Platone (427 a.c. - 347 a.c.)

Teoria delle idee - Seconda parte

di Claudio Simeoni

Cod. ISBN 9788827811764

La Teoria della Filosofia Aperta: sesto volume

 

Filosofia Aperta su Platone

 

Ontologia e superstizione in Platone

 

O le idee sono molteplici, o il singolo uomo è in grado di manifestare un numero infinito di idee a seconda della quantità di relazioni che esprime nella sua vita.

La molteplicità va riferita alle Idee o alle relazioni dell'uomo che costruiscono le sue idee?

Il pensiero è la manifestazione dell'uomo che vive; o è il pensiero che ha manifestato l'uomo che vive?

Platone usa il "concetto" di "grandezza" come "idea" in sé. Una "grandezza" che viene "misurata" (lui dice "guardata con l'anima"). Ma con "l'anima" non guarda la "grandezza" ma le "altre cose grandi" che racchiude in un ideale insieme che chiama "grandezza". Questo insieme lo pensa come oggetto in sé. Come grandezza in sé. Ma si tratta di un insieme di cose definito soggettivamente, non di un oggetto in sé a cui le cose aderiscono.

Scrive Platone nel Parmenide:

«E poi, che cosa pensi di quest'altro problema?».
«Quale?».
«Io credo che tu sia giunto a pensare l'Idea una e singola per un ragionamento di questo tipo: quando ti sembra che vi sia una molteplicità di oggetti grandi, se li guardi tutti insieme pare che una qualche Idea sia unica e identica in tutti ugualmente· così credi che la grandezza sia una»:
«è vero» disse.
«E se con l'anima guardi allo stesso modo tutte queste realtà, la stessa grandezza e le altre cose grandi, non ti apparirà ancora una qualche grandezza, per la quale tutte queste ti appaiono grandi?».
«Sembrerebbe così».
«Emergerà così un'altra Idea di grandezza, accanto alla grandezza in sé e alle cose che ne partecipano, e rispetto a tutte queste ancora un'altra, per la quale tutte saranno grandi. Ma allora ogni Idea non sarà più una, ma infinita molteplicità»!.

Platone mente sapendo di mentire.

Avendo racchiuso un insieme di cose che definisce "grandi" (e che pertanto egli asserisce "partecipano alla grandezza") è rispetto a queste cose che si verificano vari ordini di grandezza non in relazione alla "grandezza" che senza le cose non sarebbe.

Inoltre, l'inganno di Platone è che le cose non sono "grandi", ma "appaiono grandi". E' il soggetto che determina la sensazione nell'apparire della cosa, non l'idea della cosa che si impone al soggetto.

Per questo motivo le cose grandi sono molteplici. Il soggetto chiama "grande" ogni oggetto che supera una determinata misura e dal momento che superare quella misura dà un'ipotetica infinità di misure che si possono superare, ci sono un'infinità di grandezze che si possono presentare al soggetto e che il soggetto definisce "grandi" in relazione a sé stesso.

Dal momento che il soggetto considerato è un Essere Umano, ciò che per un Essere Umano è soggettivamente grande per un soggetto, come una Galassia, è infinitamente piccolo.

Se anziché usare il termine "grandezza" per definire una certa idea, usiamo il termine "giustizia" le cose appaiono più socialmente comprensibili.

Giustizia è giusta o è ingiusta?

Un'azione fatta da giustizia è un'azione di giustizia. Il soggetto "giustizia" qualifica l'azione. Se "giustizia" fa una strage di uomini è un'azione di giustizia. Giustizia ha fatto un'azione ingiusta. Giustizia non è giustizia allo stesso modo che ciò che è "grandezza" per l'Essere Umano è "piccolezza" per la l'Essere Galassia.

Le molteplici azioni possono qualificare o negare "giustizia"; ma "giustizia" non qualifica necessariamente le azioni. "Giustizia" come oggetto non può esistere perché se esistesse "Giustizia" come oggetto, "Giustizia" potrebbe commettere ogni atrocità che verrebbe chiamata "Giustizia". Lo stesso vale per "grandezza" che non esiste al di fuori dell'opinione che di grande ne ha soggettivamente un soggetto.

E' un po' come il peso di un oggetto e il suo peso-massa. Il peso di un oggetto è relativo alla presenza della gravità terrestre. Eppure l'oggetto ha un peso in sé che prescinde dalla gravità. L'oggetto è, la gravità relativa di un pianeta determina la sua soggettività su quel pianeta. Il peso-massa si trasforma in peso moltiplicando la sua massa per la specifica gravità. Così il leggero sulla luna è il pesante su Giove, ma è sempre lo stesso oggetto in situazioni soggettive differenti. Lo stesso vale per "Giustizia". Il gesto dell'uomo che accoltella è cattivo o buono a seconda delle motivazioni soggettive per le quali accoltella. Ma è sempre l'uomo che accoltella e non può essere definito giusto o ingiusto, ma solo accoltellatore.

In questo modo, ciò che è grande non aderisce all'idea di grandezza, ma lo è secondo la mia misura e ogni soggetto misura il grande e il piccolo in relazione a sé stesso esattamente come Socrate e Platone misurano la bellezza in relazione a ciò che essi chiamano bello.

Scrive Platone nel Parmenide:

Può l'Idea essere intesa come un pensiero?
«A meno che, Parmenide, - obiettò Socrate - ciascuna delle Idee non sia un pensiero e non possa nascere in nessun altro luogo se non nelle nostre anime; così infatti sarebbe una e singola e non potrebbe subire più le difficoltà che prima erano poste».
«E che? - disse -. Ciascuno di questi pensieri è Uno, ma è pensiero di nulla?».
«Di qualcosa che è».
«Non forse di qualcosa di unitario, che il pensiero pensa singolarmente presente in tutte le cose, di cui costituisce una caratteristica comune?».
«Sì».
«Allora, non sarà Idea questo, che è pensato come Uno, sempre identico in tutte le cose?».
«Anche questa conclusione è necessaria».
«E allora? - riprese Parmenide -. Se dici che le altre cose partecipano delle Idee, non è necessario che tu ammetta che ogni cosa è formata da pensieri e tutto pensa, oppure che tutto è pensato ed è privo di pensiero?».

A meno che le idee non siano un pensiero e nascano da noi. Dalle nostre "anime", dice Socrate nel Parmenide di Platone.

Le idee sono il prodotto del soggetto che pensa il mondo, che vive nel mondo, che abita il mondo.

Questa obiezione è presente in Platone che la mette in bocca a Socrate.

Ed ecco arrivare in soccorso a Socrate Parmenide che afferma che il "pensiero che sorge dall'anima" è il pensato dell'Uno. Per questo, le idee che sorgono "dall'anima" come pensiero altro non sono che parte dell'Uno che pensa e l'idea del pensiero è presente in ogni "cosa di cui costituisce una caratteristica comune".

Se dici, dice Parmenide di Platone a Socrate, che le cose partecipano alle idee è necessario che tu, Socrate, ammetta che ogni cosa è formata da pensieri e tutto pensa, oppure che tutto è pensato e le cose sono prive di pensiero.

Il ragionamento è in sé una trappola retorica.

O dici che tutto pensa e le cose pensano o dici che nulla pensa, ma è pensato e colui che pensa esprime l'idea del pensare a cui l'uomo aderisce. Da qui l'uomo pensa il pensiero che lo pensa. In questo modo aderisce alle idee perché pensa le idee che lo pensano.

A questo punto Socrate, nel Parmenide di Platone, rifiuta il ragionamento di Parmenide e afferma che le "Idee" sono una sorta di modelli (una sorta di archetipi junghiani) e gli oggetti della realtà assomigliano ad esse o sono prodotti da esse come delle copie.

Per Socrate, nel Parmenide di Platone, le cose sono fatte ad immagine e somiglianza delle "Idee".

Le cose somigliano alle "Idee" che sono i modelli delle cose come gli archetipi junghiani sono i modelli sui quali si costruisce la realtà.

Le idee sono oggetti ai quali aderisce la realtà. Ma la realtà non aderisce esattamente uguale all'idea, ma è simile all'"Idea". "L'idea" contiene una sorta di perfezione alla quale la realtà tende diventando, di fatto, simile all'"Idea".

Da qui la convinzione che il simile partecipi al simile in quanto partecipano della medesima "idea".

Può l'uomo conoscere le Idee?

Seguiamo questo nuovo ragionamento sulle Idee proposto da Platone nel Parmenide.

Le idee sono state poste al di fuori degli Esseri. Non sono le coscienze che esprimono le idee relative ai loro corpi desideranti, ma sono le idee oggetti in sé che vengono espresse per similitudine dagli Esseri viventi.

Se le idee sono come Platone le afferma nel Parmenide, è chiaro che le idee sono ciò che l'uomo pensa in relazione alle condizioni e alle contraddizioni della sua esistenza.

Le idee, come espresse da Platone, non esistono in quanto quelle idee non hanno corpi con cui rappresentarsi.

Le idee espresse da Platone appartengono ad un inconoscibile perché sono pure affermazioni di una patologia soggettiva che non trova riscontro nei dati di realtà. Le espressioni della patologia soggettiva sono inconoscibili se non per gli effetti manifestati dal corpo sofferente che a quella patologia risponde mediante le sue azioni.

Scrive Platone nel Parmenide:

«Perché, Socrate, penso che chiunque creda, come te, all' esistenza in sé di una qualche realtà per ciascun oggetto, dovrebbe riconoscere in primo luogo che nessuna di queste è in noi».
«Infatti, altrimenti come potrebbe questa essere esistente in sé?» rispose Socrate.

Il credere di Socrate è antitetico ad ogni dato di realtà.

Non stiamo parlando di "io penso questo di un dato di realtà", ma stiamo parlando di "io credo in questo". Non stiamo parlando di una forma di pensiero diverso da un'altra rispetto ad esperienze vissute, ma stiamo parlando di espressioni di patologia psichiatrica soggettive che si esprimono in una credenza avulsa da ogni dato di realtà.

L'oggetto, in quanto oggetto, ha una realtà in sé e tale realtà è al di fuori della mia coscienza. E' altro da me.

Ma il concetto che io esprimo nei confronti dell'oggetto non può essere separato dalla mia coscienza perché il concetto sull'oggetto è il mio vissuto in relazione a quell'oggetto. Il fatto che io abbia delle relazioni con l'oggetto non significa che io determini la realtà dell'oggetto, al massimo posso concorrere nelle modificazioni dell'oggetto date le relazioni che intrattengo con l'oggetto.

Il mio pensare l'oggetto, la mia "idea" dell'oggetto è appunto, la mia "idea" dell'oggetto che non può essere separata da me e affermare che quanto io esprimo non è in me, significa privare il mio corpo delle sue caratteristiche. Un conto è l'oggetto tavolo che è separato da me e un conto è l'idea di grandezza, funzionalità o piccolezza che io posso attribuire al tavolo che non può essere separata da me in quanto io la manifesto in relazione al tavolo.

Se è logico affermare che il tavolo è separato da me, è illogico, fuorviante e fallace affermare che quanto affermo del tavolo sia separato da me. L'"Idea" del tavolo è in me perché parte della mia esperienza del mondo. Il tavolo è un oggetto diverso da me.

In questo contesto, Platone non sta affermando che il tavolo sia diverso da me. Sta affermando che l'"Idea" del tavolo sia diversa da me. Io che penso il tavolo vengo privato della mia capacità di pensare il tavolo perché il pensare il tavolo è un oggetto diverso da me. Appartiene ad un'"idea" che è fuori di me.

Questo meccanismo è proprio della visione ontologica delle cose. Dal momento che pensare il tavolo è un'"Idea" fuori di me che ha una sua realtà al di fuori di me, qualunque cosa io pensi, allucinazioni, illusioni effetti di malattia mentale, effetti di droghe, ecc. hanno una loro realtà fuori di me alla quale io aderisco. Sono oggetti in sé. Dal momento che penso un oggetto, quell'oggetto deve esistere perché altrimenti non lo potrei pensare in quanto ha una sua realtà nel mondo delle "Idee".

Scrive Platone nel Parmenide:

«Dici bene. Dunque - riprese - anche le Idee, che sono quello che sono nelle loro relazioni reciproche, hanno il loro essere in questo rapporto, ma non nelle relazioni con le realtà, siano esse copie o qualche altra cosa, che sono presso di noi e di cui noi partecipiamo, dando a ciascuna il proprio nome. Queste realtà, poi, che sono presso di noi e che hanno lo stesso nome di quelle, sono anch'esse quello che sono nella loro relazione reciproca e non in relazione alle Idee, e traggono il nome da se stesse e non da quelle Idee».

Affermare che le "idee sono quello che sono" significa affermare una realtà ontologica propria di un'immaginazione desiderante che si sostituisce alla realtà. La realtà diventa l'immaginazione che nega il reale per imporsi come oggettiva all'individuo imprigionando in essa il suo vivere. La realtà virtuale sostituisce la realtà delle relazioni e l'individuo costruisce relazioni con un sé stesso immaginato come altro da sé.

In questa realtà virtuale le "Idee" vengono immaginate come un mondo a sé stante. Un mondo che sta sopra l'uomo e che controlla il pensiero e le emozioni dell'uomo (mediante l'anima). Un mondo superstizioso al quale l'uomo piega la qualità della sua esistenza perché nulla può esistere senza che quel mondo intervenga nella sua attività.

Il mondo delle "idee" è un mondo che pensa sé stesso in quanto "idee" e che si impone all'uomo che scimmiotta le "idee" esprimendo similitudini "ideali" che altro non sarebbero che una parvenza delle "Idee" che si esprimono in lui.

Una realtà ontologica a cui l'uomo aderisce passivamente senza esserne parte. Una "realtà" che sarebbe presso di "noi" e che pur avendo lo stesso nome delle "Idee" non è la medesima realtà che vive relazioni diverse dalle relazioni delle "Idee". Un esercizio retorico il cui scopo è privare l'uomo del proprio vivere il mondo separando dall'uomo tutte le caratteristiche che rendono l'uomo un corpo vivente che costruisce le sue relazioni con altri corpi viventi.

Il progetto di Platone nel rendere l'uomo schiavo di un mondo di "Idee", e dunque schiavo in sé stesso, appare chiaro nell'esempio delle relazioni che Platone usa nel Parmenide.

Scrive Platone nel Parmenide:

«In che senso?» chiese Socrate,
«In questo - rispose Parmenide-. Se uno di noi è padrone o servo, non è certo servo del padrone in sé, di ciò che è in sé padrone, né il padrone è padrone del servo in sé, di ciò che è in sé servo, ma, essendo uomo, è l'uno o l'altro rispetto a un uomo. Invece l'essere padrone in sé è ciò che è in relazione all' essere servo in sé, e a sua volta l'essere servo è tale in relazione allo stesso essere padrone, mentre le cose che sono presso di noi non hanno alcun potere su quelle, né quelle sulle nostre. Ma, come dico, quelle sono in sé e in rapporto a se stesse, come anche queste nostre in rapporto a loro stesse. O non capisci quello che voglio dire?».
«Capisco perfettamente» disse Socrate.

Gli intenti di Platone con la teoria delle "Idee" appaiono chiari.

L'oggetto del contendere sono le relazioni sociali.

Il concetto di padrone e di schiavo in Platone non sono delle relazioni sociali, ma sono espressione delle "idee".

Il padrone viene dal mondo delle "idee"; lo "schiavo viene dal mondo delle "idee": una condizione ontologica che legittima una realtà imposta con la violenza e che serve a negare la violenza con cui è possibile modificare quella relazione sociale.

Platone non dice "Se uno di noi è diventato padrone.", ma dice "Se uno di noi è padrone…". Non una situazione in trasformazione, ma una situazione in essere dove la realtà delle condizioni è determinata da una realtà altra, la realtà delle "Idee", di cui la realtà sociale è solo un'imitazione passiva.

Come il padrone è e lo schiavo è; così nel mondo delle idee il padrone è in sé e lo schiavo è in sé.

Dal momento che ciò che è presso di noi non ha relazione con le Idee e dal momento che le "Idee" hanno relazioni solo fra di loro, la condizione padrone-schiavo è preservata anche quando lo schiavo detronizza il padrone perché è l'unica condizione che può mettere in atto facendo propria l'idea di padrone in sostituzione all'idea di schiavo che precedentemente aveva fatto propria.

L'odio di Platone per la democrazia è evidente. Perché alla condizione padrone-schiavo non ha opposto l'idea di "democrazia"? Perché la funzione delle "Idee", estraniate dalla condizione esistenziale dell'uomo, è un metodo per controllare l'uomo in un'ossessiva condizione di padrone e schiavo. La democrazia non è un'"Idea" perché la "democrazia" è una condizione capace di determinare le relazioni del soggetto con i soggetti del mondo e quando il mondo è pensato come soggetti che agiscono e progettano nel mondo, non possono essere pensati come oggetti che manifestano "idee" esterni ad essi.

La teoria delle "idee" di Platone è la teoria della schiavitù dell'uomo. Una schiavitù che nega all'uomo la condizione di esistenza in un mondo che costruisce le condizioni di esistenza rendendolo passivo davanti ad un sistema di "idee" che altro non sono che il prodotto di un padrone che pretende che il suo schiavo faccia propria l'"Idea" di essere uno schiavo. Il suo schiavo.

Allo stesso modo Platone priva l'uomo della conoscenza negando all'uomo il conoscere col quale vive la sua esistenza. Questa negazione della conoscenza esistenziale dell'uomo è l'elemento centrale dell'Apologia a Socrate. Socrate, dipingendo sé stesso l'uomo più sapiente del mondo, nega a tutti gli uomini la conoscenza esistenziale. Nega agli uomini la capacità di affrontare i loro problemi in quanto, secondo Socrate, non sanno argomentare.

Per questo motivo, nella teoria delle "Idee" Platone afferma la "verità" come "idea" della scienza affermando che la scienza è in quanto manifestazione dell'"Idea" di verità.

Scrive Platone nel Parmenide:

«Dunque - riprese - anche la stessa scienza, quella che è in quanto scienza, sarà scienza di quella stessa verità che è in quanto verità?».
«Invece ciascuna delle scienze, per quanto è in sé, sarà scienza di ciascuno degli esseri, per quanto è ciascuno in sé, oppure no?».
«E la scienza presso di noi non sarà forse scienza della verità che è presso di noi, e ciascuna delle scienze che sono presso di noi non sarà forse scienza di ciascuno degli esseri che sono presso di noi?».

Platone antepone la verità alla scienza. La scienza, per Platone, non è "ricerca del vero" messo in atto da un soggetto che abita il mondo, ma è la manifestazione di un'"idea" di verità che in quanto tale si manifesta nell'uomo.

Nell'Apologia a Socrate Platone afferma che Socrate è l'uomo più sapiente del mondo. Questo perché la verità, come idea, si è rivelata in Socrate, non perché Socrate si è trasformato nelle relazioni con il mondo.

In questo modo come la verità si rivela come scienza nell'uomo, così si rivela l'essere padrone nell'uomo o il suo essere schiavo o il suo essere sapiente o il suo essere saggio o il suo essere idiota.

Tutto diventa rivelazione e manifestazione delle "Idee" che l'uomo può vivere passivamente in una condizione di perenne sudditanza.

Per Platone, nulla appartiene all'uomo, alla sua vita, al suo divenire. Tutto è manifestazione delle "Idee" nell'uomo. "Idee" che sono inconoscibili dall'uomo ma che l'uomo deve pensare che esistano e che determinano il suo essere nella sua esistenza.

La visione ontologica della vita è propria dell'idea dell'esistenza di Platone.

Le "Idee" diventano superstizione che condizionano la vita degli individui. Una superstizione nascosta in una dimensione ontologica nella quale l'uomo deve credere. Una credenza violenta perché capace di determinare la condizione della sua esistenza.

Scrive Platone nel Parmenide

«Ma le Idee in sé, come tu stesso ammetti, non sono né possono essere presso di noi».
«E gli stessi generi, nella loro singolarità, non sono forse conosciuti in qualche modo da un'Idea in sé, quella di scienza?».
«Quindi, nessuna delle Idee è conosciuta da noi, poiché non partecipiamo della scienza in sé».
«Sarà quindi inconoscibile per noi lo stesso bello, in quanto è tale, e il bene e tutte quelle che noi ammettiamo esistere come Idee in sé»,

Credere in una dimensione ontologica in cui la superstizione determina la realtà e negare la realtà del vissuto dell'uomo nella formazione della sua esperienza.

La teoria delle Idee di Platone ha questo scopo: privare l'uomo delle sue idee sul mondo svotandolo di volontà nelle relazioni della sua esistenza.

Rendere l'uomo un soggetto passivo e, una volta che Platone lo ha reso passivo, agire in modo da dominare l'uomo legittimando un'autorità il cui potere nasce dal controllo delle Idee di cui Platone si fa portavoce.

Marghera, 28 marzo 2017

NOTA: Le citazioni del Parmenide di Platone sono tratte da "Platone – tutti gli scritti" a cura di Giovanni Reale traduzione di Maurizio Migliori edito da Bompiani Editore edizione 2014

 

 

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Marghera, 28 marzo 2017

Claudio Simeoni

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Le idee si presentano alla ragione come dei lampi intuitivi. Illuminano per un attimo la ragione e poi tendono a sparire annullate da una ragione che tende a riprendere il controllo sull'individuo. Le idee sono un'emozione che insorge con violenza dentro di noi e modifica la nostra descrizione del mondo, una descrizione che la ragione tende a ripristinare ma che l'emozione ha definitivamente compromesso. Una nuova descrizione, una nuova filosofia emerge dentro di noi e noi, qualunque sia il nostro grado di cultura, dobbiamo comunque confrontarla con la cultura del mondo in cui viviamo.