone, magari chiamato con nomi diversi.

L'uomo non "prega" il sole perché non lo uccida.

Al contrario, l'ebreo prega il suo Dio perché non lo uccida. E' il Dio padrone degli ebrei che gordiana a Mosè di uccidere chiunque tenti di salire sul monte (Esodo 19, 12-13). Chi è educato nell'ebraismo e nel cristianesimo non è capace di chiamare quel Dio col suo vero nome di assassino o criminale. Vuole che tutte le religioni siano come la sua per poter giustificare l'omicidio e l'assassinio.

Il costretto, cristiano ed ebreo, alla fede non condanna il suo Dio padrone, ma lo giustifica esattamente come fa Feuerbach.

Gli imperatori sono tali per volontà del Dio padrone: quando mai prima di Augusto gli imperatori erano tali per volontà di un dio? Alessandro Magno va ad interrogare l'oracolo di Ammone e questi nel rispondergli premette "Figlio mio....". Alessandro si mette a urlare di essere il figlio del Dio Ammone e tormenta sua madre affinché gli riveli i particolari della relazione che ha avuto col Dio Ammone. In fondo, Alessandro Magno era un ragazzino immaturo istruito da Aristotele che si è guardato bene dal farne un uomo maturo.

Ci vuole un padrone assoluto come il demiurgo di Platone o il Dio padrone degli ebrei per avere un padrone di uomini in nome del Dio padrone: gli altri erano capi per forza loro. Sarà necessaria la Rivoluzione Francese per tagliare la testa al Dio padrone nelle vesti del re padrone in nome del Dio padrone.

Il Dio padrone uccide e massacra. Il suo vero nome è "assassino".

L'uomo fedele e prostrato, anziché chiamare questi massacri "genocidi" e perseguire penalmente il Dio padrone, trasforma i massacri in "giustizia divina" criminalizzando le vittime. Come una "giustizia del padrone" al reato di "lesa maestà" alla quale sottomettersi o da sventolare per alimentare il terrore di altri massacri a persone che non si sottomettono al Dio padrone.

Mai, prima dell'avvento delirante degli ebrei, si sono fatte guerre in nome e per conto di un dio; per sottomettere gli uomini a quel Dio. Le faranno gli ebrei. Le faranno i cristiani. Le faranno i musulmani. Le faranno i buddhisti e le faranno i bramini per imporre il sistema della tripartizione castale di Platone.

Questa è la visione che della religione ne ha Feuerbach.

Alla fin fine, Feuerbach fa un'ulteriore violenza all'uomo. Una violenza di negazione dell'evidenza pretendendo di estendere i principi del cristianesimo a modelli in cui l'umanità si è sempre dibattuta "fin dagli inizi".

Anziché affrontare ciò che rende l'uomo schiavo, Feuerbach cerca di legittimare la schiavitù dell'uomo estendendo la religione cristiana a movimento naturale della storia dell'uomo.

In questa situazione Feuerbach sarà un grande difensore dell'odio cristiano perché imputando l'odio cristiano per l'uomo ad ogni religione, ad ogni struttura emotiva che costruisce delle relazioni fra sé e il mondo, impedirà ad ogni religione di libertà di portare le società umane fuori dall'orrore in cui ebraismo, cristianesimo e Platone le hanno rinchiuse.

15 marzo 2014

Nota

Le citazioni di Feuerbach sono tratte, anche quando specificato, da:

L'Essenza della Religione di Ludwig Andreas Feuerbach da pag. 53 a pag. 59 Edizione tascabili economici Newton 1994

 

Teoria della Filosofia Aperta - Volume tre

 

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Quando un percorso sociale fallisce o esaurisce la sua spinta propulsiva, è bene tornare alle origini. Là dove il pensiero sociale è iniziato, analizzare le incongruenze del passato alla luce dell'esperienza e abbattere i piedistalli che furono posti a fondamento del percorso sociale esaurito.

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Marghera, 15 marzo 2014

Claudio Simeoni

Meccanico

Apprendista Stregone

Guardiano dell'Anticristo

Tel. 3277862784

e-mail: claudiosimeoni@libero.it

La Teoria della Filosofia Aperta

Le idee si presentano alla ragione come dei lampi intuitivi. Illuminano per un attimo la ragione e poi tendono a sparire annullate da una ragione che tende a riprendere il controllo sull'individuo. Le idee sono un'emozione che insorge con violenza dentro di noi e modifica la nostra descrizione del mondo, una descrizione che la ragione tende a ripristinare ma che l'emozione ha definitivamente compromesso. Una nuova descrizione, una nuova filosofia emerge dentro di noi e noi, qualunque sia il nostro grado di cultura, dobbiamo comunque confrontarla con la cultura del mondo in cui viviamo.