Il concetto di LIBERTA' è sempre attribuito al singolo individuo. Quando è attribuito ad una società o ad un'organizzazione, è sempre e solo dispotismo!

Lauso Zagato
"La tutela della libertà religiosa nel sistema ONU e nei sistemi regionali"
"Diritti Umani e Religioni:
il ruolo della libertà religiosa"

Riflessioni ed osservazioni di Claudio Simeoni

La Conferenza Generale, UNESCO - 2003 Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici
Assemblea Generale dell'ONU il 16 dicembre 1966 è entrato in vigore il 23 marzo 1976

Indice interventi Convegno di Studio dal titolo "Diritti Umani e Religioni:
il ruolo della libertà religiosa" tenuto a Venezia dal 4 al 6 dicembre 2008

 

Lauso Zagato

 

Riflessioni relative al Convegno di Studio dal titolo "Diritti Umani e Religioni: il ruolo della libertà religiosa" tenuto a Venezia dal 4 al 6 dicembre 2008 e organizzato dal CIRDU (Centro Interdipartimentale di Ricerca sui Diritti Umani) dell'Università Ca' Foscari di Venezia.

 

L'intervento del professor Lauso Zagato dell'università Ca' Foscari di Venezia viene commentato partendo dalla registrazione e dagli appunti in sala.

La relazione del professor Zagato dura circa 36 minuti.

Nella sua relazione il professor Zagato tende a sottolineare l'aspetto culturale, come enunciato dalla dichiarazione dell'UNESCO del 2003 (che con l'occasione inserisco nella pagina), la questione del "genocidio culturale" che non poté essere introdotta negli anni '40 nel diritto internazionale e alcune discrepanze che rileva fra lettera del diritto alla libertà religiosa e alcune sentenze della Corte di Strasburgo. Inoltre, uno dei riferimenti di cui parla il professor Zagato, è il "Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici", in particolare l'articolo 18 e l'articolo 27.

Tutto l'intervento del professor Zagato è caratterizzato da una certa difficoltà ad individuare motivi originali rispetto agli argomenti che i suoi colleghi hanno trattato prima di lui. Ascoltando la registrazione ho avuto l'impressione che avesse rinunciato a seguire un proprio discorso per adattarsi alle condizioni che il Convegno di studi aveva creato con i vari interventi.

Ho una certa difficoltà a seguire il filo dell'intervento del professor Zagato, ma commentare il suo intervento mi permette di intervenire sia sulla dichiarazione della Conferenza generale dell'Unesco che del "Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici", che nelle altre conferenze non avevo preso in considerazione o non avevo colto l'uso che ne facevano i relatori.

Il professor Zagato inizia col domandarsi se nel campo dei diritti ci sia qualche cosa di nuovo a quanto già si è detto in relazione all'articolo 18 del Patto Internazionale sui diritti Civili e Politici e l'articolo 9 della Carta Europea dei Diritti dell'uomo.

Una diversità, da quanto hanno trattato i relatori che lo hanno preceduto, la trova nella dichiarazione dell'UNESCO del 2003 e in particolare in quegli articoli che si riferiscono alla tutela culturale dei popoli indigeni. Dice il professor Zagato che, mentre prima si faceva riferimento "alle società", con la dichiarazione dell'UNESCO si fa riferimento alle "entità culturali" anche all'interno di Stati e di società più vasti.

Riporto la dichiarazione dell'UNESCO:

"La Conferenza Generale,
UNESCO - 2003

Impegnata nella piena realizzazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali proclamati nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell|'uomo e negli altri accordi internazionali del 1966 relativi, rispettivamente, ai diritti civili e politici e a quelli economici, sociali e culturali;
Ricordando che il preambolo della costituzione dell'UNESCO afferma che ‘l'ampia diffusione della cultura e l'educazione degli uomini alla giustizia, alla libertà e alla pace sono indispensabili alla dignità dell'uomo e costituiscono un dovere primario che tutte le nazioni sono tenute a rispettare in uno spirito di mutua assistenza e interesse ';
Richiamandosi inoltre all'art. I della Costituzione che assegna all'UNESCO, fra i vari compiti, quello di raccomandare "gli accordi internazionali che possono essere necessari per promuovere la libera circolazione di idee utilizzando parole ed immagini";
In riferimento a quanto previsto in merito alla diversità culturale e all'esercizio dei diritti culturali negli accordi internazionali stipulati dall'UNESCO 1;
Riaffermando che la cultura dovrebbe essere considerata come un insieme dei distinti aspetti presenti nella società o in un gruppo sociale quali quelli spirituali, materiali, intellettuali ed emotivi, e che include sistemi di valori, tradizioni e credenze, insieme all'arte, alla letteratura e ai vari modi di vita 2;
Notando che la cultura è il cuore dei dibattiti contemporanei che vertono sull'identità, la coesione sociale e sullo sviluppo di un'economia fondata sulla conoscenza;
Affermando che il rispetto per la diversità fra le culture, la tolleranza, il dialogo e la cooperazione, in un clima di fiducia e comprensione reciproca, costituiscono le migliori garanzie per la pace e la sicurezza internazionale;
Aspirando ad una maggiore solidarietà sulla base del riconoscimento della diversità culturale, della consapevolezza dell'unicità del genere umano e dello sviluppo degli scambi interculturali;
Considerando che il processo di globalizzazione, facilitato dal rapido sviluppo delle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione, benché rappresenti una sfida per le diversità culturali, crea le condizioni per un rinnovato dialogo fra le varie culture e civiltà ;
Consapevole dello specifico mandato che è stato assegnato all'UNESCO, nel quadro dell'Organizzazione delle Nazioni Unite al fine di assicurare la tutela e promozione della feconda diversità delle culture;
Proclama i principi che seguono e adotta la presente Dichiarazione:

IDENTITA'. DIVERSITA' E PLURALISMO

Articolo 1 – La diversità culturale: il patrimonio comune dell'umanità

La cultura assume forme diverse attraverso il tempo e lo spazio. Questa diversità si incarna nell'unicità e nella pluralità delle identità dei gruppi e delle società che costituiscono l'umanità. Come fonte di scambio, innovazione e creatività, la diversità culturale è necessaria per l'umanità quanto la biodiversità per la natura. In questo senso, è il patrimonio comune dell'umanità e dovrebbe essere riconosciuta e affermata per il bene delle generazioni presenti e future.

Articolo 2 – Dalla diversità culturale al pluralismo culturale

Nelle nostre società sempre più differenziate, è essenziale assicurare un'interazione armoniosa e un voler vivere insieme di persone e gruppi con identità culturali molteplici, variate e dinamiche. Le politiche per l'inclusione e la partecipazione di tutti i cittadini sono garanzie di coesione sociale, della vitalità della società civile e della pace. Definito in questo modo, il pluralismo culturale dà espressione politica alla realtà della diversità culturale. Indissociabile da un quadro democratico, il pluralismo culturale favorisce lo scambio culturale e lo sviluppo delle capacità creative che sostengono la vita pubblica.

Articolo 3 – La diversità culturale come fattore di sviluppo

La diversità culturale amplia la gamma di opzioni aperte a tutti; è una delle radici dello sviluppo, inteso non semplicemente in termini di crescita economica, ma anche come mezzo per raggiungere un'esistenza più soddisfacente dal punto di vista intellettuale, emotivo, morale e spirituale.

DIVERSITA' CULTURALE E DIRITTI UMANI

Articolo 4 – I diritti umani come garanzie della diversità culturale

La difesa della diversità culturale è un imperativo etico, inseparabile dal rispetto per la dignità umana. Questo comporta un impegno a livello di diritti umani e di libertà fondamentali, in particolare dei diritti delle persone che appartengono a minoranze e quelli delle popolazioni indigene. Nessuno può appellarsi alla diversità culturale per violare i diritti umani garantiti dal diritto internazionale, né per limitarne la portata.

Articolo 5 – I diritti culturali come ambiente favorevole alla diversità culturale

I diritti culturali sono parte integrante dei diritti umani, che sono universali, indivisibili e interdipendenti. Lo sviluppo di una diversità creativa esige la piena realizzazione dei diritti culturali come definiti dall'Articolo 27 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'uomo e dagli Articoli 13 e 15 della Convenzione Internazionale relativa ai diritti economici sociali e culturali. Ogni persona deve così potersi esprimere, creare e diffondere le sue opere nella lingua di sua scelta e in particolare nella propria lingua madre; ogni persona ha il diritto ad una educazione e ad una formazione di qualità che rispettino pienamente la sua identità culturale; ogni persona deve poter partecipare alla vita culturale di sua scelta ed esercitare le sue attività culturali nei limiti imposti dal rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali.

Articolo 6 – Verso un accesso alla diversità culturale per tutti

Oltre ad assicurare la libera circolazione di idee attraverso parole e immagini, bisogna vegliare affinché tutte le culture possano esprimersi e di farsi conoscere. La libertà di espressione, il pluralismo dei media, il multilinguismo, l'accesso paritario all'arte e alla conoscenza scientifica e tecnologica, compreso il formato digitale, e la possibilità data a tutte le culture di accedere ai mezzi di espressione e di diffusione sono le garanzie della diversità culturale.

DIVERSITA' CULTURALE E CREATIVITA'

Articolo 7 – Il patrimonio culturale come fonte principale della creatività

La creazione si basa sulle radici della tradizione culturale, ma si sviluppa in contatto con altre culture. Per questo motivo, il patrimonio in tutte le sue forme deve essere conservato, valorizzato e trasmesso alle generazioni future come testimonianza dell'esperienza e delle aspirazioni umane, in modo da incoraggiare la creatività in tutta la sua diversità e da ispirare un dialogo autentico tra culture.

Articolo 8 – Beni e servizi culturali : dei prodotti unici

A fronte del cambiamento economico e tecnologico di questo momento storico, che apre ampie prospettive di creazione e innovazione, bisogna prestare particolarmente attenzione alla diversità dell'offerta di lavoro creativo, al dovuto riconoscimento dei diritti degli autori e degli artisti come alla specificità di beni e servizi culturali che, quali vettori di identità, valori e significati, non devono essere trattati come semplici prodotti o merci di consumo.

Articolo 9 – Le politiche culturali come catalizzatori della creatività

Oltre ad assicurare la libera circolazione delle idee e delle opere, le politiche culturali devono creare condizioni favorevoli alla produzione e alla diffusione di beni e servizi culturali diversificati attraverso industrie culturali che abbiano modo di affermarsi a livello sia locale che globale. Ogni Stato, con il dovuto riguardo ai suoi obblighi internazionali, ha il compito di definire la sua politica culturale e di realizzarla con i mezzi che ritiene opportuni, sia tramite sostegni operativi, sia tramite cornici normative appropriate.

DIVERSITA' CULTURALE E SOLIDARIETA' INTERNAZIONALE

Articolo 10 – Rafforzare le capacità di creazione e di diffusione a livello mondiale

A fronte degli attuali squilibri nella circolazione e negli scambi di beni e servizi culturali a livello globale, è necessario rafforzare la cooperazione e la solidarietà internazionale con lo scopo di dare a tutti i Paesi, soprattutto a quelli in via di sviluppo e quelli in fase di transizione, la possibilità di stabilire industrie culturali che siano vitali e competitive a livello nazionale e internazionale.

Articolo 11 – Istituire collaborazioni fra il settore pubblico, il settore privato e la società civile

Le sole forze del mercato non possono garantire la conservazione e la promozione della diversità culturale, che è la chiave dello sviluppo umano sostenibile. Da questa prospettiva, il primato della politica pubblica, in collaborazione con il settore privato e con la società civile, deve essere riaffermato.

Articolo 12 – Il ruolo dell'UNESCO

L'UNESCO, in virtù del suo mandato e delle sue funzioni, ha la responsabilità di:
a)Promuovere l'integrazione dei principi stabiliti nella presente Dichiarazione nelle strategie di sviluppo elaborate all'interno dei vari organismi intergovernativi;
b) Servire come punto di riferimento e come forum dove gli stati, le organizzazioni
governative e non governative, la società civile e il settore privato possano trovarsi insieme per elaborare concetti, obiettivi e politiche in favore della diversità culturale;
c)Perseguire le sue attività per stabilire standard, stimolare la consapevolezza e sviluppare capacità nelle aree collegate alla presente Dichiarazione all'interno dei suoi

campi di competenza;

d) Facilitare la realizzazione del Piano di Azione, le cui principali linee sono allegate alla

Presente Dichiarazione.

LINEE PRINCIPALI DI UN PIANO DI AZIONE PER LA REALIZZAZIONE DELLA DICHIARAZIONE UNIVERSALE DELL'UNESCO SULLA DIVERSITA' CULTURALE

Gli Stati Membri si impegnano a prendere misure appropriate per diffondere ampiamente la "Dichiarazione Universale dell'UNESCO sulla Diversità Culturale", cooperando in particolare con l'intenzione di raggiungere i seguenti obiettivi:

1.Approfondire il dibattito internazionale su questioni connesse alla diversità culturale, in particolare per quanto riguarda i suoi legami con lo sviluppo e il suo impatto sulla formulazione di politiche, a livello sia nazionale che internazionale; portando avanti soprattutto la considerazione dell'opportunità di uno strumento legale internazionale sulla diversità culturale.

2.Avanzare sul fronte della definizione di principi, standard e pratiche, a livello sia nazionale che internazionale, oltre che di modalità di sviluppo della consapevolezza e modelli di cooperazione, che siano piu idonei alla salvaguardia e alla promozione della diversità culturale.

3.Incoraggiare lo scambio di conoscenze e sistemi validi riguardanti il pluralismo culturale con lo scopo di facilitare, in società diversificate, l'inclusione e la partecipazione di persone e gruppi provenienti da vari percorsi culturali .

4.Avanzare ulteriormente nel cammino verso la comprensione e la chiarificazione del contenuto dei diritti culturali come parte integrante dei diritti umani.

5.Salvaguardare il patrimonio linguistico dell'umanità e offrire sostegno all'espressione, alla creazione e alla diffusione nel numero maggiore possibile di lingue.

6.Incoraggiare la diversità linguistica – pur rispettando la madrelingua – a tutti i livelli di istruzione, ovunque possibile, e incoraggiare l'apprendimento di diverse lingue a partire dall'infanzia.

7.Promuovere attraverso l'istruzione una consapevolezza della valenza positiva della diversità culturale e migliorare a questo scopo sia la programmazione che la formazione degli insegnanti.

8.Inserire, dove appropriato, le pedagogie tradizionali nel processo educativo con lo scopo di conservare e ottimizzare i metodi culturalmente appropriati per la comunicazione e la trasmissione del sapere.

9.Incoraggiare l' "alfabetizzazione digitale" e assicurare una maggiore padronanza delle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione, che dovrebbero essere viste sia come disciplina educativa che come strumenti pedagogici in grado di valorizzare l'efficacia dei servizi educativi.

10.Promuovere la diversità linguistica nel cyberspazio e incoraggiare l'accesso universale attraverso la rete globale a tutte le informazioni di pubblico dominio.

11.Contrastare il divario digitale, in stretta cooperazione con le istituzioni competenti del sistema rilevanti delle Nazioni Unite, incoraggiando l'accesso alle nuove tecnologie da parte dei paesi in via di sviluppo, aiutandoli a padroneggiare le tecnologie dell'informazione e facilitando la diffusione digitale dei prodotti culturali endogeni e l'accesso da parte di questi paesi alle risorse digitali educative, culturali e scientifiche disponibili a livello mondiale.

12.Incoraggiare la produzione, la salvaguardia e la diffusione di contenuti diversificati nei media e nelle reti globali di informazione e, a questo scopo, promuovere il ruolo dei servizi radiotelevisivi pubblici nello sviluppo di produzioni audiovisive di qualità, in particolare incoraggiando la creazione di meccanismi cooperativi per facilitare la loro distribuzione.

13.Formulare politiche e strategie per la conservazione e la valorizzazione del patrimonio culturale e naturale, in particolare il patrimonio culturale orale e immateriale, e combattere il traffico illegale di beni e servizi culturali.

14.Rispettare e proteggere la conoscenza tradizionale, in particolare quello delle popolazioni indigene; riconoscere il contributo della conoscenza tradizionale, soprattutto per quanto riguarda la protezione dell'ambiente e la gestione delle risorse naturali, e incoraggiare le sinergie tra la scienza moderna e la conoscenza locale.

15.Incoraggiare la mobilità di creatori, artisti, ricercatori, scienziati e intellettuali e lo sviluppo di programmi e collaborazioni di ricerca internazionale, e allo stesso tempo impegnarsi per conservare e valorizzare la capacità creativa dei paesi in via di sviluppo e dei paesi in transizione.

16.Assicurare la protezione del copyright e del diritto d'autore ad esso collegati nell'interesse dello sviluppo della creatività contemporanea e della giusta remunerazione del lavoro creativo, e allo stesso tempo sostenere il diritto pubblico di accesso alla cultura, in accordo con l'Articolo 27 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'uomo.

17.Assistere la manifestazione e il consolidamento delle industrie culturali nei paesi in via di sviluppo e nei paesi in transizione e, a questo scopo, cooperare allo sviluppo delle infrastrutture e abilità necessarie, incoraggiando la comparsa di mercati locali vitali, e semplificare l'accesso ai prodotti culturali di questi paesi al mercato globale e alle reti di distribuzione internazionale.

18.Sviluppare politiche culturali, elaborati per promuovere i principi contenuti nella Dichiarazione, compresi accordi di supporto operativo e/o quadri normativi appropriati , in accordo con gli obblighi internazionali di ogni Stato.

19.Coinvolgere da vicino la società civile nell'elaborazione di politiche pubbliche dirette a salvaguardare e promuovere la diversità culturale.

20.Riconoscere e incoraggiare il contributo che il settore privato può offrire per valorizzare la diversità culturale e facilitare a questo scopo la creazione di forum di dialogo tra il settore pubblico e quello privato.

Gli Stati Membri raccomandano che il Direttore Generale prenda in considerazione gli obiettivi stabiliti in questo Piano di Azione nella realizzazione dei programmi dell'UNESCO e comunichi questi ultimi alle istituzioni facenti parte del sistema delle Nazioni Unite e ad altre organizzazioni intergovernative e non governative interessate, al fine di rafforzare la sinergia delle azioni in favore della diversità culturale.

1.Tra queste, in particolare, l'Accordo di Firenze del 1950 e il suo Protocollo di Nairobi del 1976, la Convenzione Universale sui diritti d'autore del 1952, la Dichiarazione dei Principi della Cooperazione culturale internazionale del 1966, la Convenzione sui mezzi per proibire e impedire l'importazione, l'esportazione e il trasferimento di proprietà illegali di beni culturali (1970), la Convenzione per la protezione del patrimonio culturale e naturale mondiale del 1972, la Dichiarazione dell'UNESCO sulla razza e sui pregiudizi razziale del 1978, la Raccomandazione riguardante lo status dell'artista del 1980, e la Raccomandazione sulla salvaguardia della cultura tradizionale e popolare del 1989.

2. Questa definizione è in linea con le conclusioni della Conferenza mondiale sulle politiche culturali (MONDIACULT, Città del Messico, 1982), della Commissione mondiale sulla cultura e lo sviluppo (La nostra diversità creativa, 1995), e della Conferenza intergovernativa sulle politiche culturali per lo sviluppo (Stoccolma, 1998).

Tratta dalla pagina:

//www.niewiem Dichiarazione +UNESCO

La tutela del gruppo o entità culturale, viene indicata come fonte di ricchezza sociale. Una ricchezza sociale che, come tale, deve essere tutelata e non per meri interessi turistici, ma come patrimonio sociale.

Per la prima volta ci sono delle norme internazionali, dei riscontri pratici che danno questi strumenti sia per gli indigeni che altre culture del continente africano o asiatico. Si tratta di obblighi di protezione e di rispetto dei diritti umani individuali. E' da capire: il diritto umano è un diritto chiuso nella sfera individuale o comporta delle ricadute pratiche nella società? Come per il diritto di religione si è posto sin dall'inizio la questione se si tratta di una protezione individuale o di una protezione collettiva; dei diritti di una religione. Si tratta di obblighi di protezione nel senso che i diritti umani sono, secondo il professor Zagato, essenzialmente mal individuati.

Ciò che il professor Zagato non dice, o non vuole dire, è che non basta la dichiarazione dell'ONU, della Comunità Europea o della Corte di Cassazione per determinare un principio, ma è necessaria anche la forza sociale e la mobilitazione affinché quel principio venga applicato nel senso e nello spirito della legge e della norma. Altrimenti, i vari potentati, lobbies, mafie o chiese, useranno quel principio per garantirsi degli spazi, dei diritti, di agire anche e soprattutto in disprezzo dei cittadini e delle persone al fine di garantirsi diritti a discapito dei diritti che dovrebbero essere garantiti alle persone. La loro libertà per imporre la loro libertà religiosa al cittadino che deve sottomettersi a quella religione; la libertà del cittadino come libertà di sottomissione a quella religione.

Il rapporto che si è posto fin dall'inizio fra rapporti individuali del diritto di religione e diritti collettivi. Il rapporto che c'è fra l'articolo 18 e l'articolo 27 del "Patto Internazionale dei Diritti Civili e Politici" relativo agli individui appartenenti alle società e le minoranze minoranze religiose. Diritto religioso individuale e diritto religioso della minoranza come unità culturale!

L'articolo 9 della convenzione europea parla di diritto individuale, non di diritto della religione nei confronti dell'individuo o della società:

"Ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, così come la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l‘insegnamento, le pratiche e l'osservanza dei riti."

Il professor Zagato coinvolge il "Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici". Questo patto adottato nel 1966 e reso esecutivo in Italia nel 1978 va ad integrare la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo. Che cos'è il Patto Internazionale?

"Adottato dall'Assemblea Generale dell'ONU il 16 dicembre 1966 è entrato in vigore il 23 marzo 1976. Stati parte al 2000: 147 Reso esecutivo in Italia con legge n. 881 del 25 ottobre 1977. E' entrato in vigore per l'Italia il 15 dicembre 1978."

Di questo patto, il professor Zagato cita particolarmente l'articolo 18 e l'art. 27 del "Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici" che dicono:

L'articolo 18 del Patto dice:

"1. Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Tale diritto include la libertà di avere o di adottare una religione o un credo di sua scelta, nonché la libertà di manifestare, individualmente o in comune con altri, e sia in pubblico sia in privato, la propria religione o il proprio credo nel culto e nell'osservanza dei riti, nelle pratiche e nell'insegnamento.

2. Nessuno può essere assoggettato a costrizioni che possano menomare la sua libertà di avere o adottare una religione o un credo di sua scelta.

3. La libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo può essere sottoposta unicamente alle restrizioni previste dalla legge e che siano necessarie per la tutela della sicurezza pubblica, dell'ordine pubblico e della sanità pubblica, della morale pubblica o degli altrui diritti e libertà fondamentali

4. Gli Stati parti del presente Patto si impegnano a rispettare la libertà dei genitori e, ove del caso, dei tutori legali di curare l'educazione religiosa e morale dei figli in conformità alle proprie convinzioni"

L'articolo 27 del Patto dice:

"In quegli Stati, nei quali esistono minoranze etniche, religiose, o linguistiche, gli individui appartenenti a tali minoranze non possono essere privati del diritto di avere una vita culturale propria, di professare e praticare la propria religione, o di usare la propria lingua, in comune con gli altri membri del proprio gruppo."

L'articolo 1 del Patto dice:

1. Tutti i popoli hanno il diritto di autodeterminazione. In virtù di questo diritto, essi decidono liberamente del loro statuto politico e perseguono liberamente il loro sviluppo economico, sociale e culturale.

2. Per raggiungere i loro fini, tutti i popoli possono disporre liberamente delle proprie ricchezze e delle proprie risorse naturali senza pregiudizio degli obblighi derivanti dalla cooperazione economica internazionale, fondata sul principio del mutuo interesse, e dal diritto internazionale In nessun caso un popolo può essere privato dei propri mezzi di sussistenza.

3. Gli Stati parti del presente Patto, ivi compresi quelli che sono responsabili dell'amministrazione di territori non autonomi e di territori in amministrazione fiduciaria, debbono promuovere l'attuazione del diritto di autodeterminazione dei popoli e rispettare tale diritto, in conformità alle disposizioni dello Statuto delle Nazioni Unite."

Il professor Zagato dice che quando ci sono stati dei ricorsi individuali al comitato per i diritti umani per violazione dell'articolo uno, il comitato li ha trasformati in ricorsi in base all'articolo 27 del patto.

Il diritto di autodeterminazione della minoranza!

Il professor Cassese dice che sarebbe ora che il comitato per i diritti umani iniziasse ad accogliere ricorsi individuali anche in base all'articolo 1. Ma fino ad oggi è stata elogiata la scelta del Comitato che ha voluto mantenere una certa prudenza nell'agire in base all'articolo 1.

Nella vicenda storica dell'applicazione dell'articolo 10 sulla libertà di religione sotto il profilo della tutela delle minoranze ci fu solo la dichiarazione del 1981 sull'eliminazione dell'intolleranza religiosa.

La presenza di questi nuovi strumenti normativi è collegata ad altri. Ad esempio, lo statuto della Corte Internazionale Penale che contempla espressamente la distruzione del gruppo religioso, finalità che integrano il crimine di genocidio art. 6, nonché la persecuzione di un gruppo di una collettività ispirata da motivi religiosi per i crimini contro l'umanità art. 7 paragrafo 1 lettera h e la distruzione degli edifici dedicati al culto citato espressamente fra i crimini di guerra.

I crimini nell'ex Jugoslavia dà una nuova possibilità alla nuova battaglia per l'inserimento del delitto di genocidio culturale dopo la sconfitta degli anni '40. L'inserimento del delitto del genocidio culturale nella convenzione contro il genocidio non fu possibile. Allora fu una disfatta, ma oggi la questione si ripropone.

Il problema della difesa dell'identità culturale e religioso dei gruppi, delle minoranze e delle comunità, emerge con nuova forza ponendo degli strumenti che possono essere usati da gruppi religiosi più forti, non si tratta di gruppi ultraisolati. Ma potrebbero essere utili alle culture animistiche dell'Africa, sottoposte alla demonizzazione o alla persecuzione anche dopo la fine della colonizzazione, o il suono che hanno avuto le campagne per la distruzione dell'identità di quelle popolazioni. Come gli americani hanno fatto per la conversione delle minoranze.

Il secondo aspetto si ricollega alla domanda che il professor Perulli faceva. Non è che un certo atteggiamento è provocato dal carattere ultraminoritario di chi ne è fatto oggetto?

L'articolo 9 della corte di Strasburgo, anche pronunce recenti del novembre 2008, danno una risposta positiva; risponderebbero sì al quesito che ci si poneva e che ci lascia perplessi.

Il paragrafo 1 dell'articolo 9 è stato interpretato dalla Corte Europea come libertà dell'individuo da ogni costrizione; la giurisprudenza è stata d'accordo.

Ci sono alcuni casi in cui la corte ha risposto no anche su ricorsi di libertà di coscienza. La libertà di coscienza fatta da un detenuto dell'IRA per sottrarsi all'obbligo della divisa carceraria; in altre situazioni ci sono state richieste per motivi religiosi per portare oggetti in carcere. (rigettati dalla Corte Europea).

Un'altra sentenza è l'esclusione dei Testimoni di Geova di usufruire del servizio sostitutivo al servizio militare in Austria; la sentenza è del 1967 in cui la Corte accettò che l'esclusione non costituiva una violazione dell'art. 9 del CEDU

L'insegnamento delle tradizioni e le pratiche religiose comprese le pratiche non religiose.

Cita l'episodio del sequestro di un film, "La tentazione di cristo" e le relative vicende processuali in cui la Corte Europea è intervenuta stabilendo una gerarchia di valori fra i diritti. Fra protezione del sentimento religioso e il diritto di espressione proposto dal film.

Il professor Zagato cita due sentenze che applicano il comma due dell'articolo 9 della CEDU, che dice:

"La libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono stabilite dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla pubblica sicurezza, alla protezione dell‘ordine, della salute o della morale pubblica, o alla protezione dei diritti e della libertà altrui."

La libertà di manifestare il proprio credo non può essere negata se non quanto previsto dalla legge. La Corte Europea tende a dare ragione a quanto deciso dagli Stati. A proposito del proselitismo tra testimonianza e abuso del proselitismo, in sede europea scrisse che la libertà di proselitismo è parte integrante della libertà di religione. Ci sono delle protezioni per i minorenni, ma per questo giudice, per i maggiorenni, si può usare la pubblicità ingannevole.

C'è una resistenza da parte della corte ad accogliere le istanze contro gli Stati per le loro misure discriminanti e qualcuno ha parlato di un criterio minimalista usato dai giudici di Strasburgo che li porta a misurarsi con le situazioni di fatto e non con le scelte di fondo degli Stati.

La corte non si è mai misurata con le scelte di fondo. E' da chiedersi se la cosa non nasconda qualche altro profilo e se non sia riscontrata una pericolosa tendenza a restringere lo spazio dei gruppi minoritari a vantaggio dei gruppi maggioritari religiosi nei vari paesi.

Nel 1997 c'è il caso, sempre in Grecia, in cui alcuni genitori, Testimoni di Geova, che si rifiutarono di mandare il bambino ad una parata del 28 ottobre (giorno dell'invasione italiana nella seconda guerra mondiale) La corte Europea stabilì che la festa dei Greci ha valore di democrazia e libertà e l'obbligo di partecipare alla parata non ledeva alcun diritto dell'articolo 9.

Una situazione analoga negli USA, in piena seconda guerra mondiale, il rifiuto del saluto alla bandiera da parte di alcuni bambini di alcuni Testimoni di Geova venne giustificato dalla Corte Suprema dello stato perché il saluto presupponeva una certa predisposizione mentale.

Il professor Zagato, per il riconoscimento delle minoranze religiose, cita la Wicca che è stata recentemente ufficialmente riconosciuta negli USA in base al fatto che qualcuno è andato a combattere in Iraq e si è dichiarato appartenente a quella religione e quindi, quando fu ucciso, gli onori militari sono stati fatti negli USA dopo la cerimonia religiosa. In qualche modo è stata riconosciuta attraverso la cerimonia funebre militare.

Una posizione più aperta rispetto alla tendenza di accettazione da parte della Corte di Strasburgo delle limitazione imposte dagli stati?

Una recente pronuncia relativa ai centri Rajneesh in Germania relativa alla protesta di costoro contro la sistematica campagna di messa in guardia di gruppi antisette che, affermavano, li indicavano con appellativi offensivi "setta-pseudoreligiosa". I Centri Rajneesh furono censurati in maniera violenta dalla Corte della Renania Westfalia che affermò che il diritto costituzionale di informare il pubblico e di proteggere i cittadini giustificava le interferenze con la libertà religione e di credo. Mettere sull'avviso il pubblico e considerare quanto era pericolosa l'attività di queste persone. Nel frattempo intervenne con una sentenza della Corte Costituzionale Federale che sosteneva che alcune delle espressioni usate dagli antisette definendoli, fra l'altro, come pseudoreligione, erano andati contro il principio di proporzionalità. Sostiene la scorrettezza di uno stato democratico nel condurre una campagna del governo tedesco con accuse immotivate contro i centri di nuove religioni.

Il professor Zagato sospetta che se non ci fosse stata la sentenza alla Corte Federale, forse i giudici di Strasburgo avrebbero trovato del tutto normale il complesso delle espressioni usate dalla corte amministrative dei land tedeschi.

Il professor Zagato si rammarica per il troppo poco tempo a disposizione per non poter concludere quello che avrebbe voluto dire.

Nell'intervento del professor Zagato rilevo che ci sia una certa superficialità nella distinzione fra ciò che è il diritto alla libertà religiosa e il diritto di usare il diritto alla libertà religiosa come motivazione per scopi che possono essere la conquista di privilegi sociali o, peggio, per costringere la società ad accettare dei comportamenti diversi dalle norme sociali. Troppo spesso non si rivendica un diritto; ma si tenta di imporre un privilegio. Ora si tratta di stabilire se quello che si chiede, mediante il diritto alla libertà religiosa, arricchisce la società (o è indifferente perché non reclama delle modificazioni nella società), oppure la danneggia.

Il velo delle donne musulmane equivale alle mutande delle suore cattoliche che devono essere vergini in onore della madonna. Nessuno toglierebbe le mutande alle suore cattoliche e chi lo farebbe commetterebbe un reato; questo vale per il velo delle donne musulmane. Ma se una donna musulmana pretendesse che altre donne portino il velo in rispetto alla sua religione (o in nome della tolleranza) o si rifiutasse di svolgere mansioni perché altre donne non portano il velo, LA QUESTIONE SAREBBE DIVERSA, SE NON OPPOSTA.

Questo vale anche per i giudizi della corte di Strasburgo. Il cristianesimo in occidente si è abituato in duemila anni di genocidi ordinati dal cristo Gesù ad usare morale, dogmi e comportamenti, come "armi di distruzione di massa"; da qui la necessità dei diritti alla libertà religiosa che le "armi di distruzione di massa" cristiane hanno negato.

La libertà del diritto alla libertà religiosa: SI APPLICA A SE' STESSI; ALLE PROPRIE ESIGENZE!

Non serve ad imporre le proprie esigenze alla società civile. Quando si chiede il rispetto dei diritti, si chiede il rispetto per sé. Un rispetto che è stato troppo spesso violato. Però non si può imporre alla società di adeguarsi a sé. Quando questo avviene, nasce il conflitto.

E' il caso della sentenza della Corte di Cassazione Italiana a proposito delle norme entro le quali deve avvenire la contestazione del credo religioso nel confronto fra diverse fedi religiose che ho già caricato nel commento all'intervento del professor Mazzeschi.

Chiedere il "rispetto" della propria convinzione religiosa o del proprio credo all'altro in quale, per riconoscerla o solo ammetterne il credo, è costretto a violentare la propria coscienza e il proprio credo. E' il caso dei cristiani e dei cattolici: che significa "imporre il rispetto per Gesù" se non imporre "deferenza" per un soggetto che viene indicato alle coscienze come il padrone del mondo in quanto figlio del dio padrone? Significa che tu, che nella tua coscienza gli uomini sono uguali sotto la medesima legge e le medesime regole, devi fare violenza alla tua coscienza religiosa e al tuo credo e accettare che possa esistere un padrone che costringe gli uomini in ginocchio, uguali nella schiavitù, ma diversi da sé in quanto lui è il padrone.

Riconoscere che tu puoi imporre Gesù come figlio del dio padrone, significa che io devo rinunciare all'articolo 3 della Costituzione, al principio di uguaglianza perché tu, di fatto, mi imponi il tuo Gsù monarca e re!

Padroni di uomini pretendono di esserlo i rappresentanti di Gesù che, in quanto padroni, impongono una morale contraria alla morale sociale (divorzio, aborto, eutanasia, ecc.).

In base a questo credo i cristiani, o le Istituzioni occupate da individui cristiani, ritengono normale calpestare ogni diritto alla libertà religiosa in quanto non concepiscono, emotivamente e intimamente, nessun altro diritto per l'uomo che quello di mettersi in ginocchio davanti a Gesù, e chi lo rappresenta: è il significato del loro "amare Gesù". Il concetto di tolleranza permette ai cristiani di mettersi in ginocchio davanti a Gesù, di farne propaganda, ma non permette ai cristiani di violentare le coscienze delle persone per sottrarle alla Costituzione, a quel principio di uguaglianza davanti alla legge, per trasformare i bambini in bestiame in ginocchio davanti al padrone.

Una cosa è che il conflitto religioso riaffermi le norme Costituzionali nelle relazioni sociali, che sono norme RELIGIOSE in quanto determinano, comunque, condizioni etiche e morali (l'ideologia morale dell'occidente) nelle relazioni fra gli uomini e un conto è la pretesa di libertà di una religione di imporre nella società, a degli individui, norme morali antagoniste, se non opposte, a quelle Costituzionali in nome della sua libertà di religione.

La violenza che i bambini subiscono per imporre loro la dipendenza psicologica dal credo cattolico ed essere sottratti alle norme del diritto sociale e Costituzionale, è una violenza psicologica che mira a metterli nelle condizioni di supplicare un aiuto anziché rivendicare un diritto. Adulti che supplicano perché è stata loro imposta la paura di rivendicare un diritto. Con la violenza i cristiani hanno sottratto loro la possibile conoscenza e la possibile consapevolezza dei loro diritti all'interno del dettato Costituzionale; hanno supplicato così tanto il buon Gesù e la verginità della madonna, che in ambito sociale e lavorativosanno solo pregare: questa cndizione è una condizione soggettiva derivata dallo STUPRO psico-emotivo a cui i cristiani hanno sottoposto i bambini. E' una violenza di natura sessuale, sempre. Anche quando non c'è contatto fisico, ma solo psico-emotivo! Questa violenza costringe le emozioni intime dei bambini a ripiegare su sé stesse. Le costringe ad una dipendenza emotiva profonda dal loro onnipotente immaginato.

La religione coinvolge le relazioni profonde fra l'uomo e il mondo in cui vive; manipola l'uomo e la sua percezione del mondo e della vita. Il suo agire in essa. Ho personalmente l'impressione che volutamente i relatori di questo convegno abbiano ignorato la lotta in atto in Italia attorno all'imposizione del crocifisso alla società civile: che cosa significa imporre quel simbolo in disprezzo delle norme Costituzionali? E' attentato del diritto alla libertà religiosa da parte dei cristiani ed è la rivendicazione di un diritto da parte dei non cristiani. I relatori di questo convegno su "Diritti umani e religioni: il ruolo della libertà religiosa" hanno volutamente ignorato le aggressioni alla libertà religiosa che avvengono in Italia e che molte sentenze della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale hanno definito. Spicca fra tutti la rimozione della definizione della religione cattolica come "religione di stato" fatta dalla Corte Costituzionale equiparando la religione cattolica ad ogni altra religione ammessa. Capisco i relatori: è facile per loro parlare di cosa avviene negli USA. Non incorrono in sanzioni. Più difficile è parlare delle aggressioni alla libertà religiosa che avvengono attorno a loro: in Veneto! Galan che semina odio religioso potrebbe intralciare le loro carriere di luminari! Solo che ignorare una realtà è, di fatto, una scelta RELIGIOSA, in cui si accetta che l'altro venga violentato nella sua coscienza e nella sua religione per aderire alle scelte di violenza della religione maggioritaria (in contrasto con le sentenze sociali della Costituzione). E' come per la violenza operata da Amnesty International: si attira l'attenzione su ciò che avviene nei paesi lontani e si ignorano le torture che i cittadini subiscono a Venezia. Troppo pericoloso!

L'applicazione della legge è anche una questione di "rapporti di forza" che si sviluppano nella società. Se nessuno rileva come violenza l'imposizione del crocifisso, nessuna violenza è fatta. Ma quando le persone che ne denunciano la violenza vengono intimidite e ricattate affinché ritirino la loro denuncia, non è che la violenza dell'imposizione del crocifisso non sia fatta. Ne è solo impedita, con la violenza, la denuncia. Violenza che copre violenza: che ne è del diritto alla libertà religiosa in questo contesto?

Naturalmente, questo strano e assurdo convegno, si è verniciato la faccia alienandosi dalla società civile.

Uno strano ed assurdo convegno. Come strano ed assurde sono le pretese dei "pacifisti" che all'interno di un campo di sterminio parlano di pace ai prigionieri che vengono condotti nelle camere a gas. A loro va imposta la pace affinché i guardiani delle torrette non siano turbati mentre aprono i rubinetti del gas. Così è per questo convegno che, al di là degli alti interventi culturali volti a fornire un quadro della situazione generale, ha ignorato il senso e il significato della libertà religiosa come espresso dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo quasi volesse dire ai "torturati dalla chiesa cattolica" state buoni mentre i cristiani cattolici stuprano i bambini e i fondamenti della società civile. Questo convegno, tanto per fare un esempio, ha ignorato COMPLETAMENTE quanto sta avvenendo in Spagna e gli sforzi della Nazione spagnola per liberarsi dall'orrore sociale imposto dalla chiesa cattolica. Gli sforzi della Spagna per consentire ai propri cittadini di fruire della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo. Rapporti di forza, dati dalle rivendicazioni sociali dei diritti, sono quello che aiuta i giudici ad emettere sentenze in risposta alle leggi e senza la preoccupazione di essere aggrediti dai cattolici ogni volta che sentenziano in favore dei diritti Costituzionali. Sono da ricordare, ad esempio, le aggressioni subite dalla Corte Costituzionale ad opera dei cattolici quando la Corte Costituzionale sentenziò che la madonna dei cristiani non aveva diritto a tutele particolari in quanto non era una divinità. O le aggressioni subite dalla Procura della Repubblica di Bologna, pur assai deferente alla gerarchia cattolica, quando dichiarò la propria impossibilità a perseguire gli autori della mostra "la madonna piange sperma" in quanto ciò non costituiva reato.

Il convegno di studi, nell'ignorare la società civile Italiana nelle sue esigenze, l'ha, praticamente, insultata.

In questo caso sono le norme dello stato che devono regolare il conflitto secondo il principio di uguaglianza di tutte le confessioni religiose. Ma, questo, è un altro discorso.

Marghera, 20 dicembre 2008

 

Indice interventi Convegno di Studio dal titolo "Diritti Umani e Religioni:
il ruolo della libertà religiosa" tenuto a Venezia dal 4 al 6 dicembre 2008

 

 

La libertà religiosa

I cristiani truffano le persone fingendo di equivocare. La libertà religiosa riguarda il singolo individuo, il singolo cittadino, che deve essere libero dall'imposizione religiosa. Non esiste, se non come atto criminale, la libertà di una religione di imporsi sui cittadini al di là del diritto dei singoli di manifestare le loro idee. Ogni costrizione fisica, economica, emotiva, psichica, per imporre una religione, e' un atto illegale e criminale. Crimini che la chiesa cattolica commette nei confronti dei bambini per imporre la sua fede.

 

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Claudio Simeoni

Meccanico

Apprendista Stregone

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