Teoria della Filosofia Aperta - Quinto volume
Il concetto infantile di creazione del cristianesimo, come più volte è stato affermato, viene elaborato dagli ebrei a Babilonia. Gli ebrei, deportati in Babilonia, per la prima volta nella loro storia si formano una cultura frequentando le scuole babilonesi. Dai miti degli Dèi di Babilonia elaborarono la loro idea di creazione. Il loro dio non può essere nella vita, nella materia, nella quotidianità, come gli Dèi babilonesi. Non fa "battaglie della vita con altri Dèi". Il Dio degli ebrei non si confronta con altri Dèi, ma deve essere onnipotente.
Per gli ebrei, "sono sciocchi questi Babilonesi". Sono padroni da poco.
Dai loro schiavi si accontentano di "mansioni ben remunerate"; se, invece, gli ebrei fossero i padroni, loro sarebbero onnipotenti e macellerebbero i loro schiavi se questi non facessero la loro volontà assoluta. "Se fossimo padroni noi" dicono gli ebrei "pretenderemmo di essere serviti dai nostri schiavi con tutto il loro corpo e tutta la loro anima!"
Questa è la condizione sociale e psicologica dalla quale nasce l'elaborazione del concetto di "creazione dal nulla": si tratta di veicolazione del desiderio di onnipotenza che la repressione psico-emotiva di individui, costretti in sottomissione, proietta su un ente onnipotente col quale si identificano e dal quale traggono legittimità per esercitare, su altri, il dominio assoluto.
Questa visione estrema dell'onnipotenza che crea dal nulla è il prodotto di condizioni psicologiche deliranti estreme.
Cosa succede, invece, quando, pur sussistendo le medesime condizioni patologiche il delirio, per le diverse condizioni sociali, non è portato all'estremo, ma è mediato dalla ragione e dal dibattito fra le persone nelle scuole di pensiero?
Un conto è veicolare il delirio di onnipotenza in una condizione di dominio assoluto (sia reale che immaginato, come in Geremia o Isaia) e un altro conto è veicolare il delirio di onnipotenza in una scuola filosofica in cui il delirio necessita di "motivazioni sufficienti" per essere accolto come idea e trasferito come pensiero sociale.
In cosa consiste il delirio patologico? In una pretesa separazione dell'individuo dall'insieme in cui vive. Nel delirio l'individuo non aderisce alla realtà quotidiana in cui vive, né elabora il proprio pensiero partendo dalla realtà e dai problemi che affronta, ma antepone alla realtà e ai problemi un'"idea aprioristica" attraverso la quale legge e interpreta la realtà e la sua collocazione, ideale o pratica, nella realtà stessa. L'individuo desidera. L'individuo, nel suo desiderio, piega la realtà. La spiega in funzione della soddisfazione del proprio desiderio. Il delirio di chi desidera può essere confuso o lucido, ma sempre delirio rimane
Scrive l'enciclopedia di psicologia di Galimberti:
"Il delirio è un'idea o insieme di idee che pur non avendo nessuna corrispondenza con i dati della realtà non cedono né agli argomenti della discussione, né alle smentite dell'esperienza. Di importanza centrale nella visione del mondo del delirante, dette idee risultano inaccettabili alle persone che appartengono al suo stesso ambito culturale. Si è soliti distinguere un delirio lucido dove il soggetto è calmo e presente alla realtà in cui vive, da un delirio confuso che insorge e si accompagna a un'alterazione dello stato di coscienza."
Dizionario di Psicologia di Umberto Galimberti (voce Delirio)
Quando il delirio viene trattato come "stato naturale", introduce nella società la possibilità di delirare e di imporre il delirio come metodo col quale impedire l'apertura al futuro delle persone. Quell'impedimento al futuro delle persone, da idea delirante si trasforma in organizzazione sociale: impedimento fisico a rimuovere nella società e negli individui le idee deliranti.
In questa situazione, imposta per 2000 anni dal cristianesimo, la libertà nella società passa attraverso la manipolazione del delirio come oggetto della discussione: come l'oggetto di discussione prodotto dal delirio, il dio cristiano e la sua volontà imposta alla società, diventa l'oggetto del discutere e dello scontro sociale negli ultimi 2000 anni.
Il delirio confuso di onnipotenza degli ebrei a Babilonia non avrebbe mai potuto diventare idea sociale se non si fosse sovrapposto al delirio lucido di Platone e dei Neoplatonici traendo da questi l'idea del "creatore buono" svincolata dal terrore e dai massacri con cui il "creatore" degli ebrei giustifica la sua onnipotenza nella bibbia. Nessun cristiano che delira, identificandosi col suo "dio creatore" o la realtà della creazione, pensa mai al dio della bibbia. Ogni cristiano che delira sulla creazione e sul dio creatore, con cui si identifica e al quale dedica le sue azioni, si riferisce all'idea Platonica del Timeo:
"All'Artefice non è lecito fare altro che non sia bellissimo."
Un cristiano, delirando di creazione, non ha in testa la bibbia, ma Platone. Se, invece, avesse in testa la bibbia, dovrebbe dire: "All'Artefice non è lecito fare altro che dolore, strage, morte e sofferenza", ma da quel pensiero il suo desiderio si ritirerebbe o, comunque, non avrebbe la possibilità di diventare norma sociale.
L'idea dell'esistenza di Caos da cui anche l'uomo emerge è l'idea della vita stessa. L'idea della crescita e della penetrazione della coscienza dell'uomo nella realtà oggettiva in cui è nato. Quest'idea non si può definire "naturale", ma si può definire come "propria" della vita. L'individuo che esce dalla vagina della propria madre e inizia a formare la sua coscienza nel mondo è un individuo che emerge dal Caos e ordina il Caos che lo circonda per poter organizzare la propria vita.
Su questa idea si innesta la patologia psichiatrica del delirio di onnipotenza come fuga del soggetto dalla sua responsabilità nel mettere ordine nel proprio "caos" ed organizzare, di conseguenza, la sua vita. La fuga del soggetto lo porta ad pensare a delle "scorciatoie", delle "giustificazioni", con cui sottrarsi alle proprie responsabilità. Quella fuga dalla responsabilità personale, elaborata da Platone nel Timeo, diventa la "stampella sociale" del delirio cristiano sulla "creazione ex nihilo". Il delirio lucido di Platone che regge il delirio compulsivo cristiano!
Il punto di vista di Platone, da cui Timeo parte per svolgere il suo discorso, è assolutamente soggettivo e arbitrario.
TIMEO - [...] Secondo la mia opinione, in primo luogo bisogna distinguere le cose che seguono. Che cos'è ciò che è sempre e non ha generazione? E che cos'è ciò che si genera perennemente e non è mai essere? Il primo è ciò che è concepibile con l'intelligenza mediante il ragionamento, perché è sempre nelle medesime condizioni. Il secondo, al contrario, è ciò che è opinabile mediante la percezione sensoriale irrazionale perché si genera e perisce, e non è mai pienamente essere.
pag. 1361
L'uomo nasce e muore. E' compreso in "enti" che precedono e superano la sua esistenza. Presenti prima della sua nascita e in trasformazione anche dopo la morte del suo corpo fisico. Per questo l'affermazione "...innanzi tutto ciò che "è" e sempre "è" e non viene generato e ciò che "è", in quanto generato, e mai non "è" è un'affermazione assolutamente arbitraria e priva di dimostrazione. Un'affermazione che trova la sua radice nel desiderio di onnipotenza e di eternità psicologica che Platone, non potendola realizzare, proietta su una realtà immaginata.
Da questa realtà immaginata fa derivare la sua logica che diventa puro e semplice esercizio di fantasia. Non si tratta di filosofia, ma di veicolazione di uno stato psico-patologico al quale si vuole piegare la descrizione del mondo. Così, l'intelletto di Platone diventa l'intelletto per eccellenza, la caratteristica assoluta che permette a Platone di comprendere l'oggetto "esattamente a quel modo".
Il delirio di Platone, nel Timeo, continua con l'esaltazione del suo delirio: il delirare è bello e buono. Ciò che ricade sotto i sensi, come Platone stesso, proprio perché è generato e corruttibile, è generato per una qualche causa senza la quale nulla si può generare.
In questo delirio Platone cede il passo al Mito: chi genera l'Artefice? Il Demiurgo? Quale causa l'ha posto in essere?
L'Artefice, il demiurgo, vive in un caos. Nel mitico Caos Esiodeo in cui la ragione si perde perché privo di forma e di quantità. Il mondo emerge dal caos. L'intelligenza, comunque vogliamo considerarla, è espressa dalla volontà dei soggetti che, divenuti consapevoli, separano sé stessi dall'inconsapevole che li circonda e che, comunque, rimane caos dal quale nuovi Esseri che manifestano la loro Volontà e la loro Intelligenza emergeranno in continuazione.
Questo emergere dell'intelligenza noi lo possiamo constatare: lo stesso bambino che nasce e cresce manifesta un emergere della sua intelligenza da un caos, da cui la nostra ragione è separata, attraverso l'uso della sua volontà.
Ciò che diventa delirante è far dipendere la coscienza e l'intelligenza, che emerge dal caos e che si organizza per vivere, comunque in un caos che tenta di organizzare nella propria "mente", da una volontà esterna alle coscienze. Il delirio lucido di Platone consiste nell'immaginare un Platone che mette ordine nel caos e che costruisce un "mondo bello" auto celebrandosi come un Platone buono. Così, la frase tanto amata da Leibniz "All'Artefice non è lecito fare altro che non sia bellissimo.", andrebbe letta più correttamente: "A Platone non è lecito che fare altro che non sia bellissimo."
La domanda che Platone fa fare a Timeo: "Quando si discute del cielo o del mondo, oppure, se si trova un altro nome adeguato per definire questo [universo], si deve iniziare da ciò che va considerato a fondamento di ogni cosa: cioè, se il cielo o il mondo, o con qualunque altro nome noi chiamiamo, se esistono da sempre, senza inizio e senza una generazione, oppure se fu generato iniziando da un qualche principio." è una domanda formulata apposta per impedire all'interlocutore di prendere atto della realtà sensibile. Con questa domanda Platone sospende la razionalità dei propri interlocutori per fissare la loro attenzione su "una possibilità dell'immaginazione": "...se esistono da sempre, senza inizio e senza una generazione...".
Platone introduce nel discorso l'idea di "sempre", senza inizio e senza una generazione. Solo che l'idea di "sempre", lungi da essere un'idea dell'esperienza e della realtà oggettiva, è un'idea che nasce dalla patologia di una ragione che pretende di esistere sempre allontanando dal soggetto la consapevolezza dei limiti fisici della sua esistenza (nascita e morte) che impongono la responsabilità del soggetto nel percorrere tale spazio.
Diversa è l'idea di infinito di Anassimandro che si genera dal fatto che "io non vedo la fine" e, pertanto, non posso porre né dei limiti, né delle finalità.
Dall'idea di "sempre" e di "eterno immutabile" che viene attribuita all'idea dell'Artefice, al Demiurgo, al dio padrone, deriva l'irresponsabilità degli Esseri Umani che davanti al fallimento della loro esistenza si rifugiano nell'idea patologica del paradiso, inferno, reincarnazione, metempsicosi, karma, ecc. Questa idea di "sempre", che Platone manifesta in questo contesto, non era un'idea degli antichi. Non era l'idea del Mito e non era l'idea degli Orfici.
Scrive Aristofane negli Uccelli:
In principio c'era il Caos e la Notte e il buio Erebo e il vasto Tartaro;
non esisteva la terra, né l'aria, né il cielo. Nel seno sconfinato di Erebo
la Notte dalle ali di tenebra generò per prima un uovo pieno di vento.
Col volgere delle stagioni, da questo sbocciò Eros, fiore del desiderio:
sul dorso splendevano ali d'oro ed era simile al rapido turbine dei venti.
Congiunto di notte al Caos alato nella vastità del Tartaro,
egli covò la nostra stirpe, e questa fu la prima che condusse alla luce.
Neppure la stirpe degli immortali esisteva prima che Eros mescolasse insieme ogni cosa.
Tratto da: "Le religioni dei misteri" a cura di Paolo Scarpi, Orfismo, Editore Lorenzo Valla, 2002, vol. 1, pag. 357
Affermare un sempre, senza inizio e senza generazione, significa affermare un oggetto immaginato e desiderato sul quale si può giocare con la fantasia, ma estraneo alla filosofia e al pensiero umano. E' lecito, invece, immaginare un numero infinito di inizi e un numero infinito di fine del presente iniziato proprio perché noi assistiamo ad un numero infinito di nascite e ad un numero infinito di morti nella natura.
Un altro concetto che Platone mette a fondamento in Timeo è:
TIMEO - [...] Ora, per quanto concerne tutto il cielo o il mondo, o se si trova qualche altro nome adeguato lo si chiami con questo, bisogna considerare ciò che fin da principio si deve esaminare riguardo ad ogni cosa, ossia se fu sempre, non avendo mai alcun principio di generazione, oppure se fu generato, incominciando da un qualche principio.
Esso fu generato. Infatti è visibile e tangibile ed ha un corpo; ma tutte le cose di questo tipo sono sensibili, e le cose sensibili si apprendono con l'opinione mediante la sensazione, ed è risultato che sono generate e sono in divenire. E ciò che è generato abbiamo detto che è necessario che sia generato da una causa. Ma il Fattore e il Padre di questo universo è molto difficile trovarlo e, trovatolo, è impossibile parlarne a tutti.
E questo si deve indagare dell'universo: guardando a quale degli esemplari chi ha fabbricato l'universo lo abbia realizzato, se all'esemplare che è sempre nello stesso modo e identico o a quello che è generato.
Ma se questo mondo è bello e l'Artefice è buono, è evidente che Egli ha guardato all'esemplare eterno; e se, invece, l'Artefice non è tale, ciò che non è neppure permesso a qualcuno di dire, ha guardato all'esemplare generato. Ma è evidente a tutti che Egli guardò all'esemplare eterno: infatti l'universo è la più bella delle cose che sono state generate, e l'Artefice è la migliore delle cause.
Pag. 1361-1362
Platone inizia con un trucco retorico: "il mondo fu generato".
Avrebbe potuto dire "il mondo nacque" o "il mondo si generò".
Il fu generato implica una volontà e un'intelligenza che lo generi.
Dire si generò implica prendere atto del venire in essere del mondo.
Il venir in essere implica una trasformazione nel tempo che porta al presente, come un bambino che cresce e si trasforma presente dopo presente.
Gli Orfici avevano presente le trasformazioni: la notte genera l'uovo. La notte non ha la volontà di generare l'uovo: genera l'uovo. Non è madre in quanto volontà ed intelligenza, dell'uovo; è madre in quanto condizioni ambientali da cui l'uovo nasce. Nera Notte non è "buona"; Nera Notte è!
Platone, a differenza, si deve tuffare a cercare il Fattore, l'Artefice, il Demiurgo, il Padre, di questo universo al di fuori dell'universo e delle volontà contenenti nell'universo. Gli Orfici non mettono la volontà della notte come causa della nascita dell'uovo, né a fondamento di quanto emergerà dall'uovo; Platone, al contrario, si rammarica non solo per le difficoltà di dimostrare il Demiurgo, ma soprattutto perché tale Demiurgo non lo può dimostrare a tutti gli uomini: gli uomini possono essere indotti a credere, ma soltanto sviluppando la patologia della dipendenza da quella credenza!
La necessità di Platone di sviluppare la credenza, nell'impossibilità di dimostrare, è proprio in opposizione alle trasformazioni presentate dagli orfici (e altri). Platone deve introdurre la credenza, la fede, nella staticità del presente, mentre gli Orfici, proprio con Eros, fiore del desiderio, spingono alla trasformazione che la soddisfazione del desiderio, vissuto e praticato, impone.
Una volta che Platone ha affermato l'esistenza della volontà e dell'intelligenza dell'Artefice, del Demiurgo, si affretta a definirne le caratteristiche: l'Artefice è buono in quanto il mondo che ha assemblato è bello.
Gli aggettivi, buono e bello, determinano i limiti del discorso nell'interlocutore che non può prescindere dal fatto che il mondo in cui vive è bello e, nella discussione con Platone, non può prescindere che l'Artefice abbia fatto il mondo e, di conseguenza, sia necessariamente buono.
Una volta che Platone fa due affermazioni di natura patologica, e non di natura filosofica, (1-l'Artefice ha fatto il mondo; 2-l'Artefice è buono;) prosegue il suo discorso come se le sue affermazioni fossero dogmi di fede. Lo sono per Platone. Infatti, Platone immagina sé stesso come Artefice e, nell'immaginare sé stesso come Artefice, si immagina buono.
Il delirio lucido di Platone supplisce al delirio ossessivo e confuso dell'idea del Dio creatore dei cristiani.
Gli ebrei e i cristiani affermano il proprio Dio padrone e creatore con atti di bontà:
"O Babilonia devastatrice,
beato chi ti ricambierà
il male che hai fatto a noi
Beato chi prenderà e sbatterà
I bambini tuoi contro i macigni!"
Bibbia, Salmo 137 (136)
Platone si limita ad affermarne la bontà in quanto bella è la sua creazione.
Nella storia i due deliri si combinano e Platone, attraverso il suo delirio lucido, mantiene in vita il delirio ossessivo e confuso dei cristiani.
Per Platone è necessario mantenere il discorso attorno all'Artefice:
Timeo - Ma se questo mondo è bello e l'Artefice è buono, è evidente che Egli ha guardato all'esemplare eterno; e se, invece, l'Artefice non è tale, ciò che non è neppure permesso a qualcuno di dire, ha guardato all'esemplare generato. Ma è evidente a tutti che Egli guardò all'esemplare eterno: infatti l'universo è la più bella delle cose che sono state generate, e l'Artefice è la migliore delle cause.
pag. 1361-1362
Non può prendere nemmeno in considerazione che il mondo non sia il prodotto di un artefice: il bambino non è forse il prodotto del padre e della madre? O è il padre e la madre, come Nera Notte, oggettività nella quale il bambino si genera? Il padre e la madre non hanno l'intento di fare un figlio (salvo le imposizioni dell'educazione cristiana degli ultimi tempi), hanno l'intento di provare piacere. Nella ricerca di provare piacere creano le condizioni affinché il bambino germini.
Platone usa lo stesso trucco limitativo che useranno i cristiani con Gesù. Dice Gesù "non si può servire allo stesso tempo Dio e mammona". Non gli passa nemmeno per l'anticamera del cervello che il problema non è l'oggetto al quale sono servo, ma il fatto che io sia servo! Ai cristiani non passa per l'anticamera del cervello che le persone anelino ad essere responsabili nella propria vita.
La stessa operazione la fa Platone: "se tu pensi che l'Artefice non è buono...". La questione non è se l'Artefice è buono o cattivo, la questione è che la vita è un'insieme di volontà che non possono tollerare nessuna sottomissione e nessun limite se non quelli imposti dall'oggettività nella quale si sviluppano e divengono.
Per Platone, l'Artefice è; nella misura in cui Platone è. Platone ferma ogni suo interlocutore: "Cosa nefanda sarebbe sostenere che Platone non è buono, ma è certezza a tutti che Platone contemplò con amore all'esemplare eterno". La certezza di Platone estesa a tutti perché nulla può essere al di fuori dell'affermazione di Platone. E cosa conferma l'affermazione assoluta di Platone? Perché per i generati nell'universo questo è bello e, per conseguenza, Platone deve essere necessariamente il più buono. Siamo in presenza di "giri retorici" finalizzati ad allontanare eventuali critiche.
Platone, nel Timeo, continua con le affermazioni assolute:
Timeo - Se, pertanto, l'Universo è stato generato così, fu realizzato dall'Artefice guardando a ciò che si comprende con la ragione e con l'intelligenza e che è sempre allo stesso modo. Stando così le cose, è assolutamente necessario che questo cosmo sia immagine di qualche cosa.
Pag. 1362
Le sottolinea al punto da non permettere la contestazione dell'idea di un'intelligenza ordinatrice del cosmo. Eppure, Aristotele nella metafisica, parlando di Eraclito, scrive:
"Anche Ippaso di Metaponto ed Eraclito di Efeso sostengono che unico è il principio, in moto e limitato, ma questo principio lo identificano con il fuoco; dal fuoco fanno derivare, per condensazione e rarefazione, tutte le cose che sono e nel fuoco tutte le risolvono, poiché questa è l'unica natura che costituisce il sostrato. Tutte le cose, dice Eraclito, sono trasformazioni del fuoco (compresa la passione amorosa dalla quale germinano i nuovi nati) e introduce anche un certo ordine e un tempo definito del mutamento del cosmo, secondo una necessità fatale."
Diels-Kranz, I Presocratici, testimonianze e frammenti, Eraclito, Universale Laterza, 1990, pag. 187
E non era estraneo il concetto secondo cui "in natura nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma". Scrive Aristotele sempre nella Metafisica:
"La maggior parte di coloro che per primi filosofarono ritennero che i soli principi di tutte le cose furono quelli di specie materiale, perché ciò da cui tutte le cose hanno l'essere, da cui originariamente derivano e in cui alla fine si risolvono, pur rimanendo la sostanza ma cambiando nelle sue qualità, questo essi dicono che è l'elemento, questo il principio delle cose e perciò ritengono che niente si produce e niente si distrugge, poiché una sostanza si fatta si conserva sempre..." "Ci dev'essere una qualche sostanza, o una più di una, da cui le altre cose vengono all'esistenza, mentre essa permane. Ma riguardo al numero e alla forma di tale principio non dicono tutti lo stesso: Talete, il fondatore di tale forma di filosofia, dice che è l'acqua..."
Diels-Kranz I Presocratici, testimonianze e frammenti, Talete, Universale Laterza, 1990, pag. 89
Anche le idee di Anassimandro cozzano con la visione dell'Artefice di Platone:
"Anassimandro, figlio di Prassiade, milesino, dice che principio di quel che esiste è l'infinito, che da questo tutte le cose provengono e in questo tutte le cose si distruggono. Perciò si formano mondi infiniti e poi si distruggono in ciò da cui vengono. E dice che è illimitato perché non venga meno la generazione che ne consegue."
Diels-Kranz I Presocratici, testimonianze e frammenti, Anassimandro, Universale Laterza, 1990, pag. 100
Una volta precisato l'Artefice, il demiurgo, il dio padrone che però è buono, Platone fa precisare a Timeo le regole del discorso:
Timeo - Ora, in ogni questione è della massima importanza incominciare dal suo principio naturale. Pertanto, anche intorno all'immagine e all'esemplare di essa, bisogna riconoscere questo, che i discorsi hanno una affinità con le cose stesse di cui sono espressione. Dunque, ciò che è stabile e saldo e che si manifesta mediante l'intelletto, conviene che sia stabile ed immutabile, almeno nella misura in cui si concede ai discorsi che siano inconfutabili ed invincibili: di questo non deve mancare nulla. Invece, i discorsi che si fanno intorno a ciò che fu ritratto su quel modello e che quindi è immagine, sono a loro volta verosimili e in proporzione ai primi: infatti, ciò che in rapporto alla generazione è l'essenza, questo in rapporto alla credenza è la verità.
Pag. 1362
L'Artefice, dice Timeo, si è ispirato ad un esempio eterno per ordinare il mondo. Verità e fede, per Platone sono conseguenti. La verità è l'oggetto immutabile e la fede l'immutabilità del soggetto in relazione alla sua interpretazione di quella verità.
Ed è a questo punto che Platone, attraverso Timeo, parla al mondo della sua idea sugli Dèi e sull'universo in contrapposizione alle idee che lo hanno preceduto:
Timeo - Dunque, o Socrate, se dopo molte cose dette da molti intorno agli Dèi e all'origine dell'universo, non riusciamo a presentare dei ragionamenti in tutto e per tutto concordi con se medesimi e precisi, non ti meravigliare. Ma se presenteremo ragionamenti verosimili non meno di alcun altro, allora dobbiamo accontentarci, ricordandoci che io che parlo e voi che giudicate abbiamo una natura umana: cosicché, accettando intorno a queste cose la narrazione probabile37, conviene che non ricerchiamo più in là.
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In questa parte del discorso Platone ha paura. Dice: "Faccio delle affermazioni assolute che appaiono verosimili e dunque, a voi che mi ascoltate, non conviene indagare oltre!".
E' un altro metodo fatto proprio dai cristiani: invitare a non indagare. Poi, qualcuno, Galileo Galilei, uno a caso, indaga e, come affermava Platone, non era conveniente che indagasse.
Platone, ricordando che lui parla ai suoi amici, ricorda di essere solo un uomo, pertanto, siate felici di ricevere i suoi ragionamenti. Si, è vero, io sono felice di riceverli, molto meno felice sono quelle generazioni di bambini che sono stati costretti a pensare la loro vita come schiavi del dio padrone e creatore cristiano e della sua morale. Molto meno quei ragazzi e quelle ragazze in cui fu ucciso Eros, fiore del desiderio, per costringerli a mendicare ciò che era buono e ciò che era bello.
Affermazioni attribuite alla filosofia e conseguenze. Le conseguenze sono responsabilità sociali di chi ha fatto quelle affermazioni che hanno prodotto quelle conseguenze.
Nella logica delirante di Platone, all'Artefice, al dio buono, non si imputa mai il male e l'osceno presente nell'esistenza, ma si usa il male e l'osceno per costringere l'uomo a riconoscere che l'Artefice, il Demiugo, l'Uno, il dio padrone, che il malato di onnipotenza di turno impone con la violenza agli uomini per trasformarli in schiavi della volontà dell'Artefice, è buono a prescindere dalle azioni per le quali gli uomini definiscono un oggetto "buono". "Solo dio è buono" afferma Gesù, e conferma di scannare chi non si mette in ginocchio davanti a lui e non lo riconosce come buono. Platone mette nella bocca di Socrate parole di compiacimento per il proemio di Timeo tanto da invitarlo a proseguire. E Timeo prosegue:
SOCRATE - Molto bene, o Timeo bisogna accettare in tutto e per tutto la cosa nella maniera in cui dici. Il tuo proemio l'abbiamo accolto con ammirazione e ora facci sentire il seguito del canto.
TIMEO - Diciamo, allora, per quale causa ha composto la generazione e questo universo Colui che li ha composti. Egli era buono e in un buono non nasce mai nessuna invidia per nessuna cosa.
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Platone, con Timeo, individua la causa che induce l'Artefice a comporre la generazione e questo universo.
Per comprendere la patologia dell'azione fatta da Platone per giustificare l'affermazione apodittica secondo cui "L'Artefice, il demiurgo, il dio padrone, era buono e mai, in un buono nasce l'invidia per qualcosa" devo ricorrere a C. G. Jung:
"Per C. G. Jung "la proiezione è un processo di dissimulazione, in quanto un contenuto soggettivo viene estraniato dal soggetto e incorporato, per così dire, nell'oggetto. Può trattarsi tanto di contenuti penosi, incompatibili, dei quali il soggetto si disfa mediante la proiezione, quanto di valori positivi che sono inaccessibili al soggetto per un motivo qualsiasi, ad esempio per sottovalutazione di sé" (1921, p. 473). Jung distingue una proiezione passiva e una attiva: "La prima è la formazione abituale di tutte le forme patologiche e di molte fra quelle normali che non scaturiscono da un'intenzione, ma sono solamente un processo che avviene automaticamente. La seconda forma si trova come componente essenziale dell'atto di immedesimazione. L'immedesimazione è realmente, nel suo complesso, un processo di introiezione, giacché serve a mettere l'oggetto in intimo rapporto con il soggetto. Per stabilire questo rapporto il soggetto stacca da sé un contenuto, ad esempio un sentimento, lo trasferisce nell'oggetto, il quale viene così ravvivato, e include in questo modo l'oggetto medesimo nella propria sfera soggettiva" (1921, p. 473)"
Enciclopedia di Psicologia di Umberto Galimberti, vocabolo "proiezione", Editore Garzanti, 1999, pag. 794
La causa che Platone individua e che spinge il dio creatore a ordinare il mondo, altro non è che il desiderio che Platone proietta di sé sull'Artefice. Platone vuole che l'Artefice, che egli immagina a propria immagine e somiglianza, abbia ordinato il mondo per quella bontà che a Platone serve per diventare un tutt'uno con l'Artefice stesso.
Mentre le deduzioni di Anassimandro, Talete, Eraclito, sul divenuto del mondo erano all'interno dell'esperienza, quelle di Platone entrano nel campo della patologia psichiatrica. Nella sua patologia Platone immagina che nessuno poteva suscitargli invidia tanto forte era il legame psichico che lui aveva con l'Artefice, il demiurgo, dell'universo.
Timeo - Egli volle che tutte le cose diventassero il più possibile simili a lui. E chi ammettesse questo principio della generazione dei mondo come principale, accettandolo da uomini saggi, l'ammetterebbe assai rettamente.
Infatti, Dio, volendo che tutte le cose fossero buone, e che nulla, nella misura del possibile, fosse cattivo, prendendo quanto era visibile e che non stava in quiete, ma si muoveva confusamente e disordinatamente, lo portò dal disordine all'ordine, giudicando questo totalmente migliore di quello.
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E così il volere di Platone, che a Platone appare innocuo, diventa violento, cattivo, criminale: "Però egli volle che ogni cosa diventasse simile a lui per quanto poteva". Ogni cosa deve piegarsi al volere dell'Artefice. Deve diventare simile all'Artefice. Ogni soggetto, ogni passione, ogni scelta, deve piegarsi alla volontà dell'Artefice, del dio padrone. Platone proietta la propria volontà e la propria comprensione del mondo sulla volontà dell'Artefice per rendere ogni cosa simile a Platone nella sua comprensione del mondo.
Nella bibbia ebrea e cristiana la volontà del dio padrone, del creatore, viene anche definita giuridicamente nei comportamenti degli Esseri Umani che, dall'arrivo del cristianesimo, perderanno la loro libertà di costruire delle relazioni con il mondo in cui vivono:
"Non lasciar vivere la seduttrice (maliarda o strega a seconda della traduzione);
Chi giace con una bestia sia messo a morte;
Chi sacrifica ad altri Dèi fuorché al signore solo, sia punito con la morte."
Bibbia, Esodo 22, 17-19
Nei Platonici verranno stabiliti dei comportamenti "morali" e negli stessi Neoplatonici si condannerà la sessualità, esaltando la continenza, come fece Paolo di Tarso che trasformò la sua impotenza sessuale in dono del suo dio imponendola come un principio morale.
Egli volle che ogni cosa diventasse simile a Platone per quanto poteva. L'Artefice non era buono? Per questo il dio buono degli ebrei e dei cristiani vuole macellare chi non si mette in ginocchio. Chiama sapienti quegli uomini che, invece, si mettono in ginocchio davanti al dio padrone come causa prima della generazione del mondo.
Nulla deve essere cattivo: e tanti uomini si impegneranno per alzare i roghi affinché gli uomini cattivi fossero bruciati. La violenza, cattiva e criminale di Platone, si manifesta nelle sue proiezioni sul mondo e sulla vita.
Come Platone ha pensato una società ordinata secondo le sue fantasie (La Repubblica) perché questo lo salvaguardava dall'angoscia di dover affrontare il mondo e la società civile per quello che era, così immagina un assoluto ordinatore del mondo a propria immagine. L'ordinatore di Platone non genera gli Dèi, non genera le Idee, non genera il caos, ma ordina l'universo traendolo dal suo movimento caotico e senza fine e privandolo, di fatto, della sua libertà.
L'Artefice di Platone si sostituisce a Zeus (lui si che è padre della vita degli Esseri della Natura in quanto atmosfera che avvolgendo la Terra costruisce le condizioni affinché gli Esseri della Natura vengano in essere) e alla sua Titanomachia che per Platone è incomprensibile. Zeus relega le forze della vita, i Titani, nel Tartaro del cuore degli Esseri della Natura e costoro, combattendo la loro personale Titanomachia, li riportano nelle loro azioni per costruire sé stessi nell'opportunità che Zeus ha costruito.
L'Artefice, il demiurgo, di Platone obbliga al "non-caos", obbliga ad "un fine" l'esistenza della vita determinando che cosa sia il "non-caos" o il "fine" e chiamando questa costrizione, questa galera che ha costruito un "ordine di stato migliore di quello precedente".
Infatti non è lecito a chi è ottimo di fare se non ciò che è bellissimo. [B] Ragionando, pertanto, trovò che delle cose che sono per natura visibili nessuna che nel suo complesso manchi di intelligenza avrebbe mai potuto essere più bella di un'altra che nel suo complesso abbia intelligenza; e che, d'altra parte, è impossibile che una intelligenza si trovi in alcuna cosa senza un'anima.
Seguendo questo ragionamento, mettendo insieme l'intelligenza nell'anima, e l'anima nel corpo, compose l'universo, affinché l'opera che Egli realizzava fosse per sua natura la più bella possibile e la più buona.
Così, secondo un ragionamento probabile, si deve dire che questo mondo è un essere vivente, dotato di anima e di intelligenza, generato ad opera della provvidenza di Dio.
Pag. 1362-1363
Il punto non è che "All'Artefice non è lecito fare altro che non sia bellissimo.", ma è la violenza con cui si costringono le persone a non pensare nulla, di quanto attribuito all'Artefice, al dio creatore, che non sia soggettivamente bello e buono pena il loro bruciare sul rogo (vedi gli eretici).
Leibniz stesso, che riteneva che questo mondo è il migliore dei mondi possibili, si ingannava. Il mondo è il prodotto delle scelte fatte dagli Esseri che lo abitano nel loro momento presente. Le scelte fatte nel presente di Leibniz determinano il futuro possibile che viene vissuto dagli individui che, nei loro presenti, seguono il presente vissuto da Leibniz. Non l'Artefice o il dio creatore determinano la qualità o la bellezza del presente, ma le generazioni di Esseri che ci hanno preceduto.
Platone ritiene di avere un'intelligenza. Un'intelligenza specifica rispetto ad altri animali. Ritiene di avere un intelletto, intelligenza, nous. Per questo; cosa ci può essere di più bello se non ciò che ha, come lui, intelletto? E l'Artefice, il dio ordinatore, non ha forse l'intelletto maggiore e migliore di ogni intelletto? E allora, che può fare l'Artefice, il dio creatore, se non mettere l'intelletto in un'anima e l'anima (come intesa da Platone) in un corpo?
A somiglianza di cosa l'Artefice ha composto l'universo? E' una domanda che si fa Platone e che io lascio senza risposta perché a domande frutto di delirio di onnipotenza seguono necessariamente risposte violente o malate.
Sappiamo che la vita va vissuta. Sappiamo che intelligenza, sensibilità, volontà, viene manifestata dai corpi. Sono qualità dei corpi. Corpi fisici che, date delle condizioni favorevoli, diventano coscienti separandosi dall'inconsapevole che li circonda.
Così guardiamo con dolcezza i signori del Mito che hanno attraversato il tempo per lasciarci degli echi affinché l'assolutismo non ci imponesse di chiudere la nostra mente col filo spinato.
Ci racconta Esiodo:
"Da Caos nacquero Erebo e nera Notte.
Da notte provennero Etere e Giorno
che lei concepì a Erebo unita in amore."
Esiodo, Teogonia, Editore BUR, (123-125), 1999, pag. 73
Ci racconta il Papiro di Derveni:
Le opere divine di Zeus, signore che tutto governa,
tutte le opere che egli portò alla perfezione per consiglio di nera Notte,
e pure la stirpe dei beati più giovani, che sempre sono,
i quali nacquero da Zeus, possente re.
Zeus, quando stava per ricevere dal padre suo nelle proprie mani il potere,
secondo quanto era stato profetizzato, e lo scettro glorioso,
meditò attentamente a quanto gli disse, dai suoi recessi,
la dea da cui scaturisce ogni presagio, nutrice degli Dei, Notte immortale;
ed essa, con i suoi vaticini, gli rivelò tutto ciò che a lui era consentito compiere,
così da regnare nella bella sede degli Déi sull'Olimpo coperto di neve.
"Le religioni dei misteri", Orfismo, a cura di Paolo Scarpi, Editore Lorenzo Valla, 2002, pag. 367
Gli stessi Sumeri-Babilonesi, dai quali gli ebrei trassero la loro idea di "creazione dal nulla" avevano un'idea cosmologica abbastanza precisa:
"Quando il Cielo fu allontanato dalla Terra,
Quando la Terra fu allontanata dal Cielo,
Quando il nome dell'uomo fu fissato.
Quando An ebbe tirato il Cielo,
Quando Enlil ebbe tirato la Terra..."
Da: Samuel Noah Kramer, "I sumeri alle radici della storia", Newton Compton Editori, 1979, pag. 84
La malattia di Platone, il delirio di onnipotenza che lo portava ad identificarsi con l'Artefice o, se si preferisce, col dio ordinatore del presente, ha favorito il delirio dei Neoplatonici prima e dei cristiani poi. Quando si separa l'intelligenza dagli oggetti del mondo; quando si separa la finalità dell'esistenza degli oggetti del mondo dall'esistenza degli oggetti del mondo per porli asserviti alla volontà di un Artefice al di fuori della vita, allora si nega la vita. Si nega la centralità del corpo, del proprio corpo, lo si condanna e ne si maledicono le pulsioni di vita. Si negano le attività creatrici degli Dèi che modificando il loro presente si sviluppano costruendo condizioni di sviluppo per altri Esseri di cui sono parte e dai quali ricevono trasformazione e sviluppo.
Né Platone, né i Neoplatonici possono negare la forza di trasformazione di Eros nell'esistente. Non possono negare la forza che gli Orfici mettono a fondamento della vita, ma devono uccidere la sua azione nei corpi come logica conseguenza del transfert patologico che Platone opera trasferendo l'intelligenza da "prerogativa dei corpi che manifestano la loro volontà" all'azione dell'Artefice che la "mette nell'anima e l'anima la mette nei corpi". Dunque, il corpo privato della propria volontà, della propria intelligenza e della propria sensibilità. Platone trasforma Eros in un demone (Simposio). Questa operazione, nelle Enneadi di Plotino, diventa:
"Dunque, l'anima perfetta che è rivolta verso all'Intelligenza è sempre pura, rifugge dalla materia e non vede, né s'accosta a questa cosa illimitata, senza misura e cattiva; essa rimane pura, completamente determinata dall'Intelligenza. Quell'"anima" che non rimane così ed esce da sé stessa, non essendo l'anima perfetta e prima, è solo un'immagine di questa per ciò che le manca ed è per questo che essa, ripiena di indeterminatezza, vede l'oscurità ed è già materiale, perché guarda ciò che "l'Anima superiore" non guarda: così come noi diciamo di vedere anche la oscurità"
Plotino, Enneadi I 8, 4, Editore Bompiani, 2000, pag. 153-155
Una volta attribuita l'Intelligenza all'Artefice e separato l'anima dal corpo; anziché considerare intelligenza, volontà, sentire come manifestazioni del corpo, viene favorita ogni degenerazione psichiatrica degli individui come conseguenza dell'alienazione dell'individuo dalla realtà divina in cui sta vivendo:
"L'intreccio, poi, non rende simpatetiche le cose intrecciate, il cui rapporto può rimanere privo di
Plotino, Enneadi, I 1, 4, Editore Bompiani, 2000, pag. 61
Che trasforma il concetto di Eros Orfico che spinge sia al venir in essere che alle trasformazioni verso l'infinito:
"Forse che ogni anima ha un tale Eros, che è sostanza ed ipostasi? E perché l'Anima universale e quella del mondo avrebbero un Eros ipostatico, e non l'avrebbero le nostre e quelle di tutti gli esseri viventi? Questo Eros è il demone che si dice accompagni ognuno di noi, ed è l'Eros di ciascuno. Esso produce in noi i desideri naturali; ogni anima ottiene per sé quanto corrispondente alla sua natura, e genera un Eros secondo i suoi meriti e la sua essenza.
L'Anima universale ha dunque un Eros universale; quelle particolari hanno il loro. E come l'anima dell'individuo sta all'anima universale, dalla quale non è separata, ma in cui è contenuta sicché tutte sono un'anima sola, così l'Eros dell'individuo sta all'Eros universale. L'Eros individuale è unito all'anima individuale, il grande Eros all'Anima universale e l'Eros del mondo al mondo intero in tutte le sue parti: questo unico Eros si moltiplica e si manifesta in ogni parte dell'universo dove vuole, assume aspetti particolari e appare quando vuole. Bisogna pensare che nell'universo ci sono molti Afroditi, demoni che nascono in esso ciascuno con un Eros proprio, e queste Afroditi con i loro propri Eros dipendono dall'Afrodite universale, poiché l'anima è madre di Eros e Afrodite è l'anima ed Eros è l'atto dell'anima che tende al bene. Eros conduce ogni anima verso la natura del bene; l'Eros dell'anima superiore è un dio che congiunge eternamente al Bene, quello dell'anima mista "alla materia" è un demone." Plotino, Enneadi III 5, 4
Plotino, Enneadi, III 5, 4, Editore Bompiani, 2000, pag. 419
La pretesa di porre l'Artefice, il Demiurgo, Dio, come ordinatore dell'universo, finisce per imporre l'Artefice, il Demiurgo, Dio, come padrone dell'uomo, ordinatore dell'uomo, soggetto che determina ciò che è bene e ciò che è male per l'uomo.
La patologia di Platone era la stessa patologia degli ebrei e dei cristiani anche se veicolata in condizioni culturali diverse. Condizioni determinate, essenzialmente, dalla violenza distruttiva con la quale i cristiani hanno imposto il loro criminale dio padrone trasformando la storia in una sequenza ininterrotta di genocidi.
L'uguaglianza di Platone e dei cristiani è strettamente legata alla patologia psichiatrica dell'incapacità di abitare il mondo per ciò che il mondo era: entrambi anelano alla città di dio, sia nella forma del popolo eletto, che nella forma di Agostino, che nella forma della Repubblica di Platone.
Le condizioni della malattia psichiatrica tendono a piegare il presente ai desideri di onnipotenza di chi descrive il presente, sia Platone, che i ritornati da Babilonia, che gli zeloti cristiani; i mezzi che ognuno di loro adotta per veicolare la propria malattia nella società sono relativi alle condizioni sociali e culturali che incontrano. Sono sempre scelte che distruggono il presente degli uomini.
Marghera, 25 settembre 2009
Nota ottobre 2025: ho sostituito la traccia di traduzione di Francesco Acri con la stessa traccia del Timeo tradotta da Giovanni Reale per Bompiani in "Socrate - tutti gli scritti", 2014. Il numero delle pagine si riferisce a quella edizione. Il commento rimane quello fatto sulla traduzione di Francesco Acri. Poche differenze ma che potrebbero alimentare immagini diverse. Acri usa termini come "fede" e "Artefice", mentre Reale le traduce in "credenza" e, spesso, usa il termine "Dio".
Nota originale del 2009: (il testo del Timeo di Platone è stato elaborato partendo dalla traccia della traduzione di Francesco Acri (19 marzo 1834; 21 novembre 1913).
N.B. Ai visitatori: non contate sulla traduzione; il mio scopo non è quello di fornire una traduzione dal greco di Timeo, ma solo quello di dimostrare l'incongruenza del pensiero di Platone con le necessità delle persone e la vita in generale.
Vedi i testi di filosofia degli ultimi secoli
La Teoria della Filosofia Aperta: quinto volume

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Claudio Simeoni
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Ultima modifica ottobre 2025
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