Karl von Clausewitz (1780 - 1831)

La guerra come duello in Della Guerra

di Claudio Simeoni

 

Cod. ISBN 9788891185808

 

Teoria della Filosofia Aperta - Volume tre (alle pagine su Clausewitz)

Teoria della Filosofia Aperta - Volume tre

 

La guerra come un duello ingrandito.

 

La vita è un percorso che va dalla nascita del corpo fisico alla morte del corpo fisico.

La vita ha come scopo del singolo individuo la conquista della costruzione del proprio corpo luminoso che si realizza, attimo per attimo, nelle condizioni che nascendo abbiamo trovato.

L'uomo, come ogni Essere della Natura, è un soggetto che abita il mondo nel quale relazione dopo relazione, sfida dopo sfida, contraddizione dopo contraddizione, può costruire il dio che cresce dentro di lui o può fallire perdendo l'occasione di trasformare la morte del corpo fisico in nascita del proprio corpo luminoso.

Questa è l'ottica religiosa e filosofica per la quale analizziamo Clausewitz. La vita non è una guerra che ha come scopo conquistare qualche cosa, ma la vita è una guerra che ha come scopo la trasformazione dei soggetti che vivono in un mondo che dichiara guerra ai singoli individui per sottometterli, costringerli all'obbedienza, impedendo loro di trasformare la morte del corpo fisico in nascita del corpo luminoso.

Clausewitz è un generale cristiano che agisce secondo le regole della guerra cristiana. Da un lato parla della pratica del genocidio per dominare e sottomettere e dall'altro lato parla della pratica per difendersi dal genocidio e non farsi sottomettere. In questa ottica rimane l'uomo che vive la sua vita fra sottomettere e non farsi sottomettere all'interno di una visione cristiana della soluzione delle contraddizioni mediante la guerra cristiana. Clausewitz ha presente le categorie emotive e finalistiche proprie del cristianesimo, lo stato d'animo dei cristiani, in un'ottica di relazione col dio padrone che tutto deve dominare e che viene descritto con tutta la potenza che i cristiani immaginano. Clausewitz parla della guerra facendo proprio il punto di vista delle necessità del dio padrone con cui si identifica.

Noi, che pratichiamo Religione Pagana abbiamo un obbiettivo: combattere il dio padrone cristiano. Impedire al dio padrone cristiano di appropriarsi della nostra struttura psico-emotiva e impedirci di trasformare la morte del corpo fisico in nascita del corpo luminoso. Il dio dei cristiani agisce con la sua guerra di strage sia sul piano fisico che sul piano emotivo per impedire all'uomo di trasformare la morte del corpo fisico in nascita del corpo luminoso. Per contro, l'uomo religioso, in questa guerra in cui rivendica il proprio diritto all'esistenza e alla sua trasformazione in un dio, costruisce il dio che cresce dentro di lui, sfida dopo sfida, contraddizione dopo contraddizione.

Scrive Clausewitz:

Un duello ingrandito

Intendiamo trattare prima gli elementi singoli del nostro argomento, successivamente le parti, le membra che lo compongono e infine il concetto generale nella sua interna concatenazione: progredire insomma dal semplice al composto. Ma nel nostro caso è, più che in qualsiasi altro, necessario incominciare con uno sguardo all'insieme, perché più che mai l'insieme non può essere pensato che in uno con le parti. Non vogliamo qui addentrarci in una noiosa definizione della guerra, ma attenerci al suo elemento fondamentale: al duello. La guerra non è altro che un duello ingrandito. Se vogliamo pensare come unità la serie dei duelli singoli di cui è composta, vi riusciremo col rappresentarci una coppia di lottatori: l'uno cerca di costringere l'altro con la forza fisica, ad adempiere alla propria volontà; il suo scopo immediato è di rovesciare l'avversario e renderlo così incapace d'opporre qualunque ulteriore resistenza.

La guerra è dunque un atto di forza per ridurre l'avversario al nostro volere.

La forza si arma delle scoperte dell'arte e della scienza per affrontare la forza. Le trascurabili limitazioni che l'accompagnano sotto il nome di diritto delle genti non l'affievoliscono in modo considerevole. La forza, cioè la forza fisica quando c'è, è, dunque, il mezzo; ridurre il nemico alla nostra volontà, lo scopo. Per raggiungere con sicurezza questo scopo dobbiamo disarmare il nemico, e questa è, logicamente, la vera e propria meta dell'attività bellica. Essa viene a sostituire lo scopo originario e lo mette in un certo modo da parte come cosa non attinente alla guerra vera e propria.

Per parlare della vita come di un combattimento in cui si conquista la trasformazione di sé stessi, nella storia della filosofia, Clausewitz ha un ruolo fondamentale.

La vita va vista nel suo insieme. Il soggetto nasce "formattato" per il mondo che dovrà affrontare e questa "formattazione" è l'imprintig che la madre prima e la comunità parentale imprimono sul soggetto.

Questa "formattazione" e questo imprintig è il primo atto di guerra che il nuovo nato subisce e che lo predispone per i combattimenti successivi che la vita gli riserva.

In questo momento, questo aspetto, che ho trattato in altri testi, non interessa.

La vita, dice Clausewitz, è un atto di forza per ridurre l'avversario al nostro volere.

Quando una persona è un avversario? Quando la persona non è ridotta al nostro volere!

In questo caso c'è una condizione di guerra precisa: devo ridurti al mio volere.

Rimane una questione a monte: perché ti devo ridurre al mio volere? Perché tu mi vuoi ridurre al tuo volere?

Clausewitz nella sua educazione cristiana fa dipendere la guerra dalla necessità del dio cristiano di impossessarsi delle persone. Io che nasco in una società cristiana mi trovo immerso in un insieme di guerra che mi si riversa contro e il cui unico scopo è sottomettermi al volere non mio. Non sottomettermi per questo o quello scopo, ma sottomettermi per ogni scopo a cui può servire la mia sottomissione.

Dice Clausewitz la società cerca di costringere l'individuo con la forza fisica ad obbedire alla sua volontà. Lo scopo immediato della società è quello di rovesciare la mia struttura psico-emotiva prima che io, crescendo, riesca a fornirmi di strumenti adeguati con cui difendermi, in modo da rendermi incapace di opporre una qualunque resistenza.

Io nasco in un sistema che si fonda sulla guerra il cui scopo è ridurmi alla sottomissione psico-emotiva rendendomi incapace di proclamare me stesso in un insieme sociale che per poter funzionare richiede un me stesso consapevole.

La forza con cui la società mi aggredisce si arma delle scoperte dell'arte e della scienza per individuare al meglio i miei punti deboli e le mie fragilità. La forza che viene esercitata, la violenza della società nei miei confronti, non viene attenuata dalla condizioni di diritto sociale in quanto la società ignora i miei diritti di giustizia per rivendicare i propri diritti di sopraffazione e di violenza.

Clausewitz afferma che la forza fisica è dunque un mezzo per sopraffare le persone e ridurle all'obbedienza di una volontà che non è la loro affinché eseguano compiti in contrasto con i loro bisogni e le loro predilezioni.

Per raggiungere questo scopo la società deve disarmare i bambini, renderli impotenti e incapaci di difendere la loro struttura psico-emotiva, renderli paurosi e timorosi in modo da disarmarli annichilendo ogni possibilità di riaffermare sé stessi riducendoli alla schiavitù.

Questo è il mondo, delineato da Clausewitz, in cui nasciamo.

Per il lavoro, le citazioni sono tratte da:

Karl von Clausewitz, Pensieri sulla guerra estratto del Della Guerra, ed. BIT 1995

Marghera, 09 giugno 2014

 

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Marghera, 09 giugno 2014

Claudio Simeoni

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La Teoria della Filosofia Aperta

Le idee si presentano alla ragione come dei lampi intuitivi. Illuminano per un attimo la ragione e poi tendono a sparire annullate da una ragione che tende a riprendere il controllo sull'individuo. Le idee sono un'emozione che insorge con violenza dentro di noi e modifica la nostra descrizione del mondo, una descrizione che la ragione tende a ripristinare ma che l'emozione ha definitivamente compromesso. Una nuova descrizione, una nuova filosofia emerge dentro di noi e noi, qualunque sia il nostro grado di cultura, dobbiamo comunque confrontarla con la cultura del mondo in cui viviamo.