Jeremy Bentham (1748 – 1832)

Il principio di utilità

Riflessioni sulle idee di Bentham.

di Claudio Simeoni

 

Cod. ISBN 9788891185778

Teoria della Filosofia Aperta - Volume uno

 

Scrive il Bignami di filosofia (ed.1984):

1) Secondo Bentham l'uomo nelle sue azioni deve seguire la logica dell'utilità, che consiste nel calcolare il piacere e il dolore arrecato da un atto.

2) Infatti Poiché "la natura ha posto il genere umano sotto la guida di due padroni sovrani, piacere e dolore", l'individuo ha come suo unico oggetto il ricercare il piacere e l'evitare il dolore".

3) Quindi il principio di utilità esprime la tendenza a ricercare il bene, che è piacere o causa del piacere, e a evitare il male, che "è dolore o causa del dolore"; è "il principio che approva o disapprova ogni qualsiasi azione" a seconda che promuovi od ostacoli la felicità degli individui.

4) La virtù stessa è un bene soltanto in rapporto al piacere che procura, così come il vizio è un male, sempre in rapporto al dolore che genera.

5) Bentham sostiene che vi è un metodo scientifico per non ingannarsi nella valutazione delle azioni, una "aritmetica morale" che misura il piacere e il dolore in base a certe qualità, come l'intensità, la durata, la certezza, la vicinanza, la fecondità e la purezza (la fecondità è la probabilità che il piacere o il dolore hanno di essere seguiti da sensazioni dello stesso tipo", la purezza è "la profondità che il piacere e il dolore hanno da non essere seguiti da sensazioni di tipo opposto).

6) In conclusione, "è conforme all'utilità o all'interesse di un individuo tutto ciò che tende ad accrescere la somma totale del suo benessere.

La dualità proposta da Bentham è tale da risolvere le prerogative morali, ma lascia il vuoto che trova. Parlare di piacere e di dolore è semplice, ma l'uno e l'altro vengono soddisfatti attraverso dei mezzi e questi mezzi, attraverso cui si soddisfano, sono determinanti nel produrre piacere e dolore.

Piacere e dolore si riferiscono ad un soggetto. Ad una coscienza che non vive separata dal mondo, ma che agisce nel mondo. Il piacere del dio padrone dei cristiani è quello di possedere gli uomini e il dolore provato dal dio padrone dei cristiani è provocato dal desiderio dell'uomo di autodeterminare la propria vita e la propria esistenza.

Mentre il piacere e il dolore del dio padrone sono oggetti definiti in una dimensione statica, chiamata "verità", il piacere e il dolore dell'uomo appartengono alla sua struttura psico-fisica che si modifica in continuazione in un mondo in perenne modificazione. Uomo e mondo costruiscono una continua relazione e una perenne modificazione dove la ricerca del piacere o del dolore non è solo la volontà dell'uomo che agisce, ma la volontà di ogni soggetto che nel mondo si adatta all'agire dell'uomo.

Qual è la percezione del piacere di un individuo nato schiavo in un ambiente di schiavi? Qual è la percezione del dolore nel banchiere che non ha mai avuto problemi sociali? Perché il figlio del miliardario Agnelli si suicida?

Esiste un'oggettività di piacere e un'oggettività di dolore dal momento che la percezione dell'uno e dell'altro appartengono alla percezione del soggetto? E di quale soggetto stiamo parlando?

Il termine piacere e dolore è relativo all'individuo forgiato dal Condizionamento Educazionale del mondo e della situazione in cui nasce. Quando le sue emozioni sono allineate alle aspettative del proprio comando sociale (familiare in genere) il suo piacere e il suo dolore sono quelli che il proprio Condizionamento Educazionale che lo ha costruito.

La sensazione, costruita mediante la percezione della realtà e le relative aspettative che attivano il desiderio, sono di natura educazionale. Naturale è la tensione generica verso il piacere, ma come la persona pensa al possibile piacere cui tendere, questo è imposto all'individuo mediante l'educazione. Un'educazione che, normalmente, sottomette le pulsioni dell'individuo ad una morale e ad un'etica predefinita anziché fornire all'individuo gli strumenti per muoversi opportunamente dentro ad un'etica o ad una morale funzionale alla ricerca del piacere sociale.

In sostanza, noi non viviamo in una società che come insieme di persone cercano il benessere collettivo. Noi viviamo in una società legata alla dimensione del dio padrone che nutre il proprio piacere attraverso il dolore che impone alle persone. Il modello esistenziale proposto dal dio padrone ebreo e cristiano è un modello di esistenza nel dolore perché questo gli dà piacere. Gli uomini vengono costretti, mediante il condizionamento educazionale, a cercare il piacere del dio padrone, non il loro piacere.

Una società che alimenta il benessere collettivo non costruisce un condizionamento educazionale dell'infanzia al fine di sottometterla ad una morale o ad un'etica antitetica alle sue pulsioni di vita, ma fornisce strumenti all'infanzia affinché le pulsioni di vita siano veicolate nella società in modo da arricchire l'intera società. Una società che cerca la felicità è una società che è attenta a fornire strumenti all'infanzia affinché ricerchi la felicità.

Una società che alimenta il dolore in funzione della felicità del dio padrone di ebrei e cristiani, è una società che reprime ogni veicolazione pulsionale dell'infanzia in funzione della sottomissione della stessa a morali e ad etiche estranee alle pulsioni di vita. E' una società che costruisce dolore in funzione della felicità del dio padrone che è la felicità che scaturisce dal dominio e dal piacere di provocare dolore.

Una società organizzata secondo la morale del dio padrone della bibbia, al di là che nel corso della storia ne abbia smussato i caratteri più cattivi e sanguinari, è una società che non costruisce il proprio piacere e il proprio benessere. E' una società che diffonde l'ideologia del "compiacersi del dolore" e costruisce negli uomini un sistema di adattamento psico-emotivo in cui la percezione del dolore e della sofferenza di altre persone è l'unico piacere percepito da chi quel dolore alimenta nella società.

Questa società impone agli individui l'idea secondo cui il piacere non è determinato dalle possibilità di veicolazione delle proprie pulsioni nella società, ma dal raggiungimento di fini che, alimentano l'immaginario di aspettative soggettive, darebbero piacere. Il concetto di denaro che dà la felicità, è una deformazione psichica imposta all'infanzia. Uno stupro che deforma la struttura emotiva della persona al punto tale che la sua idea di piacere non è nella soddisfazione della veicolazione pulsionale, ma nell'idea che raggiungendo la ricchezza essa può veicolare le proprie pulsioni nella società. Il denaro come fine da raggiungere per avere il mezzo con cui fare ciò che l'individuo potrebbe fare ben prima di raggiungere la ricchezza. L'individuo ferma le sue pulsioni desideranti nell'attesa di raggiungere un fine che gli permetterebbe di veicolare le sue pulsioni. E' l'idea cristiana secondo cui non si insegna educazione sessuale, ma si insegna ai bambini che solo raggiungendo il successo o la ricchezza ci si può comperare la prestazione amorosa.

Per far comprendere che cosa noi intendiamo per piacere e per dolore, è necessario parlare della Natura e del suo concetto di piacere e di dolore; è necessario parlare della società e del suo concetto di piacere e dolore; è necessario parlare del singolo individuo e del suo concetto di piacere e di dolore.

Iniziare partendo dalla Natura, da cui l'individuo diviene, significa parlare del ruolo che nella Natura ha il piacere e il dolore. Partendo dalla Natura si arriva all'individuo che, quale soggetto della Natura, veicola nelle proprie pulsioni, per la qualità del proprio divenuto, la forma emotiva della ricerca del piacere e dell'uso del dolore. Noi, però, non siamo in grado di comprendere la Natura né il suo insieme pulsionale e, dunque, dobbiamo analizzare l'uomo, noi stessi, inseriti nella Natura e considerando che il nostro specifico insieme pulsionale è un'elaborazione sociale di un insieme pulsionale costruito fin dall'origine delle specie e che viene imposta sul singolo individuo per costruire, in questi, una specifica percezione di felicità e una specifica strategia esistenziale attraverso la quale agire per raggiungere tale felicità.

Questo individuo, forgiato nel corso dell'evoluzione fin dal brodo primordiale, è il prodotto del Sistema Sociale in cui vive. Questo Sistema Sociale ha costruito le condizioni e i mezzi attraverso i quali soddisfare il proprio piacere o imprimere la qualità del proprio dolore. Ma la sensazione di piacere (e di felicità) e quella di dolore sono sensazioni naturali, predisposizioni del soggetto nell'affrontare la vita. Su queste è venuto ad imporsi l'organizzazione emotiva e la veicolazione emotiva imposta all'individuo dal condizionamento educazionale del comando sociale in cui è nato.

Ogni discorso relativo al piacere e al dolore deve essere relativo al Sistema Sociale in cui l'Essere Umano vive. Noi non possiamo parlare dell'uomo in sé se non in relazione alla società e alla vita. Dobbiamo necessariamente parlare della relazione fra l'individuo e il mondo nel quale l'individuo nasce e vive.

Non è importante sapere se l'azione provoca dolore o felicità, è importante sapere se l'azione provoca sottomissione, asservimento e dipendenza o libertà.

Ciò che fa il soggetto per sé, come ricerca del piacere, non è fatto per un per sé estraneo al Sistema Sociale in cui è divenuto e vive La sua ricerca è svolta all'interno di un insieme di soggetti che ricercano il piacere: che tentano di espandere sé stessi nel mondo in cui sono nati.

Il padrone prova piacere nell'uso dei suoi schiavi per soddisfare i propri bisogni. Gradi diversi di schiavitù sociale servono per perpetuare il possesso degli individui e provare piacere nel soddisfare i propri bisogni mediante il possesso delle persone. I bisogni del dio padrone della bibbia e del padrone che con esso si identifica, trovano soddisfazione dei propri bisogni solo attraverso l'uso dei suoi schiavi. Solo quando lo schiavo inizia a provocare dolore al proprio padrone nella sua ricerca di condizioni diverse di vita, allora, e solo allora, la condizione di schiavitù viene allentata per poter essere perpetuata. E' la tecnica illustrata da Gesù nei tre episodi relativi al "fico maledetto". Se gli schiavi non si vogliono mettere in ginocchio davanti a te, non macellarli subito (non maledire l'albero e seccarlo), ma dagli un po' di concime e zappettalo un po', dice Luca nel suo vangelo. Poi, dice Luca, se non ti dà i frutti che vuoi (se gli schiavi non si mettono in ginocchio), allora lo maledirai e lo taglierai.

Ma cosa prova lo schiavo? I suoi bisogni non sono soddisfatti da altri schiavi, ma dopo aver provveduto a soddisfare i bisogni del proprio padrone deve operare per soddisfare i propri bisogni entro i limiti, le prerogative e le determinazioni, impostegli dal padrone. Qual è il punto di vista che assumiamo in base al piacere e al dolore quando tali osservazioni le estendiamo al campo sociale?

Lo schiavo ribelle provoca un grande dolore al padrone e ai suoi cani da guardia, ma la ribellione provoca un sussulto di soddisfazione nello schiavo. Quale punto di vista assumiamo?

L'Essere Umano è posto sotto la guida di piacere e dolore, ma lui non ha la capacità di determinare il piacere o il dolore. Egli, come Essere Sociale, subisce le determinazioni. E le subisce anche colui i cui bisogni vengono soddisfatti attraverso l'impiego degli schiavi. Le sue mani sono vuote ed egli senza più il potere di dare ordini è un individuo vuoto. Il bisogno di ordinare e comandare pervade sé stesso: egli svuoterà tutti gli individui che lo attorniano.

L'uso di schiavi per cercare il piacere si deve all'imposizione del dolore. Un dolore, dato dall'incapacità dell'individuo di affrontare i problemi della vita, che solo la presenza degli schiavi che affrontano per lui quei problemi, può alleviare. Il dolore e i problemi sociali vengono imposti dalla società nel suo insieme come costruzione dell'incapacità dell'individuo di affrontare coerentemente e in funzione di un piacere che può rinnovare ogni condizione della sua esistenza sociale. L'incapacità provoca dolore. L'inconsapevolezza lascia l'individuo smarrito. La mancanza di conoscenza svuota l'individuo della coerenza nella ricerca del piacere. Solo che l'incapacità, l'inconsapevolezza, la mancanza di conoscenza solo costruite nell'individuo mediante la costrizione dell'individuo nella sottomissione. Attraverso l'educazione, che diventa allenamento all'obbedienza e alla sottomissione.

L'individuo cerca il piacere o migliori condizioni d'esistenza; nel farlo, l'individuo incapace, inconsapevole, crea dolore in altri.

Quando un Essere viene privato dell'indipendenza nella propria sopravvivenza e reso indipendente sia perché privato della conoscenza, sia perché costretto a lungo all'obbedienza di determinazioni soffocanti; che cos'è per lui il piacere? A volte il piacere sono condizioni meno atroci all'interno delle quali obbedire. Non desidera più sottrarsi, fuggire, ribellarsi, costruire qualche cosa di nuovo, gli basta la garanzia fornitagli dal suo padrone e poterlo servire. Fino a che punto questo è piacere? Il padrone compiace il suo servo trattandolo con gentilezza fintanto ch'egli obbedirà agli ordini e alle determinazioni imposte. Qualora egli devierà, sarà duramente bastonato. Ma bastonare il servo procura piacere al padrone e dolore al servo. Quale punto di vista assumiamo?

Il vizio altro non è che la ricerca smodata di soddisfazione di un bisogno alterato, o condizionato, dal sistema di vita subito dall'individuo. E' un rifugio di chi fugge dall'insieme della vita. E' una droga per il cervello capace di trasformare la soddisfazione di un desiderio in un'ossessione.

Il "vizio" sottrae l'individuo dal controllo sociale. Il "vizio" entra in concorrenza con il sistema di controllo degli uomini oppure, viene usato dal sistema di controllo sociale per menomare quelle tipologie di individui che potrebbero alterare, nella direzione non desiderata dal controllo sociale, i rapporti all'interno della società. Quando il comando sociale decise di fermare chi poteva contestarlo, diffuse massicciamente l'eroina creando un vizio talmente distruttivo che chi ne era preso non lo avrebbe mai più messo in discussione. Per contro, l'accusa di "vizioso" serve per aggredire persone i cui comportamenti sono tali da sottrarli alla morale imposta dal Comando Sociale.

Chi stabilisce il principio generale di utilità?

I positivisti considerano la società un'organizzazione cosciente che impone obblighi e limiti ai cittadini in funzione della propria evoluzione; ebrei e cristiani considerano solo l'utilità del loro dio padrone e a tale utilità sottomettono gli Esseri Umani

In tutte queste dimensioni, a rimetterci, in una condizione permanente di dolore imposto, è il cittadino, il singolo Essere Umano.

Bentham afferma che "è conforme all'utilità o all'interesse di un individuo tutto ciò che tende ad accrescere la somma totale del suo benessere." cioè anche la pratica schiavista. In realtà il benessere di un soggetto è relativo al benessere che in una società hanno gli individui della scala sociale più bassa di quella società. E' la quantità di possibilità di partecipazione sociale e di fruizione di diritti che la società garantisce agli individui più deboli e fragili di essa. La somma del benessere di un soggetto è la relazione fra il proprio benessere soggettivo e il benessere di ogni soggetto della società in cui vive e con cui il soggetto si relaziona. Dove il benessere di una società si misura sulla quantità di strumenti capace di fornire alla propria infanzia per veicolare in maniera coerente e funzionale le proprie pulsioni senza essere costretti a ricorrere a schiavi: qualunque ne sia il grado coercitivo di schiavitù.

 

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Quando un percorso sociale fallisce o esaurisce la sua spinta propulsiva, è bene tornare alle origini. Là dove il pensiero sociale è iniziato, analizzare le incongruenze del passato alla luce dell'esperienza e abbattere i piedistalli che furono posti a fondamento del percorso sociale esaurito.

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Marghera, 25 settembre 2012

Claudio Simeoni

Meccanico

Apprendista Stregone

Guardiano dell’Anticristo

Tel. 3277862784

e-mail: claudiosimeoni@libero.it

La Teoria della Filosofia Aperta

Le idee si presentano alla ragione come dei lampi intuitivi. Illuminano per un attimo la ragione e poi tendono a sparire annullate da una ragione che tende a riprendere il controllo sull'individuo. Le idee sono un'emozione che insorge con violenza dentro di noi e modifica la nostra descrizione del mondo, una descrizione che la ragione tende a ripristinare ma che l'emozione ha definitivamente compromesso. Una nuova descrizione, una nuova filosofia emerge dentro di noi e noi, qualunque sia il nostro grado di cultura, dobbiamo comunque confrontarla con la cultura del mondo in cui viviamo.